Vita tranquilla e bisogno di avventura

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"Il mio nome é Bilbo Baggins.
Sono un Hobbit della Contea"

Il giovane Bilbo aveva ripetuto quella frase talmente tante volte che spesso ricompariva nei suoi sogni. A dire il vero, più che sogni, erano incubi; che, per inciso, avevano preso a turbare le sue notti da diversi mesi, ormai.
La sua vita, un tempo, era molto diversa.
Tutto era iniziato all'epoca delle guerre con gli orchi: la sua famiglia aveva tentato più e più volte di dissuaderlo dalla folle idea di arruolarsi.
"Non sei un guerriero, sei un Hobbit!", gli dicevano.
"Gli Hobbit non vanno in guerra, e non si impicciano in cose che non li riguardano!".
"Saresti solo d'intralcio, e in più rischieresti la vita!", infierivano.
Ma più dicevano queste parole, più il giovane Baggins rimaneva saldo nelle sue convinzioni, caparbio: non voleva stare in quel buco Hobbit tutta la vita, per quanto confortevole potesse essere; voleva vedere il mondo.
E il mondo non stava nei libri o nelle mappe che lui avidamente sfogliava tutte le volte che poteva.
Era là fuori... E ben oltre il limitato panorama che riusciva a scorgere dalla sua piccola finestra.

Fin da bambino aveva desiderato andare ben oltre i confini della Contea, ed era deciso a realizzare quel sogno, checché ne dicessero i suoi innumerevoli parenti!
Si era perciò allontanato, non appena aveva raggiunto la maggiore età, dalla casa paterna, e trasferitosi in una piccola casa nella cittadina di Brea.
Certo, non era molto lontana da Hobbiville né dalla sua famiglia, ma per iniziare andava più che bene.
E questa decisione aveva, se possibile, innervosito ancora di più i suoi genitori: già era raro che un Hobbit decidesse di trasferirsi, ma a Brea soprattutto, dove il rischio di incontrare Vagabondi e criminali era all'ordine del giorno, ritenuta dunque poco raccomandabile, e di certo non un posto ritenuto adatto ad un Hobbit rispettabile.
Bilbo, al contrario, si era subito innamorato di quella cittadina così frenetica e pulsante di vita, che ogni giorno vedeva transitare tra le sue vie viaggiatori di ogni sorta. Ben diversa dalla sua Hobbiville, dove l'evento più eclatante era il mercato agricolo del venerdì...
Era lì che aveva compiuto i suoi studi erboristici, specializzandosi come guaritore.

Ma c'era anche qualcos'altro, di quel luogo, che aveva affascinato il giovane Hobbit, anche se non riusciva a spiegarsene la ragione. Almeno, non allora.
Un giorno, infatti, girovagando senza una meta precisa per la cittá-solo per assaporarne atmosfera, colori e suoni-aveva notato una piccola costruzione su due piani, con una porta verde, su cui erano state inchiodate cifre e lettere dorate, al di sopra di un battente d'ottone:

"221B"

Aveva poi letto la via:

"Baker Street"

Bilbo, già incuriosito da quel nome così insolito, si era sentito subito attratto, da quel luogo; come se una forza sconosciuta lo attirasse a sé: gli trasmetteva un senso di... appartenenza... di predestinazione...
D'impulso, aveva alzato una mano, sfiorandone poi il battente d'ottone con delicatezza, con l'intento di bussare, tale era la sua inspiegabile curiosità.
Subito, però, aveva avvertito una strana sensazione, come se una forte energia l'avesse attraversato per quel breve istante, al punto che aveva lasciato la presa dal battente, senza compiere il gesto. Aveva invece dovuto riscuotersi, sbattendo più volte le palpebre, come se si fosse risvegliato da un sogno ad occhi aperti.

A quel punto, era corso velocemente via, forse un po' spaventato da qualsiasi cosa quel posto gli avesse tramesso... ma allo stesso tempo intrigato.
Aveva infatti subito chiesto notizie su quella casa: a quanto pareva, era abitata solo da un'anziana donna, che si credeva essere una maga: questo perché, nonostante i suoi cento anni e passa, non ne dimostrava più di una sessantina. Si diceva che anche qualcun altro avesse vissuto lí; ma l'Hobbit non era riuscito a scoprire nulla circa la misteriosa identità di quell'individuo. Certo, avrebbe potuto chiedere alla bizzarra padrona di quella casa, ma qualcosa gli aveva suggerito di non immischiarsi troppo in quella strana faccenda.
Aveva perciò accantonato quel pensiero, seppur a malincuore, fino a scordarsene quasi del tutto.
Aveva poi vissuto a Brea per quattro anni, finché non era venuto a conoscenza delle guerre degli orchi, che si stavano svolgendo nei pressi di Eregion.
Tutta la sua famiglia, come già detto, si era opposta con forza a quella balzana idea. Come aveva fatto per tutte le altre sue decisioni, comunque...

Una frase di quella discussione gli era rimasta in testa:
"Tu appartieni alla tua famiglia. Sei un Baggins di casa Baggins".
Al che Bilbo aveva protestato, con esasperazione: "Ma noi non siamo solo Baggins! Avete dimenticato il nostro lato Tuc??-e aveva continuato con fervore:-Lo sapevate che il nostro antenato Hamish, nella battaglia di Campiverdi vinse contro un intero esercito di goblin, staccando la testa al loro capo con la sua spada?
-... ... Lo sappiamo...-avevano risposto loro, alzando gli occhi al cielo.

Bilbo era rimasto ancor più avvilito da quel modo di fare: come potevano tutti loro aver dimenticato quell'incredibile retaggio? Come potevano non sentirsi almeno un po' ispirati da tali imprese??
Ma lui non si era lasciato abbattere, nossignore! Aveva infatti subito firmato per entrare a far parte di quel battaglione in partenza, portando con sé anche le sue abilità di guaritore.
Al momento della firma, però, aveva esitato: voleva iniziare una nuova vita, perciò ci voleva una nuova identità. Aveva tenuto fin troppo a lungo il nome di Bilbo Baggins: era tempo di cambiare.
Fu in quel momento, che gli tornò in mente quella misteriosa casa: quando aveva sfiorato la porta, aveva avvertito una sorta di fremito, dalla punta delle dita, fino al petto.
Era quasi sembrata una sorta di... magia..

Quella sensazione era svanita rapida così come era arrivata. Ma, prima, un nome aveva fatto capolino nella sua testa, più rapido di un fuoco d'artificio, ma ugualmente visibile. E lo aveva sentito subito, inspiegabilmente, come suo.
Fu proprio quel nome che scrisse sulla pergamena delle nuove reclute:
"John Watson"
All'ultimo momento, tra i due ne aveva aggiunto anche un altro: "Hamish", per ricordare l'illustre antenato che era stato per lui una continua fonte di ispirazione.
Era perciò partito col cuore pieno d'orgoglio e di speranza, pronto alle fantastiche avventure che gli si prospettavano.

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Una coltellata.
Era bastata quella a infrangere tutti i suoi sogni.
Un orchetto lo aveva infilzato alla spalla sinistra con la sua lama: era un miracolo che fosse sopravvissuto; ma quella ferita aveva messo la parola fine a tutti i suoi progetti.
Era dovuto tornare alla casa paterna, dove i suoi parenti lo avevano accudito con affetto e solerzia durante la riabilitazione: senza però esimersi dal fare commenti tipo: "Che ti avevamo detto?", aumentando così il suo senso di vergogna e di fallimento.
Aveva dimostrato che la sua famiglia aveva ragione. Era un Hobbit. E non era fatto per la vita avventurosa.
Era perciò tornato a vivere nella Contea, a casa Baggins, che aveva ereditato dopo la morte dei suoi genitori. Si era infine abituato a quello stile di vita, fatto di sonnolenti pomeriggi in giardino, letture e tè occasionali con qualche vicino.

Dopo l'iniziale insofferenza, Bilbo aveva dunque finito per adattarsi. Aveva ripreso persino ad usare il "vecchio" nome: a che pro continuare ad usare quello con cui non aveva concluso nulla?
Lo Hobbit ancora non lo sapeva, ma qualcosa di assolutamente inaspettato sarebbe giunto di fronte alla sua porta.
E sarebbe stato solo l'inizio...

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