introduzione

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Ed eccomi in un altro inutile viaggio in un treno che puzza di muffa e di umido su un sedile scomodo.
I vetri sono riempiti di graffiti al di fuori e a malapena riesco a godermi quel poco di natura che stiamo attraversando.
La puzza è persistente.

Ed ecco che mi si avvicina una donna, sui settanta, capelli tirati indietro ingrigiti dal tempo, con un vestito nero.
Mi si accosta e comincia a parlare senza riuscire a sentirla a causa delle auricolari assiduamente posta sui Coldplay.
Ne tolgo una e la sua voce suona irritata al fatto che dovrà ripetere:

-"Mi scusi, mi sembra la persona più normale qui" facendo cenno di voltarmi e guardare un po da chi sono circondato, non noto troppo, solo gruppi di ragazzini sparsi qua e là.

-"Potrei accomodarmi accanto a lei?" indicando il posto accanto al mio con lo zaino nero leggermente scolorito dal tempo, lo prendo e lo appoggio sulle mie gambe.

-"prego signora " si mette comoda e mi prendo il diritto di tornare nel mio mondo rimettendo l'auricolare.
Il treno scivolava sui binari, e il ritmico rumore delle rotaie riempiva l'aria. Le voci dei passeggeri si intrecciavano con il frastuono delle borse e dello zaini, mentre i loro corpi si spostavano nel corridoio. Una zaffata di odori provenienti dai cibi e dalle persone mescolati riempì le narici di Manuel, facendolo storcere il naso. Il sudore dei passeggeri, il profumo del caffè e il sapore di sigaretta misto all'aria fredda dell'aria condizionata creavano un'atmosfera pesante e quasi soffocante.

Ricordo di un amore sbagliato, tanto sbagliato ma tanto bello da poter essere giusto, un pensiero che mi tortura fino alle viscere.
La amavo e lei mi aveva scaricato per qualcosa che io neanche avevo commesso.
Lei era bellissima, i suoi capelli biondi scendevano lisci sulla sua schiena, e io amavo passarci infinite volte le dita tra quei capelli.
I suoi occhietti da cerbiatta mi guardavano arrabbiati ma con quel filo d'amore che riusciva a non nascondere nonostante la rabbia.

Ricordo che l'ultima volta che l'avevo vista aveva il viso diverso dal primo giorno.
Era dimagrita, il suo viso appariva stanco e i suoi occhi arrossati, non parlava, e questo mi aveva spiazzato.

Era lei che io volevo, e dopo due anni avevo deciso di far ritorno in quella città che mi aveva tolto l'amore, forse nella speranza di rivederla.
Con me ho portato solo uno zaino, perché non avevo deciso di far ritorno se non prima dieci minuti aver preso il treno.

La donna continua a fissarmi, mi parla e mi trovo costretto a togliere l'auricolare.
-"Dov'è diretto lei?" mi chiede incuriosita per cercare di far passare il viaggio con meno noia possibile.

-"A Lecce signora" rispondo di tutta fretta cercando di rimettere in fretta l'auricolare.

-"Bellissima città, per studio?"
OK, vuole chiacchierare, tolgo anche l'altra auricolare perché ormai ho perso le speranze di tornare ad ascoltare la musica.

-"In realtà sono di li, sono stato per due anni a Napoli e questa mattina ho deciso di tornare a casa " mi guarda sbigottita e fa un piccolo sbuffo.

-"Non si è trovato bene?" mi chiede.

-"In realtà mi sono sentito a casa non appena ho messo piede nella città.
Buon cibo, buona musica, bella gente" al termine di queste mie parole la donna rilassa la sua espressione e torna a sorridermi.

-"Ma a Lecce c'è la mia Ella e non ho mai smesso di pensarla un attimo"
La sua espressione cambia ancora dopo che ho pronunciato il nome di Ella.

-"Ella?" mi chiede incuriosita, io di Ella avrei tanto da dire ma faccio un semplice cenno perché dentro quella marea di emozioni che mi suscita pronunciare il suo nome ad alta voce riesce a farmi perdere.

-"Che nome particolare" Mentre parlavo, sentivo una stretta al petto e il mio cuore batteva forte come se volesse uscire dalla cassa toracica. La mia voce tremava leggermente e avevo le mani sudate. Non capivo come mai mi stessi aprendo così tanto con una persona sconosciuta, ma la necessità di condividere i miei sentimenti era troppo forte per tenermi tutto dentro. Sentivo un senso di tristezza e solitudine che mi avvolgeva come un velo, e anche se non conoscevo questa donna, mi sembrava di potermi fidare di lei."

-"Lei si chiama Antonella "
La donna si accorge del mio disagio, ma questo non la ferma dal continuare a farmi domande senza curarsi del mio malessere causato da questo discorso.

-"È la tua ragazza? " continua a chiedere cercando di sapere il più possibile come se la mia vita fosse una soap e avesse perso un episodio importante. Tipo beautiful per intenderci.

-"No, ci siamo lasciati" il mio viso cambia improvvisamente espressione, anche quello della donna che appare quasi delusa della mia risposta.

-"Perché?" continua a chiedere.

-"Era giusto cosi" rispondo mentre nella mia testa appaiono i ricordi di ciò che le avevo fatto passare, a causa della mia famiglia problematica, i miei amici infami e un ex abbastanza puttana da essere definita tale senza troppi giri di parole.

La donna non appare soddisfatta delle mie risposte fugaci e continua a chiedere come se fosse un obbligo dover sapere.

-"Spiegami meglio"
Il suo tono è cambiato, sembra abbia preso confidenza.
Ha cominciato persino a darmi del tu.
La guardo e lei mi fissa da dietro quegli spessi occhiali poggiati sul naso.

-"tornato da poco a scuola dopo una settimana di influenza, a quei tempi frequentavo il quarto anno di superiori, del liceo artistico a Lecce, la mia più grande ispirazione era diventare un giorno un grande pittore"

-"Pittore?" interviene la donna.

-"si pittore" rispondo seccato di essere stato interrotto e mi fa cenno di proseguire il racconto.
La donna annuì con gli occhi lucidi pieni di emozione.

Comincio a raccontarle tutto, come se ci conoscessimo da sempre, senza fermarmi, in fondo non sarei stato mal giudicato e cosi fosse non la conoscevo da poter aver paura di un suo giudizio negativo, quando saremmo arrivati ognuno alla propria fermata la vita sarebbe proseguita normalmente come prima di quel giorno.

Continuai a raccontare la mia storia, senza notare che il treno si era messo in movimento e che la luce del sole filtrava attraverso i finestrini, creando delle ombre lunghe sui sedili e sul pavimento. La donna mi ascoltava attentamente, con un'espressione di compassione e interesse. Il rumore dei binari che scorrevano sotto di noi era quasi ipnotico, e mi sembrava di potermi abbandonare alla mia storia, come se nulla potesse interromperci. Continuavo a parlare, con gli occhi fissi sulla donna, come se fossi in uno stato di trance, inconsapevole del tempo e dello spazio che ci circondavano.

La donna continuava a seguire con attenzione il mio racconto, i suoi occhiali scintillavano nella luce del sole che entrava dai finestrini del treno. La storia della mia vita, della mia storia con Ella, usciva dalle mie labbra come se fosse una diga che si era rotta, e io non potevo fermarmi. Era come se avessi trovato un'orecchio disponibile, qualcuno che fosse disposto ad ascoltarmi senza giudicarmi, e questo mi dava la forza di continuare a parlare.

E Poi Sei Arrivata TuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora