"Allora, ci vieni o no?" esclamò Federico. "Daje! Ce sta un sacco di gente, se magna, se beve, e poi Flaminia c'ha la piscina, vedrai che ce scappa il concorso Miss Maglietta Bagnata!"
"Ma non m'ha nemmeno invitato," protestai.
"Che te frega? Flaminia m'ha detto che se volevo, potevo portare due o tre persone, perché questa sarebbe una festa di fine anno oltre che di compleanno, e i suoi le lasciano casa libera e voleva far venire un botto di gente."
Non dissi nulla. Fino a quel momento, il massimo delle feste a cui avevo partecipato erano i compleanni dei miei amici, roba da dieci invitati o meno; non ero il tipo che si aspettava di presenziare a qualche scatenato party pieno di gente, tantomeno al festone-di-fine-anno-festa-dei-tredici-anni di Flaminia, un evento che avrebbe fatto parlare di sé per tutta l'estate: sicura presenza di ragazzi e ragazze strafighi, sigarette, birra, piscina, imbucati di tutte le classi, forse perfino di terza media. In un evento sociale del genere c'entravo come i cavolfiori a colazione, e ne ero dolorosamente consapevole. Uno sfigato che non aveva mai baciato una ragazza, in una casa dove un divano sarebbe stato occupato in via esclusiva dalle coppie pomicianti. Un secchione con le braccia rachitiche, in un posto dove i più grossi coatti della scuola avrebbero bevuto birra e si sarebbero presi a cazzotti. Le prese per il culo mi avrebbero inseguito fino all'esame di terza, se mai fossi apparso sulla soglia di Flaminia. Decisi con risolutezza che non sarei andato.
Il problema era dirlo al mio estroverso amico, che stava bene con tutti, era stimato per la sua abilità di calciatore e per le sue battute pronte e non si faceva complessi di nessun tipo, mai. Dio quanto lo invidiavo. Ma che gli era saltato in mente di invitarmi a quella festa, possibile che non capisse? Adesso, rifiutarmi di andare sarebbe stato come ammettere il mio status, eterno e immutabile, di sfigato.
"Mah, non lo so... devo vede'..." temporeggiai, mentre il mio cervello lavorava di gran lena alla ricerca di una scusa plausibile.
"Devi vede' cosa? M'hai appena detto che sabato sera non fai un cazzo!"
"Ma che c'entra, devo... devo vede'!" ripetei, per poi essere colto da un'ispirazione. "E poi devo chiedere ai miei, che ne sai che magari non mi fanno andare..."
Ottima idea! pensavo nel frattempo. Dai la colpa ai tuoi, di' che non ti fanno uscire, che hanno le palle girate, che ti costringono ad andare a qualche tremenda cena di famiglia. Federico dirà che rompicazzo i tuoi, e tu dirai eh già che tocca fa', e la cosa finisce lì!
"Vabbe', tu magari non dirglielo che vengono pure La Torre e Spadoni, altrimenti te credo che non te fanno veni'..."
Il mio stomaco diede un sobbalzo nel sentire quei nomi, anche se in realtà avevo già dato per scontata la loro presenza alla festa. Si trattava nientemeno che dei due coatti più temuti della scuola, entrambi ripetenti, enormi e notoriamente maneschi: non c'era alunno della Achille Mauri che non fosse terrorizzato all'idea di farli arrabbiare. Su di loro circolavano ogni sorta di storie: si diceva che Ruggero La Torre pippasse cocaina e si calasse pasticche in discoteca tutti i sabati sera, che avesse spezzato ambedue le braccia a un tizio che aveva toccato il culo alla sua ragazza, che avesse in camera un poster di Mussolini a braccio teso grosso come una parete intera; quanto a Christian Spadoni, tutti sapevano che aveva tenuto lui a bada, da solo, i quattro amici dell'incauto palpeggiatore mentre La Torre gli rompeva le braccia, e che suo fratello Danilo era dietro le sbarre per aver rapinato l'Euronics di Piazzale Flaminio.
Inutile aggiungere che se prima avevo avuto intenzione di dar buca alla festa, adesso non ci sarei andato neanche dietro lauto pagamento. Dovevo soltanto trovare il tempo di inventarmi una buona scusa.
"Senti, Pigna, facciamo che ti richiamo stasera o domani, va bene?" dissi.
"Ok. Vedi di convincere i tuoi, zio, che se la tajamo."
L'entusiasmo del mio amico nel pronunciare quelle parole era genuino: Federico ci teneva davvero che andassimo insieme a quella stupida festa, e mi dispiacque dovergli mentire. Ma lui faceva tutto così facile. Non poteva capire.
Federico non doveva mai camminare rasente il muro, desiderando l'invisibilità, e non si guardava mai alle spalle per timore di uno sgambetto, un calcio in culo, una sberla. Non aveva bisogno di tenere sempre sott'occhio tutto quello che aveva nello zaino e sotto al banco, perché se lasciava qualcosa incustodito lo ritrovava sempre, lui. Le risate e gli epiteti velenosi che mi inseguivano fin dalla prima media, lui non li aveva mai dovuti subire. Nessuno lo sfotteva per svago, quando non c'era un modo migliore di passare il tempo. Nessuno lo aveva mai preso per il culo per i vestiti, le scarpe, i capelli, il modo di muovere le mani, camminare o parlare. Nessuno gli faceva il verso. Mai una volta doveva essersi sentito così in imbarazzo da desiderare che la terra si aprisse per inghiottirlo.
Il suo talento naturale nello stare bene con tutti e dire sempre la cosa giusta per risultare simpatico e spiritoso, gli aveva permesso l'impresa suprema di rimanere popolare pur frequentando il più sfigato della classe: parlo del sottoscritto, naturalmente — all'anagrafe Davide Bargallo. E mai una volta che desse l'impressione di sforzarsi di piacere alla gente, come quello stupido Eugenio Fontana di II B, che raccontava un mucchio di balle per darsi un tono, e poi finiva sempre sputtanato e messo in mezzo; no, a Federico la simpatia veniva naturale, come quando stoppava la palla e poi dribblava tutti e li lasciava fermi in mezzo al campo, mentre lui calciava e gonfiava la rete.
Come fossimo diventati amici nemmeno me lo ricordo: avevamo undici anni, le medie erano cominciate da un paio di settimane e probabilmente ci eravamo messi a parlare di videogiochi o di film, le nostre grandi passioni in comune. Ci volevamo un gran bene, ma er Pigna non aveva mai capito fino in fondo una cosa che a me risultava anche troppo chiara: le differenze fra i nostri caratteri, pur non contando nulla quando eravamo io e lui davanti alla Playstation, diventavano un abisso quando si trattava di rapportarci alla vita sociale dei nostri coetanei.
STAI LEGGENDO
Brufolazzi
أدب المراهقينDavide vive a Roma, ha tredici anni e un enorme problema: è appena stato invitato alla festa di compleanno di Flaminia, la ragazza più bella e popolare della scuola. Davide è timido, imbranato e studioso, e preferirebbe di gran lunga starsene a casa...