7. Dillo e basta.

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"Sono al sicuro. È tutto risolto. Non devo avere più paura".

La fine di tutta quella storia, rappresentò una fonte di sollievo per Hermione sotto due punti di vista: il primo, ovviamente, era perché così la scuola era di nuovo al sicuro, sia all'interno delle sue mura con l'Erede di Serpeverde, sia all'esterno, con il Ministero della Magia che minacciava di chiudere la scuola perché considerata troppo pericolosa. E la seconda, perché finalmente la ragazza poteva ammettere a se stesse che aveva avuto paura, ma che adesso non ce n'era più bisogno. Per tuto quel tempo, si era imposta di non essere spaventata, né di mostrarlo in giro per i corridoi né di provarlo dentro di sé dove nessuno poteva capirlo.

Camminare per quelle classi, praticare quei bagni – soprattutto quello di Mirtilla Malcontenta –, andare a pranzo e cena nella Sala Grande, tornare nella Sala Comune dopo la fine delle lezioni; tutte quelle cose adesso non rappresentavano più fonti di ansia e sconforto e paura per la ragazza. Tutto era tornato di nuovo normale. "Per quanto il mondo dei maghi potesse essere considerato normale", pensò la ragazza con un sorriso.

Il castello quella sera era particolarmente tranquillo. Tutti gli alunni erano in Sala Grande, dove Silente e gli altri professori avevano organizzato una cena come pochissime in precedenza. Le classi e i corridoi erano tutti vuoti.

Hermione era appena uscita dall'infermeria. Non ricordava quasi nulla di quello che era successo quel giorno, dell'aggressione del Basilisco. Probabilmente era meglio così: la ragazza non sapeva quanto sarebbe riuscita a rimanere stabile se per il resto della sua vita si fosse ricordata in ogni dettagli i denti di un serpente enorme e i suoi occhi gialli, grandi e minacciosi, pronti ad ucciderla. Madame Chips le aveva raccontato tutto com'era andato, di Harry, Ron e Gilderoy Allock – non poca sorpresa l'aveva colta al sentire il nome di quel professore accanto a quello dei suoi migliori amici, ma era certa che i due ragazzi le avrebbero spiegato tutto non appena li avrebbe incontrati.

Ora era di fronte alle enormi porte per entrare nella Sala Grande. Anche dall'esterno, e nonostante quelle porte erano spesse almeno venti centimetri, Hermione riusciva a sentire le urla di gioia, le risate e i mormorii provenienti dalla Sala, persino il rumore di vassoi che scorrevano sui tavoli, le posate che picchiettavano sui piatti, calice che venivano alzati per andare ad incontrare altri calici, creando un centinaio di brindisi tutti insieme.

Un sorriso comparve sulle labbra di Hermione mentre stava per entrare.

Dei passi dietro di lei la fecero voltare di scatto. Anche se sapeva che ormai era al sicuro, che il pericolo era passato una volta per sempre, la paura di essere aggredita ogni volta che girava un angolo o sentiva un rumore dietro di sé che aveva provato per mesi e mesi, sarebbe stata difficile da dimenticare.

Ma era soltanto Draco che scendeva le scale per recarsi anche lui in Sala Grande. Quando alzò lo sguardo posando gli occhi su di lei, una strana espressione gli comparse sul volto. Era un misto di stupore, piacevole sorpresa e... qualcos'altro. Odio? Repulsione? Fastidio? Conoscendolo, e ricordandosi tutto quello che aveva passato negli ultimi mesi per colpa sua, probabilmente era un misto meraviglioso e disgustoso allo stesso tempo di tutte e tre.

«Sei guarita», disse.

Hermione non sapeva bene come rispondere a quelle parole. Non era nemmeno riuscita a capire bene il tono con cui le aveva pronunciate: era sollievo o malcelato stupore, lo stesso che ti assale quando le tue speranze vengono distrutte di fronte ai tuoi occhi.

«Pare di sì», rispose lei incrociando le braccia al petto aspettandosi qualche commento pungendo o uno dei suoi soliti insulti.

«Le bestiacce di quella vecchia hanno funzionato davvero, allora», disse invece lui, riferendosi alla professoressa Sprite e alle Mandragole che aveva coltivato nella Serra Tre e che avevano studiato ad inizio anno. Un colpo di fortuna, adesso che ci pensava Hermione. Una smorfia di fastidio e dolore le comparve sulle labbra, che però nascose subito sotto gli occhi del ragazzo, quando si ricordò di quel giorno: era stato il pomeriggio quando si era resa conto che le cose tra lei e Draco non era più come l'anno prima, come pensava che fossero o che potessero essere; il pomeriggio in cui aveva capito che il loro rapporto non poteva essere più di quello: insulti, occhiatacce e frecciatine di fronte agli altri ragazzi, e strane conversazioni, imbarazzanti, quando erano da soli.

Di nuovo, Hermione non seppe cosa rispondere, quindi rimase impalata e in silenzio.

Draco fece correre lo sguardo sul muro alle spalle della ragazza, evitando il suo sguardo. Hermione si chiese distrattamente perché, senza però dare troppo peso alla risposta.

«È stato... doloroso?», domandò il ragazzo con un tono di voce basso, così flebile, che la ragazza quasi non riuscì a sentirlo.

Hermione aggrottò la fronte. «Cosa è stato doloroso?».

«Il Basilisco».

«Oh», esclamò lei, colta di sorpresa. Perché voleva saperlo? «Non mi ricordo nulla di quella sera», rispose lei scuotendo la testa.

«Meglio, no?».

Lei si limitò ad annuire.

Draco scese gli ultimi scalini, avvicinandosi alla ragazza. I suoi occhi grigi, di nuovo, indugiarono un attimo sui suoi occhi per poi scappare via, come se temesse lo sguardo della ragazza. Hermione non sapeva se esserne contenta o dispiaciuta; probabilmente un misto di tutte e due. «Sono venuto... in infermeria. Qualche sera fa».

Hermione si ritrovò di nuovo senza parole.

Draco, vedendola sconvolta, fece qualche altro passo verso di lei, lo spazio tra loro ormai quasi del tutto finito. Boccheggiò qualche secondo prima di parlare, come se non sapesse bene cosa stava dicendo, o perché lo stesse dicendo, come dirlo. «Appena ho saputo della tua... aggressione, ecco. Sono venuto a vedere se... se... ».

«Se ero morta?».

Stavolta fu il turno di Draco a non sapere cosa rispondere. Alla fine, si strinse nelle spalle, puntando lo sguardo a terra.

«Perché non me lo dici e basta?».

«Dirti cosa?».

«Che eri preoccupato per me!», esclamò la ragazza. «Non è un crimine esserlo. Vuol dire che... che ti importa, che non sei una persona orrenda come vuoi far credere a tutte le persone intorno a te. È una cosa buona, Malfoy».

Lui scosse la testa. «Non intendevo... », provò a dire lui, bloccandosi. Il rossore che si faceva strada sul suo collo come sempre in quelle situazioni.

Hermione sbuffò. «Prendi una decisione per una volta in vita tua, Malfoy», le consiglio lei.

Draco alzò lo sguardo su di lei dopo diversi secondi passati a guardare tutto tranne lei. Hermione ci vide una strana luce all'interno, una luce che la spaventò. Era dolore. Ne era certa, e la spaventava il fatto che non avesse mai visto quel ragazzo completamente, sinceramente spaventato. «No, invece», disse, superandosi ed entrando in Sala Grande. Tutte le risate e la gioia che aveva contagiata l'enorme sala quasi scomparì, non valendo più niente per Hermione che rimase immobile come una statua mentre guardava la schiena del ragazzo che scompariva oltre la fila di ragazzi seduti ai tavoli.

Che cosa intendeva con quelle parole? Perché non aveva scelta? La ragazza era certa che quel dubbio sarebbe rimasto in un angolo in fondo alla sua mente per il resto dell'estate, fino a quando non sarebbero tornati a scuola l'anno successivo, e anche allora non era certa che avrebbe trovato una risposta i suoi dubbi, alle sue incertezze su quel ragazzo che si rivelava ogni anno sempre più complicato, sempre più misterioso.

Facendo galleggiare lo sguardo sulla Sala e i ragazzi al loro interno, Hermione vide Harry e Ron. Un sorriso enorme e sincero si fece spazio sulla sua faccia, senza però far scomparire il dubbio dentro di lei, mentre correva verso i suoi migliori amici, tra le file di ragazzi. Non era importante in quel momento; ci avrebbe pensato a settembre.

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