Fourteen

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Il mio nome era Virginia Gallagher, diciassette anni, americana.

Fisico curvilineo, media altezza, capelli ed occhi scuri.

Mia madre era morta, vivevo con mio padre.

Volevo bene a mio padre, ma lui mi aveva spezzato il cuore.

Mio padre era un cacciatore di licantropi.

Io ero un licantropo.

Spalancai gli occhi e sentii il freddo pungermi contro la pelle.

Era tutto bianco, come se l'unica cosa intorno a me fosse il vuoto, ma subito il dolore si fece strada prepotentemente dentro di me, ricordandomi che cosa avevo scoperto di essere.

Io non ero umana, forse non lo ero mai stata.

Ero forse nata così? Oppure era successo qualcosa e io non avevo preparato abbastanza attenzione?

Non riuscivo a capacitarmi di ciò che mi era successo.

La testa mi scoppiava, ed ormai non riuscivo più capire nulla di ciò che mi stava accadendo.

Ora ero anche io un mostro come Liam, come Scott, ero ciò diventata che avevo tanto temuto.

Mossi il braccio per potermi grattare gli occhi, così da poter forse migliorare la vista appannata, ma subito mi accorsi che ero legata.

Polsi e caviglie erano strette da forti corde contro il tavolino in ferro freddo.

Sentii l'ansia crescere dentro il mio petto, ed iniziai subito a guardarmi intorno.

Cartelle, gabbie, bisturi, punture.

Trattenni il fiato: ero in uno studio medico.

Iniziai a fare forza su i cordoni, tirandoli con tutta la forza che avevo in corpo, fino a risentire il caldo del sangue quando mi comparirono gli altri e riuscii finalmente a liberarmi.

Mi guardai la mano insanguinata, osservando con cura gli artigli marroncini che erano comparsi al posto delle dita.

Non riuscivo a riconoscere la mia mano, era come vedere un trucco di carnevale, come se indossassi una maschera.

Ma era tutto vero: quella era la mia pelle, quello era il mio corpo.

Io non ero più la ragazzina di prima, ora ero un licantropo, e la cosa non mi piaceva per niente.

Scesi dal lettino, facendo qualche passo verso la porta, ritrovandomi bloccata a metà stanza.

Mi guardai intorno, non riuscendo a capire che cosa potesse bloccarmi in quella stanza vuota.

Allungai lentamente una mano nel vuoto, e subito una forte scossa mi fece indietreggiare.

Guardai a terra, vedendo che il mio letto era circondato da una strana polvere nera.

Ero in trappola.

Avrei voluto mettermi a piangere, se solo non mi fossi sentita così vulnerabile, così in pericolo.

Ero rinchiusa in una stanza e chi mi aveva portato qui conosceva una sostanza capace di intrappolarmi.

Ero spacciata.

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