12. I WOULD

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Harry

Aprii gli occhi pochi secondi dopo che la luce nella stanza si fu spenta. Abbassai un poco le coperte con cui mi ero avvolto fin sopra la testa, e lo guardai.
Era disteso sul letto a pancia su, le mani dietro la testa, le gambe incrociate sotto il lenzuolo leggero con cui si ostinava a coprirsi, nonostante fosse quasi inverno.
La luce della luna scorreva dolcemente sul profilo affilato, quasi femminile, del mento, illuminava fiocamente gli occhi sottili, chiusi, le labbra fine, i capelli ambrati che sembravano quasi d'argento.
Era bello. 
Forse anche più che bello.
Mi ritrovai a sospirare seguendo la linea sinuosa del suo corpo, così poco distante dal mio, così perfetto, così desiderabile.
Il suo petto si alzava e si abbassava piano, ma il respiro era troppo controllato, troppo teso; non stava dormendo.
Questa consapevolezza mi spaventò e mi eccitò allo stesso tempo.
Non avrei mai voluto che mi sorprendesse a fissarlo, dopo la discussione in bagno.
Eppure sapevo che c'era un modo per rimediare subito a ciò che avevo fatto.
Dovevo solo alzarmi, andare da lui, fidarmi di ciò che provavo.
E con un misto di paura e speranza nel cuore, lo feci.
Mi alzai, quando toccai terra mi sembrò quasi di restare sospeso. In quello che sembrò un tempo infinitamente breve, mi ritrovai accanto al suo letto.
Allora mi pentii. 
Perché avevo fatto quell'azzardo?
Perché avevo agito senza pensare?
Sarei ritornato silenzioso al mio letto, non gli avrei permesso di vedermi debole di nuovo.
Ma proprio mentre il desiderio e l'indecisione mi tenevano inchiodato lì, Louis aprì gli occhi.
Azzurrissimi, accecanti anche nel buio ovattato della camera.
Non disse nulla.
Solo, mi afferrò dalle mani, mi trascinò con lui sul letto e mi baciò.
Mi baciò dolcemente, come quando si raccoglie un fiore con delicatezza, per paura di rovinarne i petali.
Mi baciò lentamente, per assaporare ogni singolo istante di quel momento.

"Harry?" 
La sua voce era stanca, assonnata.
Sospirai contro le sue labbra.

"HARRY, CAZZO!"
Sobbalzai, scattando seduto sul letto, finalmente davvero sveglio.
La camera era inondata dalla luce del sole, la sveglia sul mio comodino suonava incessantemente, e Louis era nel suo letto, la testa rintanata sotto il cuscino.
Mi guardai intorno spaesato, incapace di distinguere la realtà dal sogno.
Poi Louis urlò di nuovo. "La vuoi spegnere, cazzo!" lanciò il cuscino in direzione della sveglia, la mancò.
Mi affrettai ad obbedire
"Scusa" mormorai, chiudendo gli occhi.
Le immagini del sogno erano ancora vivide e reali; avevo  paura che se l'avessi guardato, lui sarebbe riuscito a leggermi nella mente. 
Si alzò e "Non importa" grugnì come risposta, mentre si stiracchiava.
Non riuscii a reprimere un brivido nel vederlo lì di fronte a me, perfetto come nel sogno, pensando che avrei voluto davvero baciarlo.
Smettila, Harry.
La voce della mia coscienza a volte assomigliava terribilmente a quella di mia madre.
Era in quei rari casi, che io la seguivo senza indugiare.
Così distolsi lo sguardo da mio cugino, ed anche io mi alzai.
"Vieni con me a scuola oggi?" me lo chiese sbadigliando, mentre si preparava ad andare in bagno.
Non eravamo mai andati a scuola insieme, a parte quella volta con Zayn.
Rifiutai il suo patetico tentativo di abbonirmi scuotendo la testa. E anche questo, mi costò uno sforzo immane.
Lui sollevò le spalle, senza mostrare delusione, ed uscì.
Mentre spariva nel corridoio, notai un alone scuro sulla sua guancia destra: il livido del mio pugno.
Sentii il mio stomaco contrarsi.
Louis aveva ragione.
Perché dovevo lottare contro ciò che provavo? Perché la mia esistenza doveva ridursi ad un perenne e continuo strazio interiore? Perché mi rifiutavo di andare avanti, di essere davvero felice?
Smettila, Harry.
Di nuovo la voce di mia madre.
"Ecco perché" mormorai alla stanza vuota.
Ma dovevo smettere di provare a vivere?
O finalmente decidermi a smettere di soffrire?



"Com'era?" gli occhi di Niall mi scrutavano attenti. "Holmes Chapel, intendo. Com'era vivere lì?"
"Normale, diciamo. Tenendo conto che la vita che ho qui ancora non la considero la mia normalità."
Eravamo al solito bar infondo alla strada, io con il mio bicchiere di caffè e lui con la sua tazza di cioccolata calda, di cui rigorosamente, non beveva nemmeno un sorso.
Era la terza volta che ci ritrovavamo lì, dopo il nostro primo appuntamento. Quel pomeriggio però era speciale, perché ero riuscito a convincere Niall a saltare la seduta. Cosa che non aveva mai fatto, come aveva tenuto a precisare.
"Era normale perché eri abituato a quell'ambiante fin da piccolo" mi sorrise. "E' solo questione di tempo, ti abituerai anche qui."
"Lo spero" borbottai. "Quello che più mi manca è la calma. Lì sembrava tutto così tranquillo, così giusto."
Ormai non mi stupivo più di ciò che riuscivo a dire in sua presenza. Pur non conoscendolo quasi per niente, era l'unico con cui avessi osato parlare della mia vita passata, fino a quel momento.
Non saprei dire se dipendesse dagli occhi dolci, dall'aria sospesa ma consapevole, dai segni evidenti inflitti dal dolore al suo fisico e al suo carattere, ma con lui riuscivo ad aprirmi.
E anche se era molto più discreto di me, a volte anche lui mi lasciava entrare nel suo mondo astratto e nebuloso, dove tutto sembrava avere un senso: la ripetitività dei suoi gesti, i suoi silenzi, le sue espressioni indecifrabili.
Ero ormai arrivato a credere che questo scambio di esperienze, questo flusso incontrollato di emozioni, sensazioni e segreti, facesse bene ad entrambi, più di qualsiasi seduta dallo psicologo.

A Kind Of Brothers? (AKOB?) by NowKissMeYouFoolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora