MADRE

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Mi accendo una sigaretta seduto al tavolo della cucina.
L'orologio del forno segna le 10 del mattino.
Tutti sono fuori.
Mio fratello è andato al lavoro con mio Zio Guglielmo, che si occupa di vendere macchine. Vanno molto d'accordo, anche grazie a molte passioni che condividono, ma soprattutto perche mio zio pur avendo quarant'anni è rimasto un adolescente!
La zia mi aveva chiesto se volessi andare con lei al negozio di mobili dove lavora, ma avevo bisogno di rimanere un po da solo.
Il fumo della sigaretta mi affascina, sembra stupido, ma quando attraversa uno spiraglio di luce in mezzo alla penombra si vede chiaramente la nuvoletta che si disperde in strani arabeschi.
Ormai sono passati tre giorni dall'incubo.
Cerco di non pensarci spesso, ma ammetto di agitarmi ancora ogni volta che mi torna in mente.

Ormai è quasi una settimana che non vado a scuola.
Non me la sento proprio, non riesco a stare con me stesso, figuriamoci in una stanza con persone che non sopporto e per piu di quattro ore.
"No col cavolo" sussurro guardando dalla finestra.
Spengo la sigaretta ormai finita.
Questi giorni sono stati tranquilli.
Per adesso la vita in casa non ha subito drastici cambiamenti, forse anche grazie al fatto che sia io che mio fratello siamo poco più che due fantasmi che passeggiano per queste stanze.
Ormai si è fatta l'ora di pranzo, ma di mangiare non se ne parla nemmeno, la fame è l'ultimo dei miei bisogni in questo momento.

Guardo fuori,oggi il tempo è magnifico, il sole splende e il cielo è di un azzurro intenso, con una cosi bella giornata è un peccato non uscire.
Decido di andare a trovare la nonna, quindi prendo il telefono e la chiamo per avvisarla del mio arrivo.
"Nonna sono Edo, va bene se vengo un po da te oggi? Non ci vediamo da un po, " Certo tesoro è casa tua questa, non devi chiedere il permesso per venire "con un lieve sorriso la salutandola. Mi preparo velocemente e mi dirigo alla fermata dell'autobus piu vicina.
È strano non vedere mia nonna tutti i giorni.
Ormai era diventata un abitudine, dopo l'inizio del calvario di mia mamma.
Tutto è cominciato all'età di 9 anni, proprio un anno dopo che i miei si sono lasciati.
Vivevamo in una casa molto grande e luminosa, ma dopo la separazione era troppo dispendiosa per le tasche di mia mamma, dopotutto il suo era un lavoro part-time che non le faceva guadagnare molto.
Purtroppo i miei ricordi in merito a questo lasso di tempo sono un po confusi.
Ricordo solo che per brevi periodi la mamma aveva incominciato ad assentarsi per delle visite mediche e quindi io e mio fratello trascorrevamo alcuni giorni a casa di nostra nonna.
Poi un giorno, ricevemmo una chiamata, nostra madre era stata ricoverata in un ospedale fuori Genova per alcuni accertamenti.
La nonna ci aveva rassicurati dicendoci che sarebbe stato per poco tempo.
Purtroppo quel poco tempo si trasformò in tre lunghi anni, nei quali riuscivamo ad avere solo pochi frammenti di notizie sulle condizioni di nostra madre.
Purtroppo la verità era molto più grave di quel poco che sapevamo, ma dopotutto sia io che Ema eravamo poco più di due bambini alla fine delle elementari.
Per tre anni ci proibirono di vedere nostra madre, non potevamo nemmeno parlarle al telefono e l'unico tramite con lei era nostra nonna.
Ma un giorno, Nonna si tradí.
Era al telefono con suo figlio Guglielmo, mi accorsi che la loro discussione si era fatta più accesa e cosi decisi di origliare.
Tutt'ora sono maestro nel non farmi mai gli affari miei.
Cosi, nascosto vicino alla sala dove stava parlando al telefono riuscii a sentire quell'unica frase che mi sconvolse - Mia figlia sta morendo e nessuno sa cosa fare -.
Corsi subito verso mia nonna chiedendole in lacrime che cosa volesse dire che la mamma stava morendo.
Dunque tutto quello che mi avevano detto in questi tre anni erano solo bugie? Non avrei piu rivisto la mamma?
Presa dal panico la nonna concluse la telefonata con lo Zio e mi rimproverò per aver origliato, rassicurandomi che la mamma stava bene e che avevo capito male.
Ero piccolo, ma non ingenuo.
Sapevo che mi stava nascondendo qualcosa.
Non so bene quanto tempo passò,
ma un giorno dopo questi tre anni, finalmente riuscimmo ad incontrare nostra madre.
Ci portarono fino a Milano, all'ospedale San Raffaele.
Una città più che un ospedale.
Ricordo ancora l'emozione di quella mattina.
Era un giorno di Maggio, mattino presto.
Venne lo zio Guglielmo a prenderci e insieme alla nonna partimmo alla volta dell'ospedale.
Una volta arrivati, ricordo solo l'incontro con Lei.
Fu uno shock per me.
Si era trasformata.
La donna che ricordavo non era quella che avevo davanti ai miei occhi.
Dinnanzi a me avevo uno scheletro pieno di tubi e macchinari attaccati al corpo, braccia esili e pelle raggrinzita.
Era come se fosse invecchiata di 15 anni.
Piansi.
Ricordo che mamma dormiva, probabilmente sotto l'effetto di qualche farmaco.
Finalmente dopo qualche minuti aprí gli occhi.
Quello sguardo...era triste, felice, stanca e avvilita allo stesso tempo.
- Bambini miei! - esclamò piangendo.
Corsi ad abbracciarla.
Io ed Ema eravamo li, finalmente dopo tanto tempo insieme a lei.
Il ricordo di quel giorno si interrompe li.
Tutto il resto è molto confuso.
È come se il mio subconscio avesse cancellato anni della mia vita.
Ricordo però che dopo poco tempo dal nostro incontro, finalmente la riportarono a casa.
Le avevano fatto una deviazione dell'intestino al ventre, con attaccata una sacca per i suoi bisogni.
Era così magra...
All'inizio faticavo a rapportarmi con lei, sentivo che era diversa, che non era piu la mamma che conoscevo.
E in effetti, con il passare del tempo mi accorsi che era proprio così.
Durante la sua convalescenza a casa era impazzita.
Ricordo ancora le innumerevoli volte in cui aveva tentato di togliersi la vita davanti a noi, puntandosi il colletto alla gola o al ventre.
Io e Ema a quel tempo avevamo poco piu di 11 forse 12 anni.
Le atrocità che ci diceva, la rabbia, che con il tempo aveva preso il sopravvento su di lei, si ripercuoteva su di noi.
Il nostro era un rapporto di amore e odio.
A volte aveva dei momenti di lucidità, nei quali si rendeva conto di non essere in grado di fare da genitore, e in lacrime ci supplicava di perdonarla.
Tutto questo durò per quattro anni.
Nei quali eravamo soli.
Ad occuparci di tutto c'eravamo noi, i suoi figli, e nostra nonna.
Tra mille difficoltà economiche e di salute da parte di mia mamma.
Nei momenti in cui era tranquilla, la mamma diceva sempre che appena sarebbe guarita, avrebbe comprato una grande casa per noi tre, che avremmo girato il mondo e saremmo ritornati ad essere la famiglia che eravamo.
Tutto questo non si è mai potuto avverare.
Ora che sono piu grande, mi rendo conto che la sua follia, il suo dolore, la sua rabbia, erano dettate dalla condizione disumana in cui l'avevano ridotta.
Il suo era uno spirito intrappolato in un corpo che era solo l'ombra di quel che era prima.
Lei era già morta, da tanto tempo.

Una diagnosi errata aveva fatto si che la sua vita cambiasse per sempre.
Un tumore, avevano detto.
Il suo era un semplice ascesso intestinale, curabile con semplici antibiotici.
Il destino sa essere veramente crudele.
Togliere la vita ad una madre di due figli ancora da crescere.

Il rumore dell'autobus in arrivo mi desta dai miei pensieri.
"Questo sarebbe il volere di un Dio buono e pieno di misericordia?"
Mi domando salendo sull'autobus.
Partiamo subito e le immagini di quel passato cosi vero e cosi triste mi assillano, non vogliono abbandonarmi.
"No" penso tra me e me.
"Non esiste nessun Dio in questo mondo, o se esiste, prima o poi mi rivolterò contro di lui e la sua crudeltà".
Con questo pensiero, mi avvio verso casa di mia nonna, nella speranza di trovare un po di conforto tra le sue braccia.

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