2. Forget.

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"Ogni amore, ogni scelta, ogni strada...Sono inevitabilmente legati al nostro passato."

Demi#

Il suono odioso del telefono si diffuse nella stanza facendomi svegliare, tastai il comodino accanto al letto, presi il telefono e risposi ancora con gli occhi chiusi e assonnati - Pronto?- Chiesi sbadigliando - Pronto, salve signorina Demetria...Suo padre mi ha detto di ricordarle il pranzo, alle 13:30 al ristorante "Millionaire".- Disse Stefanie, la segretaria di papà, parlando velocemente...Sbuffai e guardai l'ora, mio padre mi aveva fatto chiamare alle 6:00 del mattino per ricordarmi il nostro pranzo settimanale, pessimo. - Grazie, digli che ho ancora un cervello e che, dopo tre anni, riesco a ricordarmi il giorno, l'ora e il posto dove ci incontriamo...Buona giornata Stefanie.- Dissi gentilmente chiudendo la chiamata e sdraiandomi nuovamente...Era arrivato al punto di non chiamarmi più lui di persona, mi faceva chiamare da altra gente per qualunque cosa, anche la minima cazzata...Era troppo occupato per sprecare tempo con sua figlia e sinceramente ne ero grata...Mi basta già quel dannato Mercoledì per sentirmi dire di studiare di più e di non deluderlo, perché era questo che mi diceva nella mezz'ora che dedicava a me, tra telefonate di lavoro ovviamente. Sospirai e mi alzai assonnata ma troppo nervosa per dormire un'altra ora, mi avvicinai alla finestra, che dava su un immenso cortile, e sorrisi nel vedere il sole sorgere, per essere una giornata di fine Settembre, il tempo a New York era dei migliori...Sorrisi e cercai di pensare ad altro, altro che non fosse mio padre o lo studio, pensai a me sorridente che correvo in mezzo ad un campo, infinito, con il sole che si impossessava di me, poi presi il solito blocco da disegni e iniziai a disegnare quello che stavo immaginando, la libertà, quella che forse non avrei mai assaporato, che non avrei mai vissuto, perché la mia vita non era sinonimo di libertà, bensì di prigione...Una prigione fatta di bugie, ricchezze, doppie facce, crudeltà, finzione e molte altre cose orribili che potevano far urlare chiunque dalla disperazione, e così facevo io...A volte, quando ero al limite, urlavo e facevo uscire tutto l'odio e il dolore che questa vita mi recava, perché se non urlavo, facevo anche peggio, mi facevo del male e preferivo urlare. Finii quel disegno e lo osservai in tutte le sue sfumature, con matita, senza alcun colore...Perché quel disegno oltre a rappresentare la libertà che avrei voluto, rappresentava anche la vita che stavo conducendo, nero su bianco...Era questa la vita di una riccona che avrebbe preferito vivere in periferia, invece di vivere nel quartiere più ricco della grande mela, Manhattan. Sospirai e chiusi il blocco, tutte le mie emozioni erano racchiuse in quel quaderno di cuoio, tutti i ricordi erano concentrati su ognuno di quei fogli...Dal più bello, al più orribile...Quello odioso che mi tormentava da anni, quello che risiedeva ancora nella mia mente, ma anche quello che ormai faceva parte del passato...Un passato che non avrei mai più osato rivivere. Mi alzai dal davanzale di marmo ancora freddo, ed entrai in bagno...Osservai il mio riflesso allo specchio dopo essermi sciacquata la faccia, il mascara del giorno prima che colava su gli occhi, quegli occhi spenti, quelli che non provavano emozioni positive da troppo tempo...Poi mi spogliai e rimasi in intimo di fronte allo specchio lungo che mi permetteva di vedere tutti i difetti che il mio corpo aveva, mi sfiorai i fianchi tondeggianti, poi le gambe piene di smagliature...Cercai di vedere le cose belle di me, come mi avevano detto di fare, mi guardai il viso, le labbra abbastanza carnose e rosee, il nasino pronunciato...Sorrisi leggermente, sorrisi per non piangere, per non pensare a quanto le persone mentivano dicendomi che ero bellissima, le stesse persone che appena me ne andavo iniziavano a trovare ogni mio minimo difetto e ingrandirlo già più di quello che non era, quelle persone erano i miei famigliari, mia madre e le mie zie, le mogli dei soci di papà e, adesso, mi sentivo giudicata anche da quello sguardo pieno di odio, da quei occhi color ambra che mi osservavano e che tra un'ora avrei rincontrato, il mio sguardo nel suo, il suo nel mio...Forse solo per un istante, un istante pieno di silenzio ma anche di parole, perché dal suo sguardo capivo quello che voleva dirmi, quello che non aveva potuto dire sei anni fa prima di andarsene...Quello sguardo mi aggrediva, mi odiava...Mentre io rimanevo lì, dandogli ragione e abbassando lo sguardo senza riuscire a sostenere il suo...Codarda, ecco quello che ero, codarda.

Take Me Away.(A Justin Bieber FF)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora