Così cominciò tutto

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Aprile 1509, Londra, Inghilterra
Ricordo bene il mio primo giorno di lavoro presso la corte di Enrico VII. Quella notizia mi arrivò qualche giorno prima da un'amica, Marianne, che lavorava a corte già da qualche anno.
Il re, già da tempo, era malato di tubercolosi, ma questo non lo fermò mai. Infatti ha sempre svolto i suoi compiti di re, anche se costretto a letto.
Mi alzai di buon ora, per non arrivare tardi. Ero emozionata ma allo stesso tempo spaventata. Avrei dovuto lasciare la casa dei miei genitori e i miei cari, forse per sempre.
Ma questo non mi avrebbe fermato: la mia famiglia era povera e mio padre era molto malato. Avevano bisogno di me, dei miei guadagni, per comprare cibo, cure per mio padre e tutto ciò che serviva per l'istruzione dei miei fratellini. La mia famiglia era tutto per me e avrei fatto qualsiasi cosa per dare loro una vita migliore.
Mia madre, Julie, era una donna di circa quarant'anni, con le mani e il volto rugosi per via del duro lavoro. Da lei ho preso i capelli mossi e neri, nonché il corpo slanciato e la voglia di aiutare il prossimo e accettare qualsiasi tipo di sfida. La donna aveva inoltre degli splendidi occhi azzurri, che ricordavano un cielo senza nuvole e che la rendevano una donna bellissima.
Mio padre, Liam, è sempre stato un uomo dedito al lavoro e alla famiglia. Ha sposato mia madre a soli vent'anni e, dopo pochi anni, sono riusciti ad avere me. All'epoca le possibilità di vita dopo un parto erano poche, ma mia madre era una donna forte e mio padre la aiutò a resistere grazie all'amore che le dava ogni giorno. L'uomo aveva un viso dolce, circondato da piccole rughe, con un naso lungo e a punta e una carnagione molto chiara. Due splendidi occhi verdi, gli stessi che ho ereditato, rendevano il suo viso luminoso, ma allo stesso tempo impenetrabile.
È sempre stato un uomo allegro, chiunque poteva confermarlo. Lavorava come fabbro nel centro di Londra. Non guadagnava moltissimo, perché la gente era povera e non riusciva a pagare un fabbro, ma spesso lavorava senza nulla in cambio. I suoi clienti gli offrivano, alle volte, delle patate o dei fagioli per ricambiare il favore, e in quei casi lui accettava, perché la sua unica preoccupazione era portare a casa del cibo per sua moglie e sua figlia.
All'appello mancano solo Lilith e Jeremy, i miei fratellini. Avevano rispettivamente otto e dodici anni ed erano delle piccole pesti. Ovunque andassero creavano caos, ma tutti volevano bene a quei piccoli combina guai.
Lilith era una bella bambina dai capelli neri e gli occhi verdi. Ero identica a lei da bambina, tanto che i vecchietti del villaggio spesso la chiamavano Luna, pensando di parlare con me. Jeremy invece era il ritratto di mio padre. Erano molto simili anche nel carattere, tranne che per una cosa: mentre mio padre era una persona molto riservata, quel bambino era un libro aperto per chiunque, persino per quella bisbetica di Mary Louise Bennett, la nostra vicina di casa. Quella donna non sapeva proprio farsi gli affari suoi.
Quella mattina salutai calorosamente la mia famiglia: mi sarebbe mancata tantissimo, lo sapevo. Ma non volevo che fosse un addio. Doveva essere un arrivederci, perché io volevo rivederli. Li amavo così tanto…
Dopo le ultime raccomandazioni di mia madre, un bacio da parte di mio padre e un enorme abbraccio alle piccole pesti, diedi una carezza a Ruby, la nostra gatta, e uscii di casa.
Marianne mi aspettava alla fine del paese: aveva il compito di portarmi da Petunia Giggins, il capo delle cameriere, come diremmo noi oggi. All'epoca si chiamavano sguattere o serve. Sostanzialmente dovevo fare le pulizie e, qualche volta, cucinare. Non me ne lamentavo, mi importava solo di portare dei soldi a casa.
Quella mattina il sole appena sorto scaldava il mio corpo, come farebbe una coperta di lana, anche se le nuvole lo nascondevano tra i loro abbracci. Questo caldo era raro qui a Londra, famosa già di questi tempi per il suo clima freddo e le sue perenni piogge. Ma quel giorno il cielo aveva chiaramente fatto capire di non avere la minima intenzione di lasciar scivolare le sue lacrime.
Sulla strada verso il castello molte persone camminavano a passo svelto per andare a lavorare. I loro sguardi erano stanchi e tristi, come sempre. Vorrebbero una vita migliore per le loro famiglie, passare più tempo con le persone amate, ma di quei tempi non era possibile. Il villaggio londinese era povero e moriva di fame e il re era davvero troppo malato per occuparsi anche di questo. Speravo che col tempo la situazione sarebbe migliorata. Lo speravo davvero.
Camminammo lungo una strada sterrata, al limitare del villaggio. Non portavo nulla con me, se non la mia forza di volontà. D'altronde non avevo bisogno di altro e, in ogni caso, se fossi arrivata a palazzo con oggetti o vestiti, essi sarebbero stati immediatamente ritirati.
-Sei pronta per il primo giorno? Ricordo come fosse ieri il mio. Ero molto nervosa e ansiosa di cominciare!- parlò la mia amica.
-Io spero solo di trovarmi bene. Per il resto, mi sento più pronta che mai- le sorrisi, immaginando il duro lavoro che attendeva a qualche passo da me.
Finalmente arrivammo a destinazione. L’immenso maniero si ergeva davanti a noi, mostrando la sua potenza e la sua bellezza. Alcune donne entravano e uscivano da esso di fretta, prese dal loro lavoro già da alcune ore. Notai una donna con le braccia incrociate al petto e lo sguardo truce proprio davanti a noi, all’entrata del maniero.
-Signorine, siete in ritardo! Dovrete essere puntuali in futuro! Ci metto un secondo a licenziarvi, avete capito bene?-
-Sì, signora!- rispondemmo prontamente. Cominciamo bene.
-Tu devi essere Luna- iniziò a squadrarmi dalla testa ai piedi, come se cercasse ogni mio difetto -Io sono Petunia Giggins. Dovrai rispondere a me durante la tua permanenza qui-
-Sì, signora- risposi, cercando di mostrarmi sicura.
-Molto bene- sorrise appena -Ora, Marianne, torna pure alle tue faccende. Penserò io a lei-
-Sì, signora- rispose la mia amica inchinandosi in segno di rispetto -A più tardi- disse infine, rivolta a me, prima di dirigersi all’interno del maniero e sparire dalla mia visuale.
-Seguimi, ragazza. Ti mostrerò la nostra area di lavoro- partì a passo di carica. Dovetti iniziare a correre per starle dietro. Attraversammo il ponte levatoio ed entrammo nel cortile – Di questa zona non devi preoccuparti. È compito degli stallieri-
Proseguimmo fino ad una rampa di scale, che scendemmo velocemente. L’odore di cibo assalì le mie narici con violenza, facendomi capire in quale luogo ci trovassimo.
-Questa è la cucina, come avrai già intuito dall’odore. Spesso ti verrà chiesto di cucinare. Ne sei in grado?- mi chiese.
-Sì, signora. Guardavo spesso mia madre farlo e lei mi insegnò a cucinare cose semplici, come lo stufato o la minestra di patate. Purtroppo so cucinare solo fagioli e patate, in quanto in casa non si mangiava altro- ammisi, aggiungendo un mesto sorriso.
-Capisco- disse solo, percependo la mia tristezza -Beh, cercherò qualcuno in grado di insegnarti a cucinare altre pietanze. Non è un problema grave-
-Vi ringrazio- dissi solo.
-Molto bene- saranno forse le sue parole preferite? -continuiamo da questa parte- Salimmo un’altra rampa di scale. In cima troneggiava una semplice porta di legno, che la donna aprì velocemente e con decisione -questo è il percorso che le sguattere fanno per arrivare alla sala da pranzo, portando ai Signori le pietanze. Il Re viene servito nelle sue stanze ultimamente. A volte sarà compito tuo portargli da mangiare-
Annuii. Speravo avvenisse, ho sempre desiderato incontrarlo.
Proseguimmo almeno per un’ora. Mi mostrò ogni singola stanza del maniero, tranne quelle riservate. Tutte quelle stanze andavano pulite ogni giorno.
Tornammo nuovamente in cucina, dove mi ordinò di lavare le stoviglie. Primo compito del giorno. Dopodiché sarei andata a cercare Marianne, avrei mangiato con lei e l’avrei seguita per tutto il maniero, aiutandola a pulire ogni angolo di esso.
Sapevo che non sarebbe stato per niente facile…

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