IV capitolo

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Il sole sorgeva timidamente oltre il sentiero, illuminando il paesaggio dinnanzi a lui e donando ai suoi grandi occhi neri , sfumature di giallo aranciato.
Mario camminava avanti e indietro, con le mani nelle tasche del pantaloncino. Camminava e calciava di tanto in tanto un sassolino , per ingannare l'attesa.
Si fermava solo per guardare l'orologio :era sempre stato lui quello ritardatario, sia a Roma che qui.
Negli ultimi dieci giorni ogni mattina aveva varcato la porta della residenza trovando due occhi verdi ed un sorriso familiare ad aspettarlo. Si erano salutati con un cenno del capo ed avevano camminato insieme, a volte in religioso silenzio, altre volte raccontandosi del più e del meno.
Mario si era abituato alla presenza di Claudio : averlo accanto lo rendeva stranamente tranquillo.
Non era solito legare con le persone estranee, eppure con Claudio era stato tutto così naturale.
Il suo sorriso e il suo modo di fare lo mettevano sempre a suo agio.
Claudio gli ricordava tanto il Madagascar. Era un insieme di colori : dal verde incontaminato del paesaggio riflesso nei suoi occhi puri, al cristallino delle acque incontaminate come il suo animo buono.
Tutto questo lo portò ad aspettare per più di un'ora, fino a che non si incamminò incredulo.
Percorse il solito sentiero ,ma questa volta non riuscì a bearsi del paesaggio, non riuscì a scorgere cose nuove lungo il cammino, non riuscì neanche a sorridere di cuore al solito signore seduto sull'uscio della porta.
Tutto quello che riuscì a fare fu pensare a Claudio ed alla sua assenza. Pensò a Claudio ed alle sue storie buffe, spesso inventate che lo facevano ridere di gusto. Pensò a Claudio ed al suo stupore ogni volta che quei suoi occhi color di foglia si posavano su qualcosa di nuovo.
Pensò a Claudio e non potè fare a meno di notare che, in soli dieci giorni, tutto di quel posto parlava di lui.

*

Il turno in ospedale era quasi giunto al termine e Mario si sentiva fisicamente esausto.
Era stata la giornata dedicata ai prelievi e lui aveva aiutato gli infermieri di turno con i vari bambini.
Mario ricordava perfettamente cosa volesse dire essere piccolo ed avere paura degli aghi, proprio per questo provava una certa empatia con tutti quei bambini.
Aveva cercato di tranquillizzarli, di giocare con loro , di parlare. Aveva provato ogni cosa in suo potere e con molti di loro ci era riuscito.
In questa sua esperienza aveva scoperto di essere davvero bravo con I bambini, o meglio con questi bambini. Si sentiva molto più vicino a loro di quanto potesse pensare e forse loro riuscivano a percepirlo.
Tutto era andato per il verso giusto, fino a che non era arrivato il turno di Moed.
Alla vista del piccolo dalla pelle color cioccolata ,Mario perdeva ogni lucidità. Ogni sensazione che riusciva a scorgere in quegli occhi era per lui una pugnalata al cuore.

"Hey piccino ,adesso io ,te e Teddy dobbiamo superare una prova difficile. Siete pronti?" gli chiese abbassandosi alla sua altezza e mettendogli una mano tra i capelli ricci.

Il bambino si limitò a guardarlo e Mario si sentì come violato da quella piccola creatura dagli occhi scuri. Ebbe quasi la sensazione che lui riuscisse a leggergli dentro e che per qualche strana ragione quello che vedeva dentro di lui , gli desse la forza di fidarsi.
Moed si limitò ad annuire ed a guardare il suo orsacchiotto di pelouche, come alla ricerca di un tacito consenso.

"Teddy mi dice che ha paura" sussurrò appena sempre rivolgendo i suoi occhi all'orsacchiotto

E Mario sentì il suo cuore stringersi nel petto.
Gli tornarono in mente ricordi che credeva di aver ormai rilegato in un angolino buio della sua mente.
Capì Moed ed il suo modo di esprimersi, capì le sue difficoltà e sapeva perfettamente come aiutarlo.

"Teddy, non devi aver paura " disse rivolgendo uno sguardo amorevole all'orsacchiotto di pelouche "ci sono io qui e vi terrò la mano tutto il tempo, ok? Voi dovete solo guardare me" continuò rivolgendosi ad entrambi

Luna piena » clarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora