Capitolo 13

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OLIVIA, 27 Ottobre 2013

Mi sono svegliata con una strana sensazione. Non dico negativa, solo strana. Uno strano nervosismo, una malinconia, la piccola e lontana sensazione che qualcosa non vada nel verso giusto.

Sono nel letto che mi rigiro, e non so cosa fare. Non ho molta voglia di alzarmi, e non ho nessuna fretta, visto che ho il giorno libero dalla pasticceria.

Lavorare mi sta aiutando, magari dovessi andare... mi distrarrei sicuramente da questo non so che.

Guardo l'orologio: sono le sei e il sole sta sorgendo, un po' pallido.

Savannah è via con Daniel, una vacanza per festeggiare il suo compleanno, che si avvicina.

Parigi.

Sono contenta per loro, ma a volte penso che averla sempre qui accanto a me sarebbe meglio. Mi rendo conto di essere egoista, in questi mesi l'ho usata come anti stress, e non è corretto. Si meritano un po' di tempo insieme.

Scaccio via il pensiero avvelenato e vado in cucina, calciando via le coperte.

Non ho nemmeno fame. Non mi capitava da un po' di non averne, almeno da quando non ero tornata da Ibiza.

Ricordo il viaggio di ritorno avvolto solo da una nebbia fitta.

Piangevo, o forse no.

Non mi sono mai permessa di lasciarmi andare a quel ricordo, o sarei sprofondata nella desolazione.

Ricordo la mano di Savannah sulla mia, e di essermi soffermata sulla differenza delle nostre carnagioni. Lei abbronzata da sembrare nera, io un po' rossa, molto più chiara di lei, questo sì.

Ero piombata in albergo in lacrime, la valigia chiusa a malapena, sfinita.

Savannah mi era corsa incontro, chiedendomi almeno un miliardo di volte cosa fosse successo. Singhiozzavo talmente tanto da non poter rispondere, e nemmeno respirare. Eravamo rimaste abbracciate per ore, fino a quando non avevo smesso di piangere.

Non che lo volessi. Le lacrime avevano semplicemente smesso di cadere.

Le avevo usate tutte? Probabile...

Avevo sentito, una volta, che per ogni persona c'è una quantità limitata di lacrime da usare in una vita sola. Che le mie fossero finite davvero? A poco più di vent'anni?

Mi sentivo vuota, come i ricci di mare dopo averne rovesciato il contenuto.

Le avevo raccontato tutto a grandi linee, poi avevamo chiamato l'aeroporto per comprare due biglietti di ritorno per quella stessa sera.

Mia madre entra nella cucina e mi strappa dal passato.

«Ah! Sei sveglia!», poi si accorge della mia espressione. «Tutto bene?».

«Sì, mamma, tranquilla. Non riuscivo a dormire e mi sono alzata...», le sorrido. Nella sua voce noto un tremore, quasi avesse paura di vedermi sfiorire come qualche mese fa. Ci ha messo un bel po' per tirarmi fuori da tutta quella tristezza, e sa che sono in bilico per scivolarci dentro di nuovo.

«Stavo per venirti a chiamare, in ogni caso». Di nuovo quello sguardo.

«Che succede?», chiedo allarmata.

Con la testa accenna all'esterno della casa. «Sono uscita a buttare la spazzatura e... C'è un uomo qui fuori», dice, e il mio cuore si ferma per un secondo. «Dice che ha bisogno di parlare con te, ma non so se fidarmi. È straniero, non parla bene la nostra lingua».

#Wattys2016 Saved Love - Una canzone per salvarciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora