Capitolo Dieci

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Undici luglio.
Devo ammettere, che aspetto che sia domani, da quando è finita la scuola.
L'unico vero problema, è che non l'ho ancora detto ai miei. Loro non hanno idea del mio prossimo incontro, quindi devo trovare il modo di farglielo sapere.

Sono tutti riuniti in cucina, a eccezione di me, che preferisco rimanere nella mia stanza per la maggior parte del tempo, evitando qualsiasi contatto con altri esseri umani. Okay, lo ammetto. Magari sto esagerando, ma così è meglio per tutti.

Devi trovare un modo per dirglielo, John.

Oh, bene. Adesso torna anche la vocetta di Sherlock che mi suggerisce cosa fare.

Tu sei consapevole del fatto che la "vocetta di Sherlock" è una creazione della tua testa, vero? Ti stai suggerendo cosa fare da solo.

Sta zitto.
Come glielo dico? O meglio, quando?
Forse la scelta migliore è farlo senza pensarci, scendere in cucina e dirlo schiettamente, tentando di mantenere lo sguardo fermo negli occhi di mio padre, colui che probabilmente negherà.
Sì, è la cosa migliore da fare.

Deciso finalmente il da farsi, mi decido ad uscire dalla mia camera, per scendere la scale il più silenziosamente possibile. Ora, riesco a sentire più distintamente il chiacchiericcio della mia famiglia mischiato a quello della televisione accesa.
Mi fermo sulla soglia della cucina, ad osservare per un momento il quadretto della famiglia felice. Senza di me, chiaro.
Mia madre si muove ai fornelli, cucinado qualcosa dal profumo delizioso. Mio padre legge il giornale comodamente seduto su una sedia mentre mia sorella Harriet legge un romanzo. Hanno tutti e tre un'aria serena. Perchè io non riesco a sentirmi parte di questa serenità?
Mi riscuoto dalle mie riflessioni e mi schiarisco la voce, guadagnandomi l'attenzione di tutti.
Mi reggo allo stipite della porta, poichè ho la sensazione di non riuscirmi a reggere in piedi da solo.

Smettila di fare la femminuccia e diglielo.

-Ehm... Ecco, io... Io domani mi incontro con una persona-. Esordisco, tentando di mantenere un tono sicuro e fermo, anche se non sono molto soddisfatto del risultato.
Mia madre si volta e mi rivolge un largo sorriso.

-Ah sì? E chi è tesoro? Una ragazza?- conclude con un sorrisetto malizioso e facendomi l'occhiolino. Se posso contare su qualcuno, quella è mia madre.

-Oh, no. Il mio migliore amico, il mio compagno di stanza al college-.
Mio padre alza gli occhi dal giornale, guardandomi con occhi inquisitori.

-E dove vi dovreste vedere, sentiamo.-

-Al British Museum. Alle undici e un quarto-.
Mio padre grugnisce e riporta l'attenzione al giornale.

-Non ci andrai-.
Tre parole che bastano a mozzarmi il respiro e farmi rimanere interdetto a fissare il vuoto, benchè me le aspettassi. Dopo qualche istante, sento la rabbia montarmi dentro e devo trattenermi per non urlare.

-Come scusa?- Chiedo.

-Ho detto che non ci andrai. Fine della discussione-.

-E per quale motivo non potrei andarci?- Alzo leggermente il tono della voce, e mio padre se ne accorge. Infatti, appoggia il giornale sul tavolo mentre mia madre mi scocca un'occhiata allarmata.

-Perchè non ho idea di chi sia questo tuo amico. Potrebbe essere un buono a nulla e condurti su una cattiva strada. Mi dispiace.-

-Certo. Adesso ti dispiace pure! Ammettilo che ci provi gusto a rovinare la vita di tuo figlio costringendolo ad andare in una schifosa Accademia Militare e impedendogli di uscire con gli amici! Beh, la vuoi sapere una cosa? Adesso me ne frego di quello che dici o di quello che pensi. Io andrò lo stesso al British Museum e incontrerò il mio amico!- Finalmente sono riuscito ad urlare, e devo ammettere di essere un po' stupito di me stesso.
In cucina adesso regna un silenzio teso e tutti hanno smesso di fare ciò che facevano, per voltarsi a guardarmi.
Mio padre rimane interdetto per qualche secondo, incerto su cosa fare.
Poi, raddrizza la schiena, assumendo di nuovo quel suo atteggiamento autoritario.

-Non ci andrai, se posso impedirtelo-. Dice.

-Sono curioso. Come pensi di fare?-
In tutta risposta, lui avanza pericolosamente verso di me e mi afferra per un orecchio, trascinandomi all'indietro, verso le scale. Non riesco a fare nient'altro all'infuori di dimenarmi e cercare di allentare la sua presa ferrea. Sempre con le dita strette attorno al mio orecchio, mi trasporta fino nella mia camera, spalancando la porta e buttandomici dentro. Cado all'indietro, sul freddo pavimento di legno, riuscendo miracolosamente a non sbattere la testa. Mi alzo il più velocemente possibile, mentre mio padre chiude la porta. Balzo in avanti, tentando di riaprirla, ma sento la chiave entrare nella toppa e girare tre volte. Provo inutilmente a forzarla, ma sono chiuso dentro.

-Ti detesto!- Urlo.
Non ricevo alcuna risposta, soltanto una serie di passi pesanti che si allontana. Riprovo a spingere la porta, a forzare la serratura, ma questa rimane immobile, senza la benchè minima intenzione di sbloccarsi. Provo con una spallata, ma il risultato rimane invariato. Decido di calmarmi. Mi allontano dalla porta, cominciando a camminare avanti e indietro. Con una mano mi sfioro l'orecchio, ancora dolorante.

Pensa, John. Come puoi uscire? Hai tempo fino a domattina.

Ho tempo fino a domattina.
Non sono un bravo scassinatore, quindi trovo inutile provare a forzare la serratura con qualcosa.
Se provassi a buttarla giù, i miei se ne accorgerebbero, non riuscirei a percorrere due metri, prima che mio padre mi chiuda nel ripostiglio.
L'unica soluzione è la finestra. Posso scendere giù dalla grondaia. La mia stanza è al secondo piano, ma non dovrei correre grandi rischi se sono prudente. Dopo essere sceso, potrei incamminarmi verso la strada principale, prendere un taxi e farmi portare al British Museum. Tuttavia, i miei si accorgeranno della mia assenza prima o poi e, in un modo o nell'altro, dovrò subirne le conseguenze.

Decido di dormirci su, per schiarirmi le idee ed elaborare il mio piano. Mi stendo sul letto, cominciando a fissare le ombre scure che si fanno strada sul soffitto, ognuna con una forma diversa. Ognuna con le sue somiglianze. È tutto talmente ipnotico, che sento le palpebre farsi pesanti e gli occhi chiudersi. E senza che me ne accorga, mi addormento.

Mi sveglio con la luce del sole che fa timidamente capolino dalla finestre della mia camera. Aprendo lentamente gli occhi, ripercorro mentalmente ciò che è successo ieri.
Ho annunciato ai miei genitori il mio imminente incontro.
Mio padre mi ha chiuso in camera.
Ho elaborato uno splendido piano di fuga.
Mi volto verso la sveglia, per vedere che ore sono. Le nove del mattino.
Non ho molto tempo. Mi assicuro prima che la porta sia ancora chiusa. Incastro una sedia sotto la maniglia. Nel caso mio padre venisse ad aprire, non posso correre il rischio di farmi trovare mentre scavalco la finestra, quindi tantovale bloccarla.

Prendo i primi vestiti che mi capitano a tiro dell'armadio e mi vesto nella maniera più silenziosa possibile. Afferro una manciata di sterline, sufficienti a pagarmi un taxi, dal cassetto del comodino e mi preparo davanti alla finestra. La apro e lascio che per un istante, la dolce brezza estiva mi investa. Ritorno a concetrarmi sul mio piano di fuga e, con cautela, comincio a scavalcare il davanzale. Resto, per un momento, seduto con le gambe che dondolano nel vuoto, poi mi aggrappo con la mano destra al tubo della grondaia. Sposto anche il piede, in modo da ancorarmi il più possibile all'esile tubo di metallo. Quando finalmente riesco a spostare tutto il corpo sul tubo, comicio a scendere, scivolando verso terra come se fossi su una pertica. Devo ammettere che si è rivelato più facile di quanto pensassi. Quando mi accorgo di essere abbastanza vicino a terra, mi stacco dal tubo, atterrando sul prato dopo essermi librato in aria. Mi alzo, è guardandomi attorno, mi incammino verso la strada principale.

College. ||Johnlock||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora