40. THANKS FOR CALLING

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Niall 

"No, è lei che non ha capito!"
Mia madre batté il piede con disappunto, il rumore del tacco sul pavimento rimbombò fin nella mia stanza. 
"Io devo trovare un aereo che mi porti a Lancaster oggi!"
Silenzio, sbuffi scocciati, altro rumore di passi nervosi. 
Alzai gli occhi al cielo, mentre chiudevo la mia valigia con un colpo secco. 
Finito. 
Erano ancora le nove di mattina ed io ero vestito di tutto punto, la mia stanza perfettamente in ordine, l'armadio svuotato per metà e la macchina fotografica già in borsa. 
Troppo veloce. 
Avevo fatto tutto decisamente troppo di fretta, dopo aver ricevuto la chiamata di Zayn. A dormire, non ci avevo nemmeno provato. Ad impiegare il mio tempo facendo qualsiasi cosa che mi impedisse di pensare, invece sì. 
Avevo svegliato mia madre nel peggior modo possibile: accendendo tutte le luci ed iniziando a tirar fuori le valigie. 
All'inizio si era spaventata a morte, ma dopo aver scoperto il motivo del mio comportamento, era caduta nel mutismo più completo. Si era fatta una tazza di caffè, aveva fumato affacciata alla finestra, mi aveva addirittura offerto una sigaretta, e solo a pacchetto ormai finito, si era azzardata a parlare. 
"Ce ne siamo liberati, Niall" aveva tossito massaggiandosi le tempie. "Anche se non nel modo giusto, alla fine ce ne siamo liberati."

Avrei voluto dirle, allora, che lei non si era liberata proprio di niente. O che, per lo meno, era riuscita a farlo molto tempo prima, senza pensare che oltre se stessa avrebbe potuto salvare anche me. 
Perché, alla fine, ero io quello che era rimasto. Quello ad aver assistito alle sbornie infinite, ad aver ascoltato le urla feroci nel cuore della notte, per poi ritrovarmi a contar lividi il giorno dopo. 
Ero io ad aver lottato con tutte le mie forze per sopravvivere, tentando comunque di amare colui che me lo rendeva impossibile, piangendo sotto la doccia ed addormentandomi nel letto di Zayn ogni notte. 
Ed io, io soltanto, potevo dire di essere davvero riuscito a liberarmene, dopo tanti anni e troppa sofferenza: ma l'avevo fatto mesi prima, in un'aula di tribunale. 
La sua morte, invece, avrebbe sortito esattamente l'effetto contrario. 
Grazie ad essa lui sarebbe tornato nelle nostre vite- nella mia vita-, come un tumore maligno che si ripresenta con raccapricciante puntualità. 
E adesso che no, non avevo più nulla di concreto da fare se non aspettare di andare all'aeroporto, riuscivo già a sentirne i sintomi: il respiro debole, il peso sul petto, la paura nello stomaco. E la nebbia che mi chiamava, che mi avvolgeva, invitante, rassicurante, bella come non mai. 
Ma non avrei risposto al suo richiamo. 
Non stavolta. 
Mi misi la borsa in spalla e arrivai fin nell'ingresso, mentre mia madre, "Non c'è qualche posto disponibile nel volo delle undici?" chiedeva spazientita, al telefono. 
Mi vide mentre afferravo le chiavi dal gancio ed aprivo la porta. 
Un'espressione confusa le si dipinse sul volto. 
"Prendo una boccata d'aria" mimai con le labbra, prima di sgusciare fuori. 
Dal modo frenetico in cui mosse le mani e spalancò la bocca, pensai che non fosse molto d'accordo. 
Il che non mi interessava affatto. 
Mi sbattei forte la porta alle spalle. La sbattei decisamente troppo forte, come mi resi conto mentre scendevo i primi gradini, sentendo un chiavistello e una serratura scattare. 
Pensai che fosse lei, pronta ad urlarmi contro per averla piantata in asso. 
Ma la voce che "Niall" chiamò, era molto più giovanile e decisamente più dolce. 
Oh Amy. 
A lei, che ascoltava ogni rumore proveniente dal mio appartamento, non avevo pensato. 
Magari la sua compagnia si sarebbe dimostrata più utile di quella di un paio di valigie. 
Ma mentre la fissavo, come un acquirente ad una vendita di schiavi, pensando a quanto e per quanto sarebbe riuscita a distrarmi e se valesse la pena portarmela dietro, quella saltò i due gradini che ci separavano e mi abbracciò.
Rimase aggrappata a me troppo a lungo perché il suo gesto potesse essere scambiato per un semplice buongiorno. 

"L'hai già saputo?"
"Le nostre madri sono migliori amiche, tesoro" soffiò al mio orecchio. "Che ti aspettavi?"
"Che la mia si trattenesse dal festeggiare la morte del suo ex marito almeno per un po'."
Amy sospirò, sciolse l'abbraccio che ci univa. 
"Mi dispiace, Niall."
Mi voltai, ricominciando a scendere le scale. "Non è necessario che ti dispiaccia."
"Perché non me l'hai detto subito?" mi seguì, capelli ancora sconvolti dal sonno, pantofole ai piedi e sciarpa attorno al collo. 
"Perché non è una cosa importante. Non lo è per nessuno."
Feci finta di non vedere l'ombra di disappunto nei suoi occhi. E di non notare il modo in cui piegò le labbra, quello che compariva ogni volta che era scioccata. 
O intimorita. 
"Avrei potuto accompagnarti a Lancaster se..."
"No" parlai un po' più forte stavolta, spingendo la porta che dava sul marciapiede scuro. "Io non ho bisogno che nessuno mi accompagni. E lui non si merita di certo tutte queste attenzioni."
Amy rabbrividì quando fummo fuori, si strinse nelle spalle, massaggiandosi le braccia coperte solo da una felpa. 
Ma non mi lasciò continuare la mia passeggiata mattutina da solo. 
"Senti biondo, non so cosa quell'uomo ti abbia fatto, ma qualsiasi cosa sia..."
"Qualsiasi cosa sia non è affar tuo" sputai, sforzandomi di apparire più freddo possibile. "E non devi per forza star qui a consolarmi. Sto bene."
Mi afferrò dal braccio, allora, costringendomi a fermarmi. 
"No, tu non stai bene" ringhiò, molto più feroce e convincente di me. "Tuo padre è appena morto, e per quanto tu lo odiassi, questa non è una cosa che ti farà stare bene."
"Come ti aspetti che stia, allora? Vuoi che mi disperi, che ricordi i bei momenti passati insieme a lui e che pianga, magari?" sospirai, chiudendo gli occhi un attimo. "Perché sai, Amy, io non ho bei momenti da ricordare, e di lacrime per lui ne ho versate già troppe."
"No. No." lei cercò la mia mano per stringerla nel calore della sua. "Vorrei solo che tu mi parlassi, Niall. Sono qui per aiutarti!"
Mi sottrassi al suo tocco, mi levai la giacca per poi poggiarla sulle sue spalle tremanti. 
"Non so se sono pronto a farlo."
Lei annuì dondolando sul posto. "Forse neanche io lo sono per ascoltarti ma se tu non provi a fidarti, non lo scopriremo mai."
Pensai ad Harry, allora, il primo a cui avessi mai accennato qualcosa sul mio passato. 
E poi a Liam, a cui avevo spiegato ogni cosa dopo aver vomitato nel suo bagno in camera.
Ero pronto a rifarlo?
Potevo caricare qualcun altro dell'enorme peso che portavo sulle mie spalle?
Sarei stato di nuovo tanto egoista da scaricarlo su chi, ignaro, sperava di aiutarmi? Oppure abbastanza forte da liberarmene, consapevole che da quel momento in poi Amy, come Liam e come Harry, mi avrebbe guardato con occhi diversi, avrebbe vagliato e pesato ogni mia parola, cercato di decriptare ogni mio comportamento, per poi ricollegarlo inevitabilmente a ciò che avevo passato?
No, decisamente no. 
Non volevo smettere di essere "Niall, il tipo strano" per diventare "Niall, il poveretto seviziato dal padre". Perché alla fine, in un modo o nell'altro, sarebbe stato quello a contraddistinguermi per sempre. 
Lui aveva lasciato il suo marchio su di me. 
E adesso che era morto bruciava, bruciava da impazzire. 

A Kind Of Brothers? (AKOB?) by NowKissMeYouFoolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora