È una promessa

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Il viaggio dalla stazione a casa non finisce più. Penso a ciò che potrebbe succedere con Nate, ma le possibilità sono due: o caccia sia me che Cam o ci punisce. Ma, in ogni caso, non permetterei mai che Cam si prenda la colpa. Perché alla fine è solo colpa mia. Sono stata egoista e non ho pensato alle conseguenze. E ora, chissà cosa succederà.
Cam parcheggia nel vialetto di casa e insieme, mano nella mano, entriamo in casa.
Il modo migliore per non destare sospetti è fare finta di nulla -Ciao!- urliamo insieme -Siamo tornati!-
-Com'è andata la giornata?- chiede Nate, scendendo le scale. Un sorriso gli illumina il volto. Le cose sono due: o non sospetta nulla oppure fa finta di niente. Non saprei dire, però, quale sia l'alternativa giusta.
Infatti, una parte importante del carattere di Nate è che nasconde sempre bene ciò che pensa, che sa, che prova. E' impenetrabile, cosa che potrebbe rivelarsi un pregio o un difetto a seconda delle situazioni. Al momento lo vedo come un difetto.
-Tutto bene, grazie- rispondiamo di nuovo all'unisono io e Cam, con un tono tra il preoccupato e l'ansioso.
-Ok- è un po' esitante, ma poi continua -Venite, andiamo a mangiare-
Aspetto che Nate si allontani, poi mi rivolgo a Cam -Sembra che non sospetti nulla-
-Sembra- risponde -ma se c'è una cosa che so di Nate, è che è una persona piena di sorprese. Quindi non abbassiamo la guardia-
Annuisco leggermente con la testa. In seguito butto giacca e borsa sul divano.
Con il cuore in gola, mi avvio verso la sala da pranzo, stringendo la mano di Cam.
Ci sono tutti, pronti per mangiare. E ci guardano, seri come non mai, mentre Nate, a capo tavola, comincia a distribuire le sacche di sangue.
Facendo finta di nulla, mi siedo al solito posto, in mezzo ad Ashley e Britney, e Cam fa lo stesso.
-Allora- comincia Nate -come hai passato la giornata, Luna?- la sua voce ha un tono accusatorio.
Un tuffo al cuore: sa tutto. Guardo Cam negli occhi per un secondo, poi mi schiarisco la voce e sorrido, come se nulla fosse -Molto bene, grazie. Ma mi stavo rompendo di stare a scuola-
-Capisco. D'altronde, tu odi la scuola- continua Nate. Si guarda intorno sorridendo -Ragazzi, vorrei condividere con voi la storia di quando Luna è entrata a far parte del clan. Soprattutto la parte del giuramento-
-Penso che non sia necessario. Hanno ascoltato tutti quella storia- cerca di difendermi Cam.
-Insisto- sentenzia infine Nate, guardandolo dritto negli occhi. Prende uno dei suoi diari dalla libreria della sala da pranzo e comincia a leggere.

Giugno 1618, Londra, Inghilterra
Diario di Nathaniel Harris
Camminavo per le strade buie di Londra. In giro non c'era quasi più gente, ormai.
Avevo fame. Cercavo disperatamente qualcuno con cui nutrirmi, non tanto da ucciderlo, ma solo per saziare la fame. Poi gli avrei cancellato la memoria.
Mi dispiaceva fare del male alla gente innocente, ma d'altronde che altro potevo fare?
La strada era in discesa e abbastanza pericolosa da percorrere di notte. Ma non mi preoccupavo di ciò. Il mio problema primario era di trovare del cibo.
Invece ho trovato qualcos'altro. Sentivo singhiozzi leggeri, che venivano da lontano. Mi misi a correre giù per la discesa, inseguendo quei singhiozzi che ad ogni passo diventavano più forti.
Arrivato vicino al suono, mi fermai, cercando di capire da dove venisse. Individuata la direzione, mi misi di nuovo a correre e la vidi.
Era una fanciulla di forse sedici anni, i capelli neri, lunghi e sporchi; gli occhi verdi, spenti dalla tristezza che li annebbiava. L'abito, ormai non più bianco, era strappato in più punti. Era magra, forse troppo, e pallida in volto. Era evidente che non mangiasse da tanto.
Ma la cosa ancora più evidente era che sapevo cosa fosse. Un vampiro, come me.
-Signorina, state bene?- le chiesi, avvicinandomi a lei.
Le toccai un braccio, ma lei lo ritrasse -Lasciatemi!- urlò e cominciò a grattarsi il petto, all'altezza del cuore.
-Cosa volete fare?!- dissi, cercando di fermarla.
-Sono un mostro! Voglio morire! Non ce la faccio più con questa vita! Ho ucciso così tante persone!- le lacrime rosse crollavano a fiotti e non sapevo che dire per fermarle. Per fermare la ragazza da ciò che stava facendo -Ecco! Prendetelo! E uccidetemi!- urlò, lanciandomi un paletto di legno.
-Non siete un mostro e non vi aiuterò mai a morire- dissi, lentamente -Noi due siamo uguali. Posso aiutarvi a controllare la sete di sangue, se volete-Una luce nei suoi occhi mi disse che credeva alle mie parole, che c'era ancora speranza nel suo cuore.
-E come?- chiese, tra i singhiozzi.
-Ci vorrà un po' di tempo e tanta fatica. Ma vi aiuterò. Vi starò accanto per tutto il percorso- le dissi con dolcezza. Le asciugai le lacrime scarlatte e sorrisi. Lei fece lo stesso e a quel punto l'aiutai ad alzarsi.

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