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Valicarono l'abitazione senza recinti, camminando sul pietrisco scivoloso e aggirando le statuette in arenaria grigia di nani, satiri e ninfe appollaiati in ogni dove, fino a raggiungere la soglia, dove Furnilla diede qualche colpetto alla porta di legno. <<Signora Gatta! Siamo qui per le noci!>>

Poco dopo furono fatte entrare da una donna che aveva vent'anni di corpo e quaranta di viso. «Buon pomeriggio, Tiziana» salutò Furnilla. «Dovrebbero esserci delle noci per noi, vero?»

Lei annuì e si fece da parte per consentire alle due giovani di entrare, guidandole poi verso il salotto, dove le sorelle ebbero un'inattesa e non molto gradita sorpresa. La Papera stava starnazzando contro quel «maledetto impiccione cascamorto» che si era permesso di posare una mano sul braccio di sua nipote.

«È inconcepibile la quantità di sfrontatezza che insegnano ai giovani di questi tempi!» borbottava, mandando lampi dagli occhietti piccoli e astuti, che riuscivano a vedere ogni cosa, oltre ogni sforzo di nasconderla, oltre ogni bugia, ogni silenzio. Chiunque avesse un segreto, aveva ragione di temere la Papera.

Era una donna magrissima, con le spalle e il naso appuntiti e le dita che sembravano artigli, perché aveva l'abitudine di tagliarsi le unghie solo quando se ne ricordava. Dal mento le sbucava qualche ciuffo di peli irsuti e aveva un incisivo sbeccato, dovuto ad una brutta caduta. Si diceva che dopo la morte del marito si fosse ubriacata a tal punto che aveva iniziato a distruggere il thermopolium dove si era rifugiata e l'oste era stato costretto a spalmarle una padella in faccia. La Papera invece diceva di essere semplicemente caduta da una scala. Tutti avevano la possibilità di vedere quell'incisivo, perché tutti, prima o poi, avevano a che fare con il suo ghigno di curiosa determinazione o il suo ringhio di rabbia.

Non appena la vide, Furnilla si irrigidì e, lentamente, strisciò dietro le spalle della sorella, dimenticando di essere più alta di lei di tutta la testa e qualche dito. Ma non c'era pericolo che la Papera la notasse, finché misurava a piccoli e frettolosi passi le esigue dimensioni della stanza. La Papera aveva un modo di camminare che era noto in tutta Italica. Zampettava come un ragno e si era fatta confezionare uno speciale tipo di sandali cavi sotto la parte centrale della pianta del piede, così che quando camminava per le strade si sentiva il tic-tic dei suoi passi sull'acciottolato. Era come una buccina d'allarme, e chi non desiderava farsi cogliere in fragrante con l'amante o subire imbarazzanti domande si affrettava a togliersi dal suo campo visivo.

La Papera non era la sola ospite della Gatta. C'erano anche sua nipote e la Verruca, che pareva scomparire dentro i cuscini del triclinio, così piccina e minuta com'era, ma aveva uno sguardo sveglio e attento ed era l'unica che sapeva come prendere quel vecchio mastino senza venire azzannata.

«Qualcuno dovrà insegnargli l'educazione, a quello lì» proseguiva intanto la Papera, scarlatta dalla fronte al petto.

«Ma di chi state parlando?» domandò la Verruca con la sua voce profonda e roca come quella di un uomo, che contrastava talmente con il suo aspetto fragile.

La Papera ruotò su sé stessa, puntandole contro un dito ossuto. «Di quel mollusco invertebrato di Gamba di Legno, ecco di chi! Se non fossi intervenuta, avrebbe portato la mia povera nipotina al più disastroso disonore!»

Non che lei avesse fatto molto per tutelarlo, il suo onore, pensò Marcia, senza dire nulla. Le era stato insegnato a suon di botte a tenere a freno la lingua e l'ultima cosa che desiderava era inimicarsi quella pericolosa strega.

A quel punto, Egnazia aprì la bocca, forse per protestare, ma la zia le si avventò contro come un cane su un osso. «Tu sta' zitta, piccola farabutta, che se non fosse stato per me ti saresti fatta spupazzare da quel casanova, e a che pro? Lo sai quante oneste giovani ha rovinato quel ribaldo da quando è arrivato? Più di sette, e non è qui che da sedici mesi!» Si portò una mano alla fronte, lasciandosi cadere su una seggiola e poggiando il gomito al tavolo. «Oh, Tiziana cara, dammi un sorso di quel tuo buon idromele, che mi sta venendo un'emicrania.» Mentre la donna, che era appena rientrata nella stanza, si affrettava ad uscire di nuovo, la Papera si rese conto della presenza di altre due ospiti, e subito i suoi occhi e la sua bocca formarono un cerchio. «Oh, dolce Afrodite, voi qui con questo tempaccio? Che ci fate in giro? Qualche appuntamento galante?»

Onore e PassioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora