Annabeth's pov
Dopo essere salita sul taxi che dal centro di New York mi avrebbe portata al Campo Mezzosangue, iniziai rilassarmi per un po'. Era passata quasi mezz'ora dall'ultima volta che la voce di Rea si era presentata e ne fui molto felice, magari se n'era andata oppure si era semplicemente stancata di me
E proprio mentre questi pensieri si facevano strada dentro di me, sentii una lunga e intensa fitta alla testa, come un mal di testa temporaneo e molto doloroso.
- Sono ancora qua invece. Sto scandagliando tutte le informazioni nella tua testa e decidendo quali posso buttare e quali tenere. -
- Puoi veramente farlo? -
- Suppongo di sì, è successo con Percy e con tua madre, perché non dovrei farlo con te. Tante informazioni. Architettura. Storia dell'arte. Visite ai musei. Oh. -
- Cosa? -
- Ho visto una cosa interessante. Tu e quel figlio di Poseidone a letto. Oh, vedo che la sua parlantina non è la sua unica grande dote. -
Probabilmente arrossii e girai la testa verso il finestrino. C'era davvero tanto traffico per strada.
Strada che non conoscevo, che non avevo mai visto prima.
- Signore, scusi. Penso che lei abbia sbagliato strada. Avrebbe dovuto girare almeno cinque o sei chilometri fa. - Cercai di scrutare il suo sguardo, ma era come impassibile e non mi stava ascoltando.
- No signorina Annabeth, questa è la strada giusta. E' una scorciatoia, si fidi. -
Fu allora che mi allarmai. Presi la vecchia spada di Luke, il mio amico purtroppo deceduto. Un'arma a doppia lama, per uccidere sia creature divine, sia creature mortali.
Il problema è che non avrei voluto prenderlo, era come se il mio corpo si muovesse da solo ed io non avevo la minima idea che quell'arma fosse fra le mie mani ma pensavo che fosse andata perduta durante la battaglia sull'Olimpo.
- Difenditi, fammi vedere che sai fare, figlia di Atena. -
Mi trovavo completamente impreparata, senza un piano. Ma decisi di usare l'unico potere che mia madre mi aveva donato: la diplomazia.
- Signore, non so cosa voglia fare, ma ho un appuntamento improrogabile ed ho bisogno di andarci. -
- Voi semidei siete la feccia dell'umanità. Avete distrutto New York e la Terra molte volte e siete, dopo tutto, impuniti. -
Le sue parole mi fecero tremare. Come faceva a saperlo? Era un semidio anche lui? Magari mandato da mia madre. Eppure non poteva essere, nessun semidio proclama di essere feccia, anche se sotto sotto sa di esserlo.
Allora come faceva a sapere di me e dei semidei? Che fosse qualcuno che può vedere attraverso la foschia?
- Scappa. - Sentii solo questa parola nella mia testa alla fine del ragionamento. Ci avevo azzeccato in pieno.
- Sai qualcosa? - Chiesi a Rea, ma probabilmente lo avevo detto ad alta voce e l'uomo iniziò a guardarmi, una volta fermato sul ciglio della strada.
L'uomo era particolare. A un primo sguardo sembrava normale, un mortale con una classica vita da cittadino americano come tanti.
Ma una volta che mi soffermai meglio, capii che il suo occhio sinistro era finto, ma del medesimo colore di quello vero, ovvero color castagna.
Aveva una salopette con sotto una maglietta dallo sfondo bianco ma con una scritta probabilmente.
Aveva ancora entrambe le mani sopra il volante ma lentamente esse si staccarono per aprire la portiera.
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COME CUORE E MENTE |PERCABETH
Fantasy⚠️ATTENZIONE, STORIA IN REVISIONE⚠️ TRATTO DALLA STORIA "Presi la scatolina dalle mani del mio amico e la aprii: al suo interno c'era un semplice bracciale d'acciaio con qualche piccolo brillante incastonato. Quando lo feci fare dall'amico di Paul...