MALE...

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Oggi a scuola abbiamo fatto le prove Invalsi. Non so se le avete mai fatte, ma alla fine, dopo Italiano e Matematica c’è un questionario che riguarda principalmente il nostro rapporto con la scuola. Una delle domande chiedeva come ci troviamo con all’interno della classe. Io senza pensarci due volte ho scritto un secco e diretto “Male” in stampato maiuscolo, così che non ci siano dubbi sulla lettura. Bene, la professoressa ha deciso di confrontarli. Quando ha visto il mio inciso mi ha guardato e ha detto: «Dovevi scegliere una delle opzioni già scritte, non aggiungerne a tuo piacimento».
Non ci ho visto più.
«Sa cosa le dico? Vaffanculo. Vaffanculo mille volte.»
«Ma come ti permetti di rivolgerti a me in questo modo?» mi urla.
«E lei come si permette di obbiettare sul mio stato in mezzo a questa merda. Io non sto nè poco bene nè abbastanza bene e senz’altro non bene. Io sto male, okay? E sia lei che quella massa di ipocriti che hanno fatto questo schifo di domande siete degli stronzi. Siete stronzi e ipocriti. Se io sto male perchè non posso dirlo? L’opzione “raramente a mio agio” è totalmente diversa dal dire “dio porco sto male”, quindi semplicemente l’ho aggiunta. E lo rifarei ogni volta. Voi che per trenta ore la settimana ci predicate il dialogo e l’importanza dell’ascolto, vedo come voi lo fate. Reprimere le sensazioni di una persona solo perchè “deve scegliere tra le opzioni”. La vita non è un’opzione, è una domanda. E se la mia risposta è che sto male non vedo per quale fottuto motivo non posso esprimerla. Lei mi fa stare male, questa classe mi fa stare male, la mia vita mi fa stare male. E io non posso dirlo solo perchè non c’è un quadratino apposito che contrassegna il mio stato d’animo da crocettare con una penna nera o blu? Ma vaffanculo.»
Cazzo, che silenzio. Tutti mi guardano sbigottiti.
«Che beata minchia avete da guardare? È anche colpa vostra, sapete? Tu, genietto dell’ultimo banco, suppongo che alla domanda che chiedeva se prendete in giro i vostri compagni di classe abbia risposto di no. Certo, ovviamente, quando mai tu prendi in giro. Non fai altro dalla mattina alla sera però rispondiamo di no così chissà che non mi alzino la condotta di un voto. Potrai anche avere la casa sul lago di Garda e la succursale di Abercrombie a casa tua ma la materia grigia, quella non l’hai mai vista. E tu, stronza che non sei altro, fai pure la leccaculo sperando di fare bella impressione, ma continua tranquillamente a darla via come se non fosse tua e dichiarare il tuo presunto vero amore a ogni essere umano di genere maschile. Spero di non avere usato parole troppo difficili per te, sai anche la tua intelligenza non è delle migliori.
E tu, invece, parla adesso. C’è silenzio tutti sono attenti, è il tuo momento. Dì quanto ti facciano stare male questo gregge di stronzi, tu che te ne stai sempre zitta e subisci, per una volta ribellati, insultali, sputtanali, se lo meritano.»
Lei mi guarda, le sorrido, è bellissima anche con i capelli davanti agli occhi e le braccia sempre coperte.
«Siete degli stronzi!» urla.
Le applaudo solo io, ma chissene frega, ha pienamente ragione.
Guardo la professoressa con aria soddisfatta.
«Hai finito questo tuo teatrino?» mi dice con calma ma fulminandomi con lo sguardo.
Sono sbalordita, tanto vale che finisca il mio discorso, ormai ho oltrepassato il punto di non ritorno.
«Mi scusi, questo lei lo chiama teatrino? Cioè qualcuno per una volta ha avuto il coraggio di tirare fuori le palle e smettere di tacere davanti questo schifo e lei lo chiama teatrino? Continui pure a spiegare le sue fottute materie umanistiche che di umanistico non hanno un cazzo. Pensi solo a Dante che scriveva poesie passate alla storia per la sua amata Beatrice e per la cara moglie che lo accudiva ogni giorno non le ha neanche mai dedicato nemmeno un verso. Bravo stronzo, complimenti sinceri. E lei è uguale, mica pensi di essere molto diversa. Insegna per dieci ore la settimana in questa classe e non si è mai accorta del declino totale. Una che dimagrisce a vista d’occhio, l’altra che sta ben attenta a coprire i polsi, quello nell’ultimo banco che ha uno sguardo spaventato che perfino un cieco noterebbe e io che le sto dicendo un mucchio di verità e lei vede solo la volgarità di quello che dico. Adesso cosa vuole fare, mettermi una nota? E cosa ha intenzione di scrivere? Che l’allieva si è ribellata all’ipocrisia che regna nell’aula e ha cercato di aprire gli occhi dell’insegnante ma inutilmente? Lo scriva pure. E aggiunga anche che la parola “stronzo” non è di per sé una parolaccia: la definizione esatta è “escremento di forma cilindrica”.»
«Hai passato il limite» mi urla.
«Tanta gente qui lo ha passato e lei non ha mai detto nulla» le rispondo con una calma di cui mi sorprendo perfino io.
«Esci immediatamente da quest’aula e non farti vedere prima della fine dell’ora.»
«Molto volentieri!»

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