꒰ ⁿᵒᵛᵉ ꒱ؘ ࿐ ࿔*:・゚

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"𝐂𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐢 𝐢𝐨 𝐦𝐮𝐨𝐢𝐨
𝐞 𝐯𝐞𝐧𝐠𝐨 𝐩𝐨𝐢
𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐫𝐭𝐢 𝐢𝐧 𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨,
𝐢𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐨:
𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐢 𝐦𝐢 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐢
𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐫𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐟𝐫𝐞𝐬𝐜𝐚,
𝐧𝐞𝐥𝐥'𝐚𝐜𝐪𝐮𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐚𝐯𝐞𝐥𝐥𝐨,
𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐢𝐚."
-A. Ferrara.

Tomie non sentiva lo scalpiccio dei propri passi. Procedeva, comunque, decisa, calpestando l'asfalto di quella piccola strada racchiusa tra due mura verso una direzione che la propria mente non aveva ancora registrato e che, probabilmente, non avrebbe fatto, lasciando che la ragazza continuasse a vagare con la sola compagnia di quelle insistenti e martellanti parole di cui la coscienza continuava a bere il veleno. Non sentiva il vociare delle persone che le passavano accanto come fantasmi invisibili: le loro risate, i toni di polemica e di allegria a stento riuscivano a scalfire la corazza di indifferenza che aveva indossato quella sera, adornata da un paio di occhi freddi e straziati. Non sentiva il fresco vento che l'ora tarda aveva portato con sé quando era calata sulla città, eppure la sua pelle si accapponava al contatto della brezza, la percepiva come mille spilli che si conficcavano piano nelle sue braccia scoperte, ma, al contempo, era come se qualsiasi altra sensazione non avesse potuto raggiungerla. Era come se il mondo attorno a lei si fosse ammutolito. Non sentiva nemmeno più la rabbia che per tutto quel lungo pomeriggio le aveva scavato nel petto una voragine di parole e gesti che aveva riversato su Dazai i cui occhi -ancora li vedeva davanti a sé scrutarla di sottecchi- erano così distanti...
Non sentiva nulla. Riusciva solo a percepire il vuoto che quell'emozione aveva lasciato in lei, come un coltello conficcato e poi tirato via con forza da una ferita aperta e pulsante.
Ricordava le orecchie fischiarle tante erano le grida che avevano occupato il piccolo appartamento arredato con le loro parole d'amore e sguardi di complicità che, in quel momento, parevano essere stati spazzati via da una forza forestiera, ma non del tutto nuova alla coppia: più di una volta si erano trovati sul viso espressioni del tutto diverse da quelle che erano soliti scambiarsi. Tomie era stanca di quel litigi che non portavano mai da nessuna parte e che cessavano sempre con porte sbattute e notti in cui nessuno dei due osava toccare l'altro per orgoglio. Con il sorgere del sole tutto sembrava tornare alla normalità. Così come scacciavano il buio, allo stesso modo i raggi del sole neutralizzavano gli avvenimenti del giorno prima, accantonandoli in un angolo di mente che nessuno dei due si preoccupava di rispolverare. Però, si disse la ragazza trovandosi ancora una volta in disaccordo con se stessa, anche quello faceva parte della loro relazione: litigare non piaceva a nessuno dei due, ma accadeva come se fosse stato un fenomeno impossibile da evitare. Allo stesso tempo lo era far pace, cosa un po' più piacevole per entrambi. Passavano la notte seguente alla battaglia ad amarsi e il giorno li coglieva l'uno nelle braccia dell'altra, e capiva che non vi era bisogno della sua luce per rischiarare i loro cuori momentaneamente oscurati da quel sentimento scomodo, ma, talvolta, necessario. Vi erano volte in cui Dazai, non sopportando più la tensione, la attirava a sé baciandola ferocemente e lei non si ritraeva perché le piaceva sentire le mani di lui correre su e giù per il proprio corpo famelicamente, bisognose di stringerla e avvertire il suo torpore, afferrarla e bloccandola sotto di lui in qualsiasi parte della casa si fossero trovati. Le piaceva sentirsi necessaria al novello detective, avvertire su di lei il peso di quel corpo tanto amato, i suoi occhi scrutare ogni parte di lei che già conosceva, ma che voleva riscoprire come la prima volta; lei, altrettanto, sapeva, oh, sapeva esattamente come far perdere il controllo al ragazzo: bastava un semplice sguardo scambiato al momento giusto, un semplice tocco nella parte giusta del suo corpo trepidante, un bacio sul collo, sulle labbra, un sorriso e lui era ai suoi piedi.
Altre volte, le peggiori, in balia di una furia ardente, uno dei due usciva di casa e non si ripresentava per ore dovendo smaltire la rabbia che, come una brutta sbornia, faceva uscire dalle loro bocche parole di cui non erano coscenti finché non ripensavano all'impeto degli avvenimenti. A quel punto si maledicevano, ma l'orgoglio era troppo per tornare a chiedere scusa, e quando i gesti nemmeno funzionavano si ricorreva al silenzio.
Come quella volta.
Tomie continuava a camminare ignorando tutto e tutti pensando a quanto quella volta Dazai avesse esagerato e a quanto lei fosse stata sciocca a sua volta. Forse avrebbe dovuto dare un calcio a quello stupido sentimento che la stava costringendo a camminare senza voltarsi indietro, e per una buona volta tornare a casa, chiedergli scusa e dimenticare quella faccenda. Tuttavia una parte di lei premeva dalla voglia di ignorare i sensi di colpa. Una minuscola parte di lei sorrideva, voleva continuare a sbagliare, concedersi di fare errori come una ragazzina, persistere con quegli stupidi litigi che si dissolvevano nel nulla una volta che lei e Dazai si guardavano negli occhi. Era il minore dei mali quello per cui si tenevano il broncio per ore, giorni a volte, ritenendo che fosse un dramma; quelli erano i problemi migliori che avessero mai potuto affrontare.
In quel momento si alzò il vento e i suoi occhi colsero i rami degli alberi muoversi spasmodicamente sulle sue note silenziose. Scacciando ogni altro pensiero, quella vista le riportò alla mente il medaglione turchese che aveva regalato al ragazzo qualche giorno prima, e quasi giurò di vederlo muoversi a ritmo dei passi di quest'ultimo che le andava incontro con un sorriso. A quell'immagine le sue guance si tinsero di rosso e pensò che ne era valsa la pena vendere uno dei suoi amati quadri. Il sorriso di Dazai non aveva prezzo. All'agenzia dove avevano iniziato a lavorare da qualche settimana avevano notato tutti il ciondolo cristallino -anche perché Dazai non aveva fatto altro che girare con il petto in fuori: era piaciuto perfino a quel brontolone di Kunikida. Dazai, allora, non aveva perso tempo e aveva abbracciato Tomie facendo mille mosse e decantando a gran voce quanto fosse meraviglioso quel regalo e, soprattutto, quanto lo fosse lei. La giovane rise ricordando quel giorno, ma ben presto la sua voce fu sovrastata e poi troncata da alcune urla.
Non riuscendo a capire da dove provenissero e, presa alla sprovvista, si voltò più volte finché il suo sguardo attento intercettò un uomo armato di pistola correre a perdifiato, i suoi vestiti erano sporchi di sangue e qualcosa le disse che non apparteneva a lui. Non seppe cosa la spinse a farlo, se il senso di giustizia o semplice incoscienza, fatto sta che quando si trovò a poca distanza dal criminale non indietreggiò, ma gli si parò davanti, le braccia spalancate per bloccare qualsiasi via di fuga e gli occhi puntati sul nuovo rivale, il quale si vide costretto a rallentare la corsa.
-Levati!- tuonò puntando la pistola contro di lei, ma Tomie non si mosse. Avrebbe potuto usare la propria Abilità per intrappolarlo, sarebbe stata la scelta più intelligente da fare, ma prima ancora che potesse richiamare il suo potere, il criminale le si avvicinò ancora di più fin quando la canna della pistola non fu puntata sul suo addome.
-Ho detto levati- sibilò sta volta a qualche centimetro dal suo viso. Ancora una volta la giovane non abbassò lo sguardo né si mosse.
-Costringimi- ribatté con tono fermo. L'uomo, inaspettatamente, sorrise accettando la sfida. Tolse la sicura della pistola con un gesto secco, ma Tomie non si lasciò intimidire: gli bloccò il polso repentinamente spostandoglielo verso il vuoto, gli colpì il mento con il palmo della mano, poi gli pestò con forza un piede costringendolo ad abbassarsi così da potergli infliggere una potente giniocchiata nello stomaco. L'uomo cadde a terra tossendo più volte e Tomie ne approfittò per allontanare da lui l'arma cadutagli precedentemente. Continuò a guardare il criminale contorcersi dal dolore. Probabilmente gli aveva fratturato un paio di costole, ma quell'ipotesi non scatenò in lei in minimo senso di colpa. Per un attimo, anzi, le sembrò di essere tornata indietro nel tempo a quando era nella Port Mafia, con l'unica differenza che, se ne avesse fatto ancora parte, a quell'ora l'uomo che aveva ai piedi non avrebbe emesso il minimo suono e la pistola, invece che a terra, si sarebbe trovata tra le mani di lei. Scosse la testa per cacciare via tutto ciò che risaliva al passato - ricordi, rimpianti, urla di dolore e occhi assetati del sangue dei suoi simili. Non era più quello, ormai. Non era più una macchina da guerra pronta a sparare.
Eppure il suono che udì poco dopo era proprio quello di una pistola. Abbassò lo sguardo sconcertata vedendo del sangue per terra, poi lo alzò di poco incontrando il viso dell'uomo che ora aveva scoperto le gengive rosse e i denti gialli e storti in un ghigno animalesco di disgustoso sadismo.
Solo allora Tomie avvertì un dolore lancinante che partiva dall'addome per poi attraversarle il corpo come una scarica elettrica.
Un altro sparo.
Altro dolore che le mozzò il fiato, altro sangue che colava dalle ferite inflitte. La sua vista stava iniziando ad annebbiarsi e la sua mente, ormai, stava registrando tutto come un sogno. O un incubo.

«Non ho bisogno di te e della tua compassione!»

Le sue gambe cedettero e lei collassò al suolo lasciando che il sangue creasse una pozza cremisi sotto di lei.

«Posso farcela benissimo senza di te!»

Suoni vividi appartenenti a parole rabbiose risuonarono attraverso il suo udito ovattato.
Non riusciva a spiegarsi perché proprio in quel momento quelle frasi tanto dolorose stessero prendendo forma mentre il cuore rallentava la corsa.

«Se esci da quella porta sta pur certa che io non verrò a cercarti!»

Tomie chiuse gli occhi mentre l'uomo si rialzava aiutato da un altro, la pistola ancora stretta tra le mani di quest'ultimo.

«Sono stanco Tomie.»
«Stanco di cosa Dazai, eh? Stanco di noi? Abbi le palle di guardarmi in faccia e dimmelo!»
Dazai scosse la testa frustrato, senza degnare la ragazza di uno sguardo.
«Sono stanco.» ripeté passandosi una mano sul viso come svuotato dalle energie. Tomie, al contrario di lui, avvertì le lacrime di rabbia contro gli occhi e un groppo in gola premervi insistentemente contro. Era pura adrenalina.
«Vuoi che me ne vada?»
Ancora una volta fu il silenzio a risponderle.
Lui non l'avrebbe fermata, glielo aveva detto.
E allora lei andò via.

Una piccola folla attratta dagli spari si radunò presto nel punto in cui poco fa era avvenuto lo scontro, ma del corpo di Tomie non vi era alcuna traccia. C'era solo la pozza di sangue ancora fresco mescolata alle lacrime di un cuore pieno di rimpianti.

***

Quella notte Dazai si svegliò di soprassalto.
Non perse tempo a chiedersi dove si trovasse perché non ne ebbe bisogno, benché fosse sicuro di essersi assopito sul divano in attesa del ritorno di Tomie.
In un primo momento, quando la vide davanti a sé, i suoi occhi tristi e le sue labbra sorridenti, non capì cosa stesse succedendo, ma bastò che lei lo toccasse per far sì che la coscenza si facesse spazio mettendo da parte la speranza che quello che stava accadendo in quel momento non era altro che un abbaglio.
Ma la luce era forte e le lacrime di lei sgorgavano veloci, il respiro era mozzato dai singhiozzi e l'incredulità.
-Tomie...- annaspó posandole una mano sulla guancia bagnata.
-Mi dispiace Dazai- sussurró lei non riuscendo ad aggiungere altro.
Dazai, per un momento, rimase paralizzato. Il suo corpo era pesante e non rispondeva ai comandi che la sua mente gli impartiva, anche perché in quest'ultima vi era il caos. Abbassò lo sguardo sull'addome della giovane dove una ferita rossa e vivida era apparsa distinguendosi come un colore luminoso in una tela dominata dal nero.
-No... dimmi che non...- le parole gli morirono in gola non riuscendo a trovare sbocco.
Tomie lo abbracciò continuando a singhiozzare e lui la strinse nascondendo il viso nei suoi capelli lilla.
-Ti prego...- gemette mentre crollava sulle ginocchia ancora avvinghiato a lei, quasi avesse avuto paura che sarebbe svanita se l'avesse lasciata andare. Sperava di sbagliarsi, desiderava tanto udire la risata della ragazza che si espandeva in quel vuoto, che lo rincuorasse dicendogli che in realtà stava bene e non era successo nulla. Ma quelle parole non giunsero mai. C'erano solo i singulti leggeri e il fracasso di un cuore martellante.
Da quel momento in poi, per quanto fosse stato orrendo quel sogno, Dazai sperò di non svegliarsi mai più.





Angolo autrice
A volte mi domando se ci siano degli haters silenziosi che leggono la storia sperando che Tomie muoia, ma poi penso di non essere così importante da potermeli permettere lololol. Ad ogni modo, se ci fossero, avrei dato loro una gioia.

ALT!

Sappiate che non mi riferivo a questo quando dicevo che vi avrei fatti felici (anche se mi rendo conto di avere gusti particolari AHAHAHA okay non fa ridere), dunque vi tocca attendere un altro pochino.

Che altro dire...? Ah sí: definire "parto" questo capitolo è dir poco, ma non staró a lamentarmi come, mio solito (anche perché una volta tanto sono soddisfatta) e lascio, come sempre, la parola a voi, miei amati lettori.
Se notate errori di qualsiasi tipo fatemelo sapere, ve ne sarei grata dato che a quest'ora la mia testa si rifiuta di sforzarsi ulteriormente.

P.s.
La canzone che ho messo lí sopra non credo ci azzecchi molto, peró mi piaceva quindi meh

𝐏𝐚𝐫𝐚𝐥𝐥𝐞𝐥 || 𝐷𝑎𝑧𝑎𝑖 𝑂𝑠𝑎𝑚𝑢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora