Addio amico mio

1.2K 107 34
                                    

I giorni a venire trascorsero tranquillamente: la mattina mi svegliavo coi suoi capelli profumati sotto il mio naso, vedevo i primi attimi di luce che i suoi occhi desideravano.
Mi sorrideva dolcemente e si alzava subito, e preparava la colazione per tutti.
Ascoltavamo le telecronache, oppure qualche strano programma. Yuri stava imparando il russo, è vero, ma ancora non sapeva la maggior parte delle sintassi.
Una mattina, tuttavia, l'aria si fece poco leggera.
Il giornalista si era ora spostato sul Giappone per una notizia lampo. Parlava di un maremoto, o terremoto verso sud.
Hasetsu era a sud.
Guardai pochi istanti dopo Yuri. Penso che abbia capito, dalla sua faccia terrificata.
Continuava a fissare lo schermo, e continuava, continuava. Chissà a cosa stesse pensando. Magari non era nemmeno il suo primo terremoto, in quella zona, il Giappone ne è tempestato continuamente.
Non ebbi nemmeno l'impulso di spegnere la televisione. Era il suo paese, doveva reagire.
<<Yuri>>
Ebbe un sobbalzo, si voltò verso di me.
I suoi dolci occhi ora erano spalancati, tremanti e cercavano disperatamente una ragione per non chiudersi in lacrime.
<<Sta calmo. Dopo chiameremo a casa. Se è davvero successo qualcosa, ci avrebbero avvisati>> mi alzai, spensi il televisore, che ormai era passato ai pettegolezzi. Ha avvertito il pericolo, anche se la cronaca era in un'altra lingua a lui mezza sconosciuta, gli é bastato capire "Giappone" , "terremoto" , "Kyushu".
Non era il momento più promettente per parlare.
Mi chinai verso di lui, che stava ancora seduto, e mi guardava, senza mai staccare gli occhi dai miei.
Gli accarezzai un ginocchio e gli sorrisi, in un modo un po' malinconico.
<<Andiamo a pattinare un po'?>>
Un poco, vidi che si riprendeva.
<<Va bene>>
Quando Yuri è agitato, è sempre meglio portarlo sopra il ghiaccio.
<<Ah, Viktor, non serve che venga anche tu>>
<<Non mi vuoi tra i piedi?>>
<<No! Non è questo... solo che, se ti vedessi pattinare... mi verrebbe voglia di farlo con te>>
Il doppio senso non si poteva evitare.
<<Yuuri, sei così molesto>>
<<M-MA CHE HAI CAPITO>>
Era così rosso, imbarazzato, come un bambino quando conosce un adulto. Ridei e lo baciai.
<<Ho capito, tranquillo>>
Makkachin ci stava ancora fissando.
<<Makkachin, vuoi venire pure tu?>>
Era sempre più stanco, più pigro. Si muoveva a malapena ed era dimagrito molto.
Sentivo che non c'era ancora molto da aspettare.
<<Cucciolotto, torneremo tra qualche ora, tu sta buono qui e riposa, intesi?>>
Ebbi un cenno di approvazione. Yuri si chinò e lo accarezzò.
<<Ciao, Makkachin>>
<<Ci vediamo dopo!>>
E chiudemmo la porta. Era rimasto tutto indietro, tutto spaventosamente freddo. Lui era dall'altra parte, scodinzolante come sempre.
Ci avviammo verso la pista.
Lungo la strada incontrammo Yurio. E indovina con chi era.
<<YUURIIOOO>>
Gli gridammo, lui e Otabek si voltarono.
Ormai quel ragazzone è più in Russia che nel suo paese.
<<Ma che cazzo ci fate in giro a sta ora?>>
<<Buongiorno anche a te>>
<<Buongiorno>>
<<Ciao "Beka l'amico">> sorrisi a Yurio, che subito mi guardò male.
<<Ehm>> lui era leggermente in difficoltà.
<<N-NON ASCOLTARLI>>
Ci allontanammo, riprendendo la via verso la palestra.
<< Prenditi cura di nostro figlio!>> gli urlai. Yurio sbottó e mi lanció contro della neve.
Entrati li, notammo che c'era veramente poca gente. Andammo a indossare i primi pattini che ci capitarono a tiro.
Appena Yuri mi vide entrare con lui in pista, si illuminò. Basta veramente poco per renderlo felice.
Ormai il mio corpo non sarà mai più smagliante come in gioventù, ma rimango pur sempre bellissimo, modestamente.
Ommioddio, Yuri si é tirato i capelli, come quando fa Eros ... é così eccitante, vuole provocarmi?
<<Yuri, mi fai vedere il nuovo programma?>>
<<Quello per i campionati in Giappone?>>
<<Esatto>>
Iniziò a roteare, a provare dei salti. Non c'era nulla da fare, i salti erano davvero il suo tallone d'Achille. Tuttavia ondeggiava, piroettava che era una meraviglia.
Non so per quanto andò avanti. Fatto sta che una cerchia di persone si sedettero sugli spalti e ci guardarono. Bisbigliavano cose sul "coach Viktor" e del suo allievo "kotleta".
Arrivó poco dopo pure un giornalista con la sua cerchia di cameramen. Cioè, aiuto. Costantemente ovunque. Metto il piede sul ghiaccio e scatta l'allarme.
Mi sento costantemente accerchiato, motivo in più per cui ho smesso di allenare Yuri quando c'era qualcuno presente, se non quei pochi di cui mi fido.
Guardavano ammaliati la "coppia della Russia" che si cimentava nelle piroette, nei movimenti aggraziati.
Mi permisi di lasciarlo un secondo e di andare a chiedere gentilmente di lasciarci soli, poiché Yuri si agita e non riesce a concentrarsi (cosa palesemente falsa, in quanto stavano disturbando solo me).
<<Come procede la vostra relazione?>>
<<Quando si terranno i prossimi tornei?>>
<<Lo seguirete?>>
Poi una fatale domanda.
<<Avete saputo del Kyushu, colpito dal terremoto, come avete reagito?>>
<<Ne stiamo discutendo>>
<<Quindi non vi prenderete comunque una pausa per decidere cosa fare?>>
<<Qui siamo in pausa, se permettete>> andai su tutte le furie e li lasciai dove erano, tornando da Yuri. Yakov li allontanó poco dopo.
<<Tra qualche oretta torneremo a casa e li chiameremo, sta tranquillo>>
Ricaricai i nostri anelli, lucenti, così dorati e ricchi di armonia.
<<Pensi che sia successo qualcosa?>> mi chiese.
<<Sinceramente non lo so. Vedremo.>>
Terminato il tutto, molta gente stava entrando in pista, e rimpianse di non essere arrivata prima per vedere la Coppia della Russia sul ghiaccio.
Salutammo tutti e ci avviammo.
Da qui, da questa città, é tutto così diverso. Non si conoscono tutti, tutto é costantemente freddo, costantemente uguale. Almeno, lo era qualche tempo fa. Da quando sono tornato con Yuri conosco decisamente più posti, più persone. Per tutte le volte che eravamo fuori casa e volevo baciarlo, ma lui voleva angoli appartati, cercavo le vie più isolate e sperdute, imparandole ormai a memoria, e imprimendo su di esse la nostra essenza.
Qui in Russia non sono tutti simpatici come in Giappone. Si fa più fatica a socializzare, soprattutto Yuri che non è del posto.
<<Viktor...>>
<<Posso comunque chiamarli fuori? Non voglio entrare in casa e rimanere col peso>>
<<Va bene, fai>>
Il suo telefono incominciò a squillare. "Rispondete".
"Rispondete".
<<Yuuri>>
Era suo padre
<<Papà, come state? Cosa é successo?>>
<<Qui ad Hasetsu nulla, a dirla tutta. Un leggerissimo tremore, ma l'epicentro era più a nord>>
<<Oh... meno male. State tutti bene?>>
<<Si si, tranquillo>>
Meno male che non era successo nulla. Che stupido, avrei immaginato che avrebbero parlato di Hasetsu, soprattutto ora che Yuri è qui in Russia. Non dovevo mettergli pressione.
<<Grazie al cielo>> sospirò, guardandomi rasserenato.
<<Si>> gli sorrisi. Non dovevo dire altro, se non prendergli la mano e tornare in casa.

<<Makkachin?>>
Ero fuori a spalare della neve, avevo chiesto a Yuri di stare in casa con lui.
Sentii un urlo che mi chiamava.
Corsi in casa, abbandonando la pala, che cadde con dolcezza sulla neve.
Ancora ne cadeva, dal cielo. Gli angeli piangevano, e le lacrime degli angeli sono troppo perfette per cadere come la pioggia, quindi cadono come neve. Lievi fiocchi che ondeggiano, trasportati dalla fragranza del vento.
Saltavo quattro gradini alla volta, dalla velocità.
La mia San Pietroburgo, appestata dal ghiaccio perenne e da quel poco Sole che permetteva la sua presenza.
Mia piccola città, che tanto piccola non sei.
Non mi avevi detto che questo giorno sarebbe arrivato.
Aprii la porta e vidi Yuri, a terra.
Vicino a lui Makkachin, che non si muoveva più.
Yuri stava vicino a lui, ad accarezzarlo, piangendo.
Rimasi pietrificato, cosa stava succedendo?
<<V-Viktor... s-si è accasciato...>>
Mi avvicinai lentamente, a passi leggeri. I miei occhi erano spalancati, ricercavano aria tagliente, così che non mi si vedesse piangere.
Ma a che serviva? Ora c'era solo Yuri con me. Con lui potevo.
Mi misi vicino a lui, mi accasciai e presi Makkachin tra le mie braccia.
Come quando era cucciolo.
Mi dispiace, mi dispiace.
Tutto rimbombava di colpe nella mia testa, tutte verso di me. Rimpianti, su rimpianti. Poi mi ricordai che non servivano. Makkachin è stato il mio amico più fidato. È sempre stato con me. Il suo candido pelo, mi sta accarezzando. Sembra che sia ancora vivo.
Ma non lo è. Non più.
I momenti passati a rincorrerlo per la casa, a sgridarlo, a insegnargli tutto. I momenti in cui ero triste, o non avevo idee, mi si avvicinava e iniziava a leccarmi la faccia o a pretendere coccole. Dormiva sempre con me, e se io non c'ero, si metteva sul mio letto ad aspettarmi.
Il mio piccolo Makkachin. Sono felice di aver trascorso questa mia vita con te. Sarai sempre con me, vicino al mio cuore. Dio, vorrei davvero che fossi qui solo per sentirmi che ti saluto. Volevo farti uscire ancora, farti vedere di nuovo la Russia, il Giappone.
Yuri sta piangendo con me e mi abbraccia.
Non ci staccammo per un bel po'.
Presi coraggio, lo presi in braccio e lo caricai in auto, avvolto da una coperta: la sua coperta. Il mio Makkachin.
Yuri chiamò gli altri. Yurio, con il suo compagno, Yakov, Lilia, Mila, tutti coloro che sono molto amici nostri.
Sembrava fosse davvero morto qualcuno di importante. La maggior parte di loro rimase impassiva. Russi nel midollo.
Andai nel cimitero di famiglia. A differenza di Yuri, che teneva la tomba in casa propria, io non ce l'avrei mai fatta. Entrare in casa e ricordarmi ogni volta che non c'era più. Non so cosa preferisse Makkachin.
Avvolto dalla coperta, lo deposi accanto ai miei familiari. Quelli rimasti.
Si fermarono, gli altri, chinandosi sull'ammasso di terra. Yuri lo accarezzò, dicendo qualcosa in giapponese. Un arrivederci. Una preghiera per incontrare Vicchan. L'eterna serenità.
Io fui l'ultimo.
Il mio piccolo Makkachin.
Hai vissuto anche troppo a lungo, piccolo mio. Almeno ci hai visti felici. Anche tu lo eri?
Addio Makkachin. Ti ho davvero amato tanto.
Lo accarezzai a mia volta, poi lo coprimmo.
Makkachin, spero tu stia bene ora.
Quella notte facemmo l'amore. Non tanto perché non ce ne importava nulla.
Eravamo esausti, ma nell'animo.
Tristi, volevamo solo urlare di disperazione. Non sentivamo Makkachin ai nostri piedi che dormiva. Dio, avrei voluto urlare.
Mi manchi, Makkachin.

I colori che urlanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora