•Capitolo Undici•

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«Posso aiutarti con i bagagli?»
Harry rispose con un sonoro sbuffo, gettando con poca delicatezza il piccolo zainetto smunto e dall'aria malconcia sul letto soprastante. «Come se ne avessi, di bagagli.» rispose con fare scocciato, voltandosi finalmente per incontrare lo sguardo del suo fastidioso interlocutore «I tuoi uomini non si sono certo presi la briga di prendere le nostre cose. Le avranno sicuramente lasciate in quel dannato bosco.»
«E chi te lo dice?» Andrew inclinò la testa di lato, lasciando cadere una ciocca di capelli scuri davanti agli occhi. Harry resistette a stento all'impulso di strapparglieli in un colpo netto. Così vediamo se ha ancora il coraggio di ridacchiare, quel bastardo.
«Potrebbero aver tranquillamente preso i bagagli tuoi e dei tuoi fratelli e averli portati qui, al quartier generale.» continuò imperterrito il più grande, squadrando Harry da capo a piedi. Si soffermò più a lungo sui suoi occhi, facendolo sentire stranamente a disagio. Come se stesse cercando qualcosa, una risposta ad una domanda inespressa «Tu non ti fidi di me.» constatò infine, dopo quelli che parvero secoli, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta.
«Come potrei?» rispose Harry con una risatina sarcastica. «Non hai fatto altro che comportarti da stronzo per tutto il tempo, senza contare il fatto che ci hai fatto percorrere centinaia di scale a piedi inutilmente - poiché c'erano degli aggeggi infernali che fluttuavano a poca distanza da noi e trasportavano della gente fino alle loro stanze, e non osare negarlo - solamente per il gusto di vederci sudare!» il giovane prese a gesticolare, puntando occasionalmente i piedi per terra con fare ostinato. «Oh, e senza tralasciare che per tutto il tragitto non hai fatto che provarci con le mie due sorelle.»
Andrew, durante lo sfogo del giovane, era rimasto completamente indifferente, intento a guardarsi le unghie con un'aria visibilmente annoiata. Poi però, udendo l'ultima parte del discorso, non poté che alzare lo sguardo e fissare l'interlocutore dritto negli occhi con fare felino. «Oh, quindi è questo il vero problema.»
Harry alzò un sopracciglio, irritato come non mai. «Ma mi ascolti quando parlo?! O sei anche sordo?»
«le mie orecchie sono perfettamente funzionanti, fidati» ridacchiò in tutta risposta il più grande, staccandosi dalla parete per accorciare le distanze tra loro. Il corvino se ne accorse, ma non mosse un muscolo. Al contrario, puntò gli occhi dritti in quelli del ragazzo di fronte a lui, quasi a volerlo sfidare con lo sguardo. Il motto della sua famiglia – oltre a "sperare e cercare di sopravvivere" – era sempre stato non indietreggiare di fronte al tuo avversario. Mai. Qualunque esso sia.
Era una delle poche perle che aveva appreso da sua sorella maggiore, Heather, durante le loro occasionali sessioni di combattimento, nel caso si fossero ritrovati a fronteggiare un pericolo inaspettato, nel loro vecchio nascondiglio che era stato il palazzo trasandato della vecchia città semidistrutta dall'apocalisse.
E anche in quel momento, le parole della sorella gli rimbombarono nella mente, e lui era più che deciso a rispettarle. Non aveva paura di uno spaccone amante del pericolo e sprezzante delle regole.
Andrew, intanto, gli era arrivato di fronte. Lo fissava con un sorriso misterioso e, essendo fastidiosamente più alto, anche se non di molto, fu costretto ad abbassare di poco il capo per guardare Harry dritto negli occhi. Il suo sguardo era profondo ed enigmatico e forse, solo forse, dietro quella maschera di ribellione si nascondeva un giovane maturo, magari con un cruento passato alle spalle.
A dividerli, solo l'aria. A quella vicinanza, Harry poté scorgere delle pagliuzze dorate all'interno di quelle iridi nere come la notte, così diverse dalle sue verdi smeraldo.
«Tu sei geloso.»
Harry non era di certo preparato a quelle parole. Sbattè le palpebre, confuso ogni oltre immaginazione. Ben presto però, la confusione lasciò il posto alla rabbia e le guance gli si tinsero di un colore roseo. Andrew se ne accorse e non riuscì a trattenere un sorrisetto malizioso. «È così?» incalzò la dose, approfittando del silenzio del giovane davanti a lui.
Di certo non si vide arrivare lo schiaffo.
Il suo viso si voltò di lato per la forza del colpo che quel giovane – all'apparenza così fragile e mingherlino – gli aveva assestato in pieno volto. Un fastidioso bruciore iniziò a diffondersi per tutta l'epidermide, e confusamente non potè che chiedersi se sarebbe rimasto il segno.
Okay, me lo sono meritato. Pensò Andrew, allungando una mano per accarezzarsi il punto colpito. Il dolore si attenuò, anche se di poco.
Davanti a lui, Harry lo fissava con sguardo truce. «Sei solo un pallone gonfiato, convinto che tutti cadano ai tuoi piedi in un battito di ciglia dopo aver rivolto loro un bel sorriso. Cosa credi che sia, uno scherzo? Mh? Io e la mia famiglia non abbiamo certo accettato di rimanere qui per farci una bella vacanza.» s'interruppe per un attimo, quel tanto che bastava per riprendere fiato, i pugni serrati lungo i fianchi «Non mi fido di te, è vero. Soprattutto dopo la gran cazzata che hai appena pronunciato. Ma di certo non sono tanto stupido da rifiutare un rifugio sicuro, esponendo i miei fratelli ai pericoli del mondo esterno. Anche se inizio a chiedermi se i pericoli non siano anche qui dentro.» socchiuse gli occhi, ricalcando le ultime parole e fissando Andrew dritto negli occhi. Quest'ultimo, dal canto suo, si limitò a guardarlo senza dire nulla.
Nonostante Harry avesse voluto con tutto il suo cuore voltarsi e mettersi a letto, sostenne con fierezza lo sguardo di quello che ormai aveva iniziato a reputare un suo avversario, se non addirittura un nemico. Uno da cui stare alla larga.
Tu sei geloso. Quelle parole continuavano a rimbombargli nella mente, come un'eco. Geloso di chi, poi? Delle sue sorelle? Per un tizio che avevano conosciuto appena e che non aveva di certo un'aria affidabile?
Sembrò passare un'eternità prima che Andrew si decidesse a prendere la parola.
«Da questo discorso deduco che tu voglia starmi lontano il più possibile.» proruppe, inclinando la testa di lato e raddrizzando la schiena. Ignorò bellamente il dolore alla guancia.
«Che intuito, Sherlock.»
«Credimi, non sai quanto vorrei rispettare le tue scelte.» il più grande alzò le mani in segno di resa, parlando lentamente. Harry non capiva dove volesse andare a parare. «Ma è una cosa che mi risulta un po' difficile, dal momento che la mia camera è qui.» detto questo aprì le braccia, indicando lo spazio intorno a loro.
Harry sbarrò gli occhi e si guardò intorno, sentendosi mancare; in effetti, non aveva notato i vari oggetti e vestiti sparsi per la stanza, senza contare un set di armi attaccato alla parete destra. Andrew quasi rise all'espressione terrorizzata del giovane.
«Tranquillo, non le userò su di te.» disse, indicando le armi con un cenno del capo. «A meno che non sia costretto a farlo»
«Tu- io- tu qui?!» Harry cercò di mettere su una frase coerente, ma con scarsi risultati. Non poteva crederci, doveva essere uno scherzo.
«Prima che tu decida di assestarmi un altro pugno in faccia, no, non è stata una mia decisione» si affrettò a precisare Andrew, incrociando le braccia al petto. Paradossalmente, sembrava infastidito quando lui, se non di più. «Non mi piace condividere la mia stanza con qualcuno, ma sfortunatamente nell'ultimo mese sono arrivati parecchi novellini, da come tu e i tuoi fratelli avete potuto notare, e le stanze libere a disposizione scarseggiano. Quindi eccoci qui.»
Senza dare la possibilità al giovane dagli occhi verdi di ribattere, Andrew lo sorpassò, prendendo lo zaino che Harry aveva precedentemente gettato sul letto senza tanti complimenti.
«Tu prendi la branda di sotto»
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Joanne era una tipa davvero fantasiosa, si ritrovò a constatare Heather. La ragazza, infatti, aveva passato le successive due ore a ricamare un arazzo con una precisione spaventosa, creando simboli e figure che si intrecciavano tra loro, formando talvolta dei mosaici mozzafiato sulla superficie sottile.

The Curse - La Maledizione della Terza MoiraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora