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Era da tantissimo tempo che non tornava a casa, pensò Marcia, ferma davanti al Rudere. Ne scrutò le tristi pareti di pietra, tese le orecchie per captare i suoni famigliare; lo spadellare della mamma in cucina, le urla e le lamentele di Quinto che non riusciva a trovare il solito paio di caligae per il cantiere, la risata argentina di Furnilla che si preparava per uscire con il nuovo spasimante.

Marcia era resolutissima a non entrare. Quinto aveva detto che non le avrebbe concesso di mettere piede dentro il Rudere fino a che lui avesse vissuto. Ora c'era solo lui in casa. La mamma era al Foro, a comprare le ultime cose al mercato. Era il giorno degli schiavi. La ressa era indicibile e ci avrebbe messo un bel po' per tornare.

Marcia batté un piede per terra, spazientita. La puntualità non era mai stato il forte di sua sorella. Furnilla era solita dire che bisogna sempre farsi aspettare, perché l'attesa alimenta il desiderio e la nostalgia. Marcia trovava la cosa alquanto irritante e irrispettosa. Era da almeno mezz'ora che la stava aspettando. Furnilla le aveva promesso di venire a casa dello zio a prenderla e poi di portarla a vedere il nuovo spettacolo all'anfiteatro ormai ultimato. Le nuvole di Aristofane. Marcia si era letta l'opera nella biblioteca dello zio, e Servilia, che l'aveva studiata a scuola, gliel'aveva spiegata. Pollione era entrato nel bel mezzo della lezione e, una volta soli, le aveva chiesto se avesse rinunciato all'idea della scuola. «Tuo zio sarebbe certamente disposto a pagare la retta» aveva assicurato. Le dava del tu, perché la riteneva una bambina, ma non le dispiaceva. Marcia lo vedeva come una sorta di zio, o di fratello maggiore. Il ruolo maschile che Quinto aveva distorto e Surano ingigantito.

Gli aveva risposto che non ci pensava più, tutto qui. Aveva così tanto da fare – aveva accuratamente evitato di menzionare Vannio – e poteva imparare molte cose anche stando nella biblioteca tutto il giorno.

Marcia si grattò un braccio. Ma dov'era finita?, si chiese, girando intorno al rudere fino a trovarsi sotto la finestra della camera di Furnilla. La chiamò sottovoce ma nessuno rispose.

Si morse un labbro. Doveva entrare? Sfidare in quel modo Quinto? Avrebbe aspettato un altro po'.

Ma l'opera sarebbe iniziata a momenti e ce ne avrebbero messo di tempo per arrivare al confine tra Verdevista e Chiacchieropoli...

Così Marcia prese un bel respiro ed entrò nella tana del lupo. Suo padre era nel salottino in fondo al corridoio e non la vide né sentì mentre saliva le scale ripide ed entrava nel cubiculum, sussurrando: «Furnilla, svegliati, facciamo tardi!»

La sorella non rispose. Era sdraiata a letto, e dormiva. Marcia stentò a credere ai suoi occhi. «Furnilla?» la chiamò. La scosse per la spalla, ma lei non reagì. Non si lamentò nemmeno.

Allora Marcia fu presa da un terribile dubbio. La prese per le spalle e l'agitò con energia, ma lei non aprì gli occhi.

«Numi...» si portò le mani alla gola Marcia.

Le mise due dita sul collo, alla ricerca del battito.

Trovandolo, respirò di sollievo. Prima di poterci riflettere sopra, gridò a gran voce: «Papà! Papà!»

Subito avvertì un certo tramestio al piano di sotto. Immaginò Quinto scuotere la grossa testa bovina e domandarsi dove avesse già sentito quella voce. E poi capire che la figliola ripudiata era tornata di soppiatto a casa. E stava urlando come una screanzata.

Sentì i suoi passi pesanti su per le scale e sul pianerottolo. Lo vide comparire sulla soglia, rosso in viso, ma qualunque cosa avesse voluto dirle rimase raggelata sulle sue labbra, perché si limitò a ruggire: «Che diamine succede?»

«Furnilla...» Marcia la mostrò, con mano tremante, «non so cos'abbia. Non si sveglia...»

Quinto caracollò col suo passo da orso fino al capezzale della primogenita. Le sollevò le palpebre, esaminò la lingua ed auscultò il cuore, prima di comandare, in gran fretta: «Corri, vai a chiamare il medico.»

Onore e PassioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora