Eren e la sua squadra passarono tutto il pomeriggio ad allenarsi e a giocare in spiaggia. Cenarono nel ristorante dell'albergo, ovviamente facendo impazzire l'allenatrice da quanto chiasso facevano. Di sera c'era chi usciva per fare due passi, chi andava in spiaggia e chi, come Eren e il capitano, rimanevano nelle loro stanze. I due ragazzi avevano acceso la PlayStation e si erano messi a giocare a un nuovo videogames di calcio.
«Goal! E con questo ho vinto io, Eren!» esclamò Tetsuya abbracciando l'amico. «Hai perso per tre a uno... sei più bravo nella vita reale, Eren...» disse sospirando.
«Sono più bravo nei giochi di guerra...» si giustificò roteando gli occhi.
«Che ne dici di andare a dormire, Eren?» gli chiese sorridendogli. Il castano guardò l'orologio: era quasi mezzanotte. Davvero avevano passato tutta la serata a giocare? Ascoltò quindi il capitano, spense tutto e si mise nel letto. L'unica luce che illuminava la stanza era quella della luna. Tetsuya non riusciva a prendere sonno, così si girò verso Eren. Si accorse che indossava ancora la maglietta.
«Non ti togli la maglietta, Eren?» gli chiese.
«Di notte fa un po' freddo, quindi preferisco tenerla» rispose senza girarsi. Sembrava fosse impegnato a fare qualcosa. Il ragazzo si alzò per andare nel letto dell'amico. Teneva il telefono fra le mani. Riuscì a vedere con chi stava chattando: Eren l'aveva salvato come "Master". Sorrideva anche mentre scriveva.
«Chi è questo, o questa, "Master", Eren?» domandò serio. Il castano si girò col cuore che gli batteva a mille. Non sapeva come rispondere. Tetsuya se ne accorse. «Per caso è qualcuno che ti comanda? O la tua ragazza? Sai, di solito è così...» continuò fissando il telefono.
«Niente del genere» rispose alla fine. Il capitano non gli credette. Lesse i messaggi che si inviavano l'un l'altro. Non riuscì a capire se fosse la sua ragazza o sua sorella. I messaggi di questo, o questa, "Master" erano come degli ordini detti dolcemente. "Ricordati di pulire la stanza", "Non far arrabbiare l'allenatrice", "Divertiti".
«Quanto vorrei anch'io una persona che si preoccupa così per me, Eren...» disse sorridendo. Eren salutò "Master" e ripose il telefono sul comodino. Si girò poi con il corpo dalla parte del capitano, già sdraiato con il viso affondato nella sua maglia.
«Non dormi nel tuo letto?» gli chiese guardandolo. Aveva un'espressione rilassata, come se si sentisse al sicuro stando così vicino ad Eren.
«Perché dovrei, Eren? Sto così bene qui con te, Eren...» alzò lo sguardo verso quegli occhi verde smeraldo che lo facevano impazzire. «E tu stai bene con me, vero Eren?» portò una mano al viso del ragazzo accarezzandolo dolcemente.
«E-eh? C-certo che sto bene con te, capitano. Sto bene quando sto con te, con mia sorella, con...» non riuscì a continuare che Tetsuya gli mise un dito davanti alla bocca.
«Con questo "Master", Eren?».
«È solo mia sorella... sai com'è, no?» mentì. Non poteva farsi scoprire, anche se l'intera classe ormai lo sapeva.
«Mi stai dicendo la verità, Eren?» non aveva mai visto il capitano così... possessivo. L'espressione disegnata sul suo viso ricordò ad Eren quella di un yandere. Gli vennero i brividi. Aveva visto alcuni anime con delle ragazze yandere, come il famoso "Mirai Nikki", e aveva paura che scoprisse l'identità del suo "Master", ovvero Levi.
«Potrei mai mentirti?» gli sorrise. Non riuscì a non far vedere l'ansia che aveva. Il telefono iniziò a vibrare. Eren fece per prenderlo ma Tetsuya fu più veloce. Lesse il nome: "Master".
«Vediamo se è davvero tua sorella, Eren» il capitano pigiò la cornetta verde per rispondere. Si alzò in modo che Eren non potesse riprendere il telefono. «Pronto? Parlo con Mikasa Ackerman?» domandò mentre il castano, per non creare sospetti, rimase a sedere sul letto sperando che Levi si inventasse qualcosa per non farsi scoprire.
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Look at me, only me |Ereri|
Fanfiction«Sono Levi Ackerman, il vostro professore di educazione fisica. Vi anticipo che, alla fine di tutte le lezioni, dovrete pulire la palestra. Anche se non ci sarò le ultime ore, dovete pulirla. Ci siamo capiti, mocciosi?» spiegò severo. Il professor L...