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Ogni volta che poteva, Marcia tornava alla scuola di Morsione, si nascondeva dietro la cancellata e ascoltava. Lo zio le aveva fornito dei pugillares, sui quale lei passava lo stilo con lentezza e precisione. A volte faceva persino i compiti e le ricerche che il grammaticus assegnava per il giorno dopo e ripeteva a fior di labbra le risposte che gli studenti dovevano dare all'unisono. Più cose le entravano nella testa, più si sentiva felice e al proprio posto. Capitava che, tornata alla domus di Surano, indottrinasse i parenti su quello che aveva imparato, facendo l'evasiva quando loro le chiedevano da chi l'avesse saputo.

Un incentivo a tornare alla scuola era rappresentato ovviamente dal bel ragazzo dai capelli rossi. Sedeva sempre accanto alla sorella, e non staccava gli occhi dalle proprie tavolette cerate, a differenza di Ulpia che sbuffava annoiata dal primo minuto di lezione all'ultimo. Talvolta iniziava a parlottare a voce alta col fratello, e lui le ingiungeva di smetterla, oppure si concedeva un mezzo sorriso riluttante e lei gli dava di gomito, ghignando. Marcia invidiava la loro vicinanza. Era chiaro che si volevano bene. Anche lei avrebbe voluto tanto un fratello maggiore che le stesse vicino promettendole di difenderla sempre, strappandola dalle grinfie di Quinto, proponendole di scappare insieme in Italia, lì dove tutto era più facile, a Roma, dove le strade luccicavano d'oro, gli edifici di pietre preziose, e i soldi si raccoglievano nei canali di scolo.

Una mattina stava riordinando i pugillares nella sua capsa quando avvertì qualcuno incombere minacciosamente su di lei. Si voltò e sobbalzò, quando vide i sorrisi di scherno dei quattro rampolli di Cala Chitara: i due figli dei Campidoglio e le due figlie del console.

L'alto e biondo Albazio aveva incrociato le braccia al petto. «Guarda, guarda, cos'abbiamo qui?»

Il fratello Cordio, di un anno minore, fece un'espressione stupita. «Ehi, fratello, ci avevi visto giusto! Sta davvero spiando le lezioni.»

Intervenne la più giovane delle due ragazze, la bionda e incredibilmente stupida Scribonilla. «E prendendo diligenti appunti, vedo!» La sua voce era un fastidioso cinguettio, ma la sua risata era anche peggio, come lo squittio di un topo misto al singhiozzo di una zebra ubriaca.

Infine parlò la formosa Numisia, la testa inclinata da un lato. «Cosa facciamo con lei? Non mi pare corretto pagare la retta del grammaticus mentre questa piccola spiona ha lo stesso risultato origliando le lezioni e senza pagare un soldo.»

«Sii buona» la placò Albazio. «Se si veste così, è chiaro che non ha nemmeno un asse, poverina.»

Marcia impallidì e poi arrossì, cercando di escogitare la maniera di andarsene senza danni. Certo, avevano tutti i diritti di essere arrabbiati con lei. Ma perché non decidevano di raccontare tutto a Morsione invece di spaventarla a morte con vaghe minacce sorridenti?

La capsa stretta al petto, cercò di passare in mezzo a loro, ma Albazio le si parò davanti. «La classe è andata tutta a tua sorella, vero, gallina?»

Scribonilla gli diede man forte. «Ehi, sento odore di uova fresche! Te le nascondi sotto il vestito?»

Cordio con una mossa improvvisa sollevò la tunica consunta che Marcia usava per badare ai pennuti della Verruca, scoprendole le gambe fino alle cosce. Marcia si tirò indietro, mentre il ragazzo fischiava: «Eh, però, hai delle belle gambe! Dovresti mostrarle più spesso, come fa tua sorella.»

Scribonilla infierì, ragliando in quella che era la sua risata: «Col viso che si ritrova le conviene!»

«Lasciatemi...» sussurrò Marcia, sfuggendo alla mano tesa della ragazza.

«Poco petto, però, ne convieni?» chiese Albazio al fratello.

«Difficile a dirsi, vestita com'è.»

Onore e PassioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora