Capitolo Dodici

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Fra poco, Sherlock verrà a bere il tè da noi. Sto cercando ancora di capire come abbia fatto quel ragazzo, a fare una così buona impressione su mio padre, solo recitando. Per tutto il giorno, mio padre non ha fatto altro che ridacchiare e dire di tanto in tanto:

"Quel tuo amico è proprio un bravo ragazzo".

Si è fermamente convinto di aver trovato un allievo di giurisprudenza, a cui ha intenzione di esporre tutta la sua carriera. Povero Sherlock. Non sa cosa lo aspetta.
Improvvisamente il campanello della porta suona ed io mi precipito ad aprire. Sherlock è sulla porta, alto e leggermente abbronzato che si guarda intorno con interesse.

-Ciao-. Mi saluta.

-Prima che entri, voglio che tu sappia che capirò ogni tuo possibile tentativo di fuga da questa casa e ti aiuterò a metterlo in atto.- dico.
Lui ride lievemente e si stringe nelle spalle.

-No, non credo che scapperò. È vero, dovrò sorbirmi tutti i discorsi di tuo padre, ma sono particolarmente bravo nell'arte del "Non ascoltare davvero". Probabilmente appena terminerà di parlare, la mia mente avrà già cancellato la metà delle informazioni ricevute.-

-Allora avrai un bel po' di informazioni, da cancellare-.
Sorride e fa per dire qualcosa, ma la voce di mio padre ci interrompe,dal soggiorno.

-John? È arrivato il tuo amico?-

-Sì, papà-.

-Fallo entrare!-

-Buona fortuna-. Mormoro, prima di addentrarmi in casa. Vedendo che Sherlock non mi segue, mi volto di nuovo verso la porta e lo vedo con gli occhi chiusi, la testa inclinata  all'indietro e un'aria melodrammatica mentre respira profondamente.

-Cosa stai facendo?-

-Il personaggio, John. Devo entrare nel personaggio.-

-Il... personaggio?-

-Sì, John. Il personaggio. Quello dell'allievo idiota di giurisprudenza-.

-Oh. Giusto. Ovviamente-.
Gli faccio strada fino al salotto, mentre lo Sherlock che conoscevo ha lasciato spazio ad un pimpante aspirante avvocato, che saltella allegramente per i corridoi di casa mia.

-Oh! Sherlock! Ragazzo mio!- esclama mio padre in un tono gioviale, accogliendo Sherlock come se fosse un suo vecchio amico.
Sherlock arrossisce violentemente e sorride timidamente a mia madre e a mia sorella. Harriett, dopo averlo salutato mi si accosta, con le braccia incrociate e un'aria sospettosa.

-È strano, quel tuo amico.- dice.

-Non è strano-. Ribatto indignato.
Harriett inarca un sopracciglio indicandolo con un cenno della testa.
Mi volto e vedo Sherlock che si aggira con aria sognante per il salotto, esaminando con interesse tutti gli scritti di giurisprudenza sulla libreria. Sembra talmente realistico, che per un momento temo che sia diventato davvero un'altra persona.
Poi però, lo vedo lanciarmi una delle sue occhiate furbe e tiro un silenzioso sospiro di sollievo.

-In compenso, però, è molto carino-. Osserva mia sorella. Mi ritrovo ad annuire energicamente, con un sorriso ebete stampato in faccia.
Harriet mi lancia un'occhiata obliqua prima di andarsi a sedere sul divano.

Ma bravo Watson. Fai saltare la copertura.

Taci.

Non appena ci sediamo tutti sul divano, mio padre comincia un lungo discorso sulla difficoltà della giurisprudenza. Sento che sto addormentarmi.
Adesso.
Lancio una mezza occhiata a Sherlock che ascolta con interesse e annuisce di tanto in tanto. Scommetto che non vede l'ora di andare via.

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