Andy II

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Rimasi ancora su quella sedia per un altro lasso di tempo indefinito. Ora iniziavo a sentire il formicolio che pian piano risaliva su per il polpaccio e le cosce. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che mi ero alzato in piedi. La mia mente ora vagava per luoghi sconosciuti. Chi era il maestro? Cosa volevano da me? Il terremoto. Poteva essere questo? Che tutto fosse collegato a quegli strani avvenimenti? Nonostante gli sforzi non riuscivo a trovare un filo logico in tutto questo, dopotutto se volevano me avrebbero potuto prendermi molto tempo prima. Forse ancora non era arrivata la mia ora? Mentre rimuginavo su tutte queste ipotesi uno scintillio attirò la mia attenzione. Era il coltello con cui mi avevano tagliato il pane. Doveva esser caduto dal vassoio. In realtà prima non lo avevo neanche visto, ma era chiaramente un coltellaccio da cucina. Era dannatamente lontano dalla mia sedia. Iniziai a dondolarmi avanti e indietro per poter cadere e di conseguenza avvicinarmi al coltello. Dopo un bel po' finalmente riuscii a sbilanciare il mio peso e a precipitare al suolo. La sedia emise un tonfo secco ma fragoroso. Ora il compito più arduo era riuscire ad avvicinare le mani al coltello per poter tagliare quelle corde che ormai mi penetravano nella carne. Con una fatica tremenda riuscii ad impugnare il coltello e iniziai subito a tagliare la corda. E dopo? Cosa avrei fatto dopo? Dopotutto, pur non avendo più le mani legate, ero pur sempre prigioniero. Ma certo, bastava aspettare che qualcuno fosse rientrato di nuovo in quella topaia, io lo avrei aspettato sulla mia sedia nella esatta posizione in cui mi avevano lasciato e appena si fosse avvicinato abbastanza gli avrei piantato il coltello in gola. In quel delirio il piano mi sembrava abbastanza logico. Così rimisi la sedia al suo posto e mi sedetti in attesa che qualcuno arrivasse.
Mi ridestai dal torpore del sonno quando un suono cigolante irruppe in quella stanza. Era la porta. Non l'avevo notata inizialmente, ma con la luce del sole mi accorsi che era un portone di legno con una serratura abbastanza arrugginita. Doveva essere parecchio vecchia. Mi tremavano le mani, ma non potevo perdere il controllo proprio allora. L'adrenalina cominciava ad avere il suo effetto. Dal portone entrò un'altra figura incappucciata e con la tunica:
"Svegliati. È arrivata la tua ora. Ora andremo dal Maestro. Lui si occuperà di te".
Quella voce... Andy! Brutto figlio di puttana, appena ti avvicini ti squarcio la gola, fosse l'ultima cosa che faccio! Ero in preda alla rabbia. Ora Andy si stava avvicinando alla sedia. Posò la candela che aveva in mano a terra. Le mani mi grondavano di sudore. Per un attimo sentii il coltello scivolarmi dalle mani, ma lo riafferrai prontamente. Sì, sì, avvicinati che ti ricambio il favore, stronzo. Si chinò sulla sedia per slegare le corde:
"Ma queste corde sono state ta..."
Alzai il braccio per pugnalare Andy, ero così contento di fargliela pagare. Mi aveva invischiato in tutto questo e mi aveva allontanato dalla mia famiglia. Se ci penso... Chissà come stanno Alyssa e Lily. Temo per la loro incolumità.
Quel maledetto pagò per ciò che aveva fatto. La lama del coltello penetrò nella spalla di Andy. Urlò arretrando. Estrassi il coltello dalla ferita, che ora sanguinava copiosamente, e colpii di nuovo, al petto.
"Cosa hai fatto? Ah!" fece in tempo ad urlare, poi lo pugnalai ancora ed ancora. Ormai ero estatico. Non mi sarei mai ritenuto capace di una cosa del genere, il piano abbozzato poco prima mi sarebbe parso folle se lo avessi analizzato anni fa. Eppure ora ero lì, a metterlo in pratica. E provavo un piacere estremo, che mi fece dimenticare tutta la paura e il dolore delle ore precedenti. Ripensandoci ora, non credo fossi del tutto lucido. Era l'aria di quel luogo ad ispirare violenza, era un'aria fredda... fredda e malvagia. Non si poteva rimanere indenni. Nessuno può mantenersi per lungo tempo sano di mente in condizioni di assoluta realtà. Chi è che lo diceva? Shirley Jackson? O Richard Matheson? Non ricordo. La frase tra l'altro non è molto connessa alla situazione, chissà come mi è venuta in mente. In ogni caso, devo registrare tutti i miei pensieri. Tutto potrebbe aiutarmi... ma cosa c'è ormai che posso fare?
Dopo l'ennesima coltellata Andy si accasciò al suolo sanguinante. Non aveva opposto resistenza, lo avevo colto di sorpresa. Mi guardai le mani alla luce della candela e vidi che erano imbrattate di sangue. Riposi il coltello in tasca e mi chinai sul mio vecchio amico.
"Muori, stronzo". La frase mi uscì dalle labbra in maniera del tutto naturale. Ormai l'adrenalina o forse l'atmosfera del luogo mi avevano cambiato profondamente. Godevo letteralmente della cosa, come uno di quegli psicopatici sadici che tanto affollano i film. Aspettai. Andy T. ebbe qualche sussulto, sputò del sangue, poi restò immobile, morto. Risi, di gusto.
Mi alzai e mi diressi verso la porta. Proprio allora ebbi un sussulto al cuore. Aveva urlato! Andy aveva urlato! Sarebbero arrivati subito. Ne avevo già incontrato un altro e probabilmente erano molti più di quanto immaginassi. In preda al terrore mi acquattai al muro. Poi ricordai quello che aveva detto l'uomo incappucciato. Qui solo la morte potrà udirti. Ma cosa intendeva? Che nessuno poteva udire ciò che avveniva nella stanza? O forse che intorno alla stanza c'erano solo persone che non avrebbero risposto ai miei appelli? In ogni caso, il ricordo in parte mi tranquillizzò. Se anche ci fosse stato qualcuno, avrebbe creduto che ad urlare fossi stato io, non Andy. Sperai che fosse così.
Ripresi a muovermi e pian piano mi avvicinai al portone, tenendo tra le dita la candela. La porta era soltanto socchiusa. Allungai la mano e la spalancai. Davanti a me, a circa due metri e mezzo, vidi un'altra porta, uguale a quella che avevo appena aperto. Una vecchia porta di legno grezzo. Le due porte si trovavano all'interno di un corridoio, buio quanto la stanza che avevo appena lasciato. Facendomi coraggio uscii nel corridoio.
Il corridoio aveva un soffitto estremamente basso, tanto che avrei potuto toccarlo tranquillamente alzandomi sulle punte. Da un lato e dall'altro nulla. Solo un tunnel rettangolare invaso dalle tenebre. A terra, a differenza della stanza, non c'era terreno, ma mattonelle grigie. Le mura ai lati delle porte erano ricoperti da crepe e muffe. In alto vidi delle ragnatele, nelle quali i miei capelli per poco non si impigliarono. Dovevo fare qualcosa, al più presto. Rimanere lì impalato non mi avrebbe aiutato. Decisi di scegliere uno dei due lati. Ah, maledetto il fato! Se avessi scelto l'altro forse non sarebbe successo nulla di tutto ciò... ma ne sono poi così sicuro? Le loro spire mi avrebbero raggiunto forse anche se fossi riuscito a fuggire. E non è detto che imboccando il lato opposto del corridoio vi sarei riuscito. Ma la nostra mente ama i "se" ed i "ma" ed ama anche credere che se vi è una scelta cattiva ve ne è anche una buona. Se da un lato abbiamo il bene, dall'altro c'è il male; se esiste un bivio le due strade devono necessariamente essere una giusta e una sbagliata. L'uomo ragiona così, per assunti romantici e romanzeschi. Ma quasi sempre entrambe le strade sono sbagliate. Spesso sia da una parte che dall'altra non c'è altro che dolore, disperazione, follia, morte. Che non ci sia qualche cospirazione in atto contro la razza umana? Qualche diabolico progetto elaborato alla scopo di struggere ogni parvenza di felicità nel mondo? Qualche seme del male piantato nell'animo degli uomini? In Dio non posso credere più... né d'altronde ho mai avuto particolare fede. Posso credere invece nel Male, quello vero. L'ho visto.
Ma devo ritornare a narrare. Da quanto tempo sto scrivendo? Ore, giorni? Non lo so. Ancora non mi hanno preso... eppure sono qui, beffardi, e aspettano il momento giusto. Che cosa aspettano? Maledetti... maledetti...
Andai a destra. Mi incamminai tenendo la candela all'altezza del petto. Davanti a me la luce rivelava sul pavimento, man mano che avanzavo, altre ragnatele, polvere, residui di terreno e foglie. L'aria era fredda, più fredda di quella che c'era nella stanza dove mi avevano segregato per chissà quante ore.
Non so di preciso dopo quanti passi vidi la luce. Trenta, forse quaranta. Ma ad un certo punto vidi un bagliore in fondo al corridoio. Distava almeno altri cinquanta metri. Quanto cazzo è lungo questo corridoio? Fu quello il pensiero che mi balenò allora alla mente. E ancora oggi non trovo risposta alla domanda. Capii immediatamente che mi avevano scoperto. La luce iniziò a muoversi velocemente nella mia direzione. Sentii un grido.
"Fermatelo!"
Era la voce del primo uomo che avevo incontrato.
"Quello sciocco l'ha lasciato fuggire. Lo puniremo". Il tono ora era calmo.
Mi voltai e iniziai a fuggire. Arrivato quasi alla porta, inciampai e caddi. La candela si spense. Sbattei il volto a terra e la lingua mi finì tra i denti. Rischiai di mozzarmela. Sentii subito il sapore del sangue in bocca. Erano già a pochi passi dietro di me, sicuramente due uomini oltre a lui. Forse tre. Afferrai convulsamente il coltello che avevo riposto in tasca. Mi alzai sulle ginocchia e mi voltai nella direzione dalla quale provenivano. Vidi la luce, un uomo e colpii. Urlò.
"Mi ha colpito! Bastardo!"
Vidi un piede e mi arrivò un calcio dritto allo sterno. Stramazzai a terra. Il coltello mi cadde dalle mani.
"Brutto schifoso!" continuava ad urlare l'uomo che avevo colpito. Intanto un altro mi tirò un altro calcio negli stinchi. Il dolore era lancinante.
"Ha un coltello" disse, avvisando quello che a quanto pare era il suo capo.
"L'ha preso a quell'imbecille. Cosa hai fatto?" mi chiese l'uomo dalla voce cupa. Tacqui.
Un altro calcio. Questa volta gemetti.
"Deve averlo ferito... o peggio" commentò l'altro.
"Se è così, la pagherà. La cosa non piacerà al Maestro" osservò il capo "Prendetelo. Portatelo nell'altra stanza e andate a vedere cosa ne è stato di quello sciocco di Andrew T."
"Sarà fatto" rispose quello.
Questa volta mi colpirono alla nuca. Persi conoscenza.

Il Terrore dell'Ultima LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora