Vittime e martiri - parte 4

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Rientro in questa sterile fogna lasciando Bori al suo voyeuristico passatempo, incamminandomi a grandi passi verso la tozza infermiera che mi sta aspettando impaziente sull'uscio.
- La attendono di sopra, - grida allargando le fauci come una lampreda pronta a mordere.
La voce di questa strega in miniatura mi lacera le tempie già provate dall'anestesia. Sono sull'impervio stretto di Messina, alla guida di una piccola imbarcazione pericolante.
La donna mi invita a seguirla con un gesto della mano, mentre prego ogni divinità creata dall'uomo affinché non proferisca più parola.

Supero il piano terra, salendo le scale con in corpo una certa dose di interesse. Mi capita abbastanza di rado; forse dovrei venire qui più spesso.
Non credo di aver mai ricevuto alcuna visita, in questi anni di viavai tra ospedali e commissariati. Dalla vita ho avuto quantomeno la miserabile soddisfazione di non incappare in occhi di pietà che non fossero i miei. Non ho nessuno, e neppure cerco mani altrui a cui aggrapparmi. Mi bastano le mie, per quanto logore e piene di tagli.

Quelli che una volta chiamavo amici si sono ormai dileguati come fantasmi, spariti tra le mura imbrattate di questa città insieme all'ultima goccia della mia sanità emotiva. Alcuni di loro hanno semplicemente intrapreso la strada dell'assottigliamento sociale, entrando a far parte del mondo moderno come cavie in un labirinto senza uscite: una casa, un buon lavoro, magari una donna con cui recitare la farsa dell'amore. Altri sono semplicemente scappati.

Dall'altro lato della barricata c'è la mia famiglia: un branco di cani mal assortito dedito solo a voltarsi lo sguardo a vicenda. Lo è sempre stata. Si aggirano furtivi nelle loro case, in punta di piedi, tendendo le orecchie alle mura vicine per giudicare i loro simili con perfidia. Ignorano i propri difetti per accrescere quelli degli altri; inutili nullità con la testa infarcita di morale pseudo cristiana. Si ammazzerebbero a vicenda, se solo potessero.
Fortunatamente, nessuno di loro ha mai avuto il tempo o la fantasia di pensare a me; e se ci fosse un Dio lo ringrazierei di cuore, per questo.

Il mio disprezzo per il genere umano si allarga anche e soprattutto al sangue del mio sangue, infetto e corrosivo. Se fossi l'ultimo della mia razza non esiterei ad ammazzarmi, pur di farci estinguere del tutto. Non ho mai voluto alcun aiuto, specialmente da parte di vermi del genere. Mi basto io. La solitudine mi si addice, ci sguazzo.

Gli uomini hanno paura di restare soli perché in fondo ne hanno di loro stessi, come primati spaventati dal proprio riflesso.
L'emarginazione personale è amore per il proprio Io, dimostrazione estrema di indipendenza emotiva. Chi riesce a crogiolarsi nella solitudine ha già infranto la natura umana: debole e tribale, fragile e pavida, in continua ricerca di condivisione. 

Tra un vaneggiamento e un altro giungo di nuovo al piano di sopra. Cariddi ha finalmente smesso di farmi da prora, e con un ritmico movimento delle anche si allontana fino a sparire tra i corridoi intricati dell'edificio. Posso smettere di pregare.
Mi incammino verso la suite che mi ha ospitato stanotte, in attesa di ricevere il verdetto alla domanda che mi ha portato a lasciare Bori da solo in mezzo a tutte quelle ragazze. Mi sento un incosciente.
Apro la porta facendomi investire da un abbacinante fascio di luce. Odo una voce familiare prima ancora che i miei occhi si riprendano dall'impatto col sole.

- Si può sapere che cazzo ti passa per la testa? - mi grida contro Emma gesticolando vistosamente.
- Ah, sei tu.
- Chi credevi che fosse?
- Kalki?
- Chi?!
- Lascia perdere.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 13, 2018 ⏰

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