1. Vulnerabile.

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Sally's pov

Il mondo sembra crollarmi addosso. Sta succedendo tutto molto in fretta...anzi, fin troppo, tanto che la mia mente si riempie in poco tempo di così tante domande e si affolla di così tanti pensieri che, ne sono sicura, scoppierà da un momento all'altro.

È davvero mio padre, quest'uomo?

Perché è venuto a cercarmi solo adesso?

Come faccio a sapere che non mente?

E se fosse solo una bugia e mi stesse illudendo?

Ho passato anni a indagare su chi fosse realmente mio vero padre. Ogni scusa era buona per tirare fuori l'argomento dalla donna che mi ha dato la vita, dalla classica domanda che facevo a quattro e cinque anni -"Mamma, tutti i miei amici hanno il loro papà che fa a loro tanti regalini e li porta al luna park; il mio dov'è?"- a quella insistente che ho iniziato a fare all'età di sei anni circa -"ma mamma, chi è il mio papà?"

Le uniche risposte che ricevevo, però, erano A. a quattro o cinque anni: "scusa, tesoro, mi stanno chiamando al cellulare", quando sapevo benissimo che era solo una giustificazione per scappare via e non addentrarsi nel discorso che stavo per fare. Ho capito troppo tardi, però, che quando se ne andava poi piangeva nella camera da letto per colpa delle mie stupide domandandine che la facevano sentire ancora più male di quanto stesse già; B. "questo non è il momento giusto per dirti certe cose" -sosteneva che me le avrebbe dette quando fossi cresciuta; C. "no, Sally, oggi non è giornata", mi rispondeva poi qualche anno più tardi. L'ultima volta che me lo disse ne avevo sette e poi non glielo chiesi più quando cominciai a capire che questo argomento fosse troppo delicato e che non avrei dovuto più parlarne ma aspettare il giorno in cui fosse stata lei a dirmi tutta la verità.

Quel momento non è mai arrivato e io sto ancora aspettando.

Credevo che forse non volesse parlare di lui perché il dolore era troppo forte, arrivai perfino a pensare che fosse morto e che non se la sentisse di dirmelo per paura che potessi starci male ma da quando, un giorno, capii che era vivo e vegeto, vidi mamma piangere mentre si trovava davanti ai conti da pagare e i soldi non bastavano, maledicendolo e sussurrando a bassa voce la solita frase che da quell'attimo in poi mi è entrata in testa e continua a ripetersi nei miei incubi, come una cantilena: "brutto bastardo, devi morire, ti meriti solo quello", imparai ad odiare mio padre senza sapere tutt'ora cosa avesse fatto alla donna che mi ha dato la vita.

Ad Amanda Evans, che mi ha affibbiato il suo cognome all'anagrafe perché non sopportava che avessi qualcos'altro di lui che non fosse il sangue. Amanda Evans, la quale non ha mai odiato nessuno così tanto quanto il suo ex marito.

E poi dicono che bisogna voler bene a entrambi i genitori per essere felici...ma come si fa a voler bene a qualcuno che sta distruggendo lentamente l'unica persona a cui tieni? Che la sta distruggendo così tanto da farti spaventare, sentire impotente e inetta?

Quando ero piccola vivevamo da sole. A quel tempo non avevamo tanti soldi quanti ne abbiamo ora e mamma lavorava dove capitava, perciò portava lo stretto necessario per mangiare. Lei era magra, tanto magra, e lo stava diventando ogni giorno di più. Mi spaventava. Si stava trasformando in uno scheletro vivente, a volte non mangiava per far sfamare me nonostante le proponessi di dividere il cibo e io non potevo fare nulla per farle tornare il sorriso -ero solo una bambina, come avrei dovuto comportarmi?

Le mie coetanee invece non avevano tutti questi problemi. Loro avevano i soldi, una famiglia, degli amici. Non sapevano cosa significasse tornare a casa ogni giorno e trovare la propria madre sul divano, in lacrime, a lamentarsi delle bollette, delle tasse e dell'affitto; dei soldi che non bastano mai per pagare tutto quanto e sapere di non poter essere d'aiuto in nessun modo.

Avrò cura di te. [#3] |IN PAUSA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora