6. Non fidarti.

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L'elettricità era nell'aria. Tutti non sembravano capaci di stare fermi. Mentre Hermione si incamminava verso il campo da Quidditch non poteva fare a meno di sorridere nel vedere tutti quei ragazzi saltellare entusiasti, pronti per assistere alla prima partita del semestre. Verde e grigio svettava da tutte le parti, così come l'oro e lo scarlatto. Grifondoro e Serpeverde si sarebbero incontrare in campo, e questo non faceva altro che alimentare la fiamma già alta dell'eccitazione che brillava in ognuno di quei ragazzi.

Hermione aveva già visto il campo da Quidditch in varie illustrazioni nei suoi libri di storia, e lo aveva anche visitato pochi giorni dopo essere arrivata ad Hogwarts, non essendo riuscita a contenersi. Ricordava che era sera, ai primi inizi di ottobre, con l'aria fresca del primo autunno che le pizzicava le guance. L'enorme campo allora era vuoto, non come adesso che straripava di persone. Al centro del campo, Hermione aveva potuto apprezzare la vastità e la meraviglia di quella costruzione, immaginandosi giocatori che saettavano da una parte all'altra del campo sulle loro scope volanti, le grida di incitazione che arrivavano dalla raduna, bandiere e stendardi che prendevano vita tra le mani agitanti dei tifosi, i professori che si godevano un momento di pausa dallo studio e dalle interrogazioni e dai compiti.

Tutto era stato così meraviglioso nella sua immaginazione, e lo era anche dal vivo, se non fosse che i tifosi – soprattutto quelli che vestivano verde e argento – non erano così sportiveggianti come tutti gli altri. La ragazza riusciva a vedere anche alcuni ragazzi della sua casa non comportarsi in maniera "adeguata", rispondendo ad insulti e spintoni, ma non ci fece troppo caso. Era pur sempre la sua casa, e i Grifondoro erano coloro per cui lei doveva tifare.

Gli spogliatoi erano a pochi metri da lei, visibili, ma non accessibili. Ai ragazzi che non facevano parte della squadra era vietato entrarci, e ai ragazzi delle squadre era vietato far entrare dei ragazzi negli spogliatoi, o rischiavano addirittura di essere espulsi dalla squadra. Accalcate fuori dall'entrate, c'era una terza squadra di giocatrici: tutte donne che mettevano in mostra la loro finta gioia per la partita, agitando bandiere e striscioni sopra le loro teste, mentre cercava di attrarre l'attenzione di uno dei giocatori.

"Patetiche", pensò con noia Hermione. Il mondo dei maghi si stava rivelando molto simile al suo, dopotutto: anche a Londra, fuori dagli stadi, quando si giocava una partita di Soccer c'era un intero esercito di ragazze – e a volte, per quanto impossibile da credere, anche donne in età avanzata – pronte a fare di tutto pur di ricevere una seppur minima attenzione da uno dei giocatori. Hermione aveva appreso dai libri e da Harry, che in quelle settimane quasi non aveva parlato di altro se non del Quidditch e della sua storia, quanto quello sport fosse ben considerato dai maghi. Praticamente tutti lo guardavano e lo seguivano con affetto. Per il momento, da quello che aveva letto, sentito e guardato durante gli allenamenti di Harry, non c'era nulla di speciale in esso per Hermione, ma magari sarebbe stato diverso una volta iniziata la partita.

«Vuoi farti vedere dal tuo amico Harry quando uscirà?», lo schernì una voce dietro di lei.

Hermione sbuffò. «Se avessi voluto farlo, sarei lì ad urlare come quelle oche, non pensi?», le rispose a tono senza nemmeno spostare lo sguardo su di lui, continuando a tenere gli occhi fissi sulle ragazze urlanti.

Il ragazzo allora si piantò di fronte a lei, costringendola a guardarlo. I suoi capelli argentati quella mattina non era schiacciati da tutta quella gelatina che di solito indossava, e il vento leggero che soffiava sul campo lo spettinava un po'. «Se la sta facendo sotto Potter, è così?».

«Voi ragazzi dove sempre fare a gara a chi corre più veloce?», domandò con un sospiro lei, voltandosi e avviandosi verso le tribune dove riusciva già a vedere gli amici della sua casa che avevano già preso posto.

«Non c'è competizione tra me e Potter», fu la risposta altezzosa del ragazzo.

Hermione rise lanciandogli un'occhiata eloquente. «Cos'è, hai visto qualche film di Rocky Balboa di recente?», lo schernì.

«Di chi?», domandò lui corrugando la fronte, confuso.

"Ah, già", si ricordò Hermione. "La storia dei babbani". Agitò la mano nella sua direzione per sminuire la cosa. «Nulla, lascia stare. Parlavo senza pensare», gli disse, sperando di chiudere lì la conversazione.

«Come sempre», continuò invece lui, intenzionato ad infastidirla.

«Tu invece dici cose sensate, vero?», lo richiamò Hermione continuando sui suoi passi, dandogli le spalle. Anche senza voltarsi a guardarlo, la ragazza era convinta che ciò lo infastidisse. Un motivo in più per continuare così. Con il tempo, Hermione si era resa conto che l'unico modo per capirlo, per leggerlo, era infastidirlo. Era sempre sulle sue, le sue reazioni costantemente calcolate, le sue risposte già anticipate. Infastidito, invece, reagiva di getto, senza pensarci troppo, rivelando come la pensava realmente.

«E lo chiedi anche? Certo che sì».

«Già, immaginavo», rispose soltanto lei.

Per un po' di tempo Draco non rispose, tanto che Hermione iniziò a pensare che se ne fosse andato lasciandola in pace, ma lanciando un'occhiata alle sue spalle, lo vide continuare a camminare in silenzio dietro di lei, mentre si guardava intorno, come se stesse controllando se qualcuno lo osservava. La cosa infastidì e sorprese Hermione allo stesso tempo. Dopo tutto quel tempo, ancora aveva paura a farsi vedere mentre parlava con lei, ma nonostante ciò, non demordeva.

«Come va dopo la storia del troll?», le chiese quando ormai Hermione era quasi arrivata.

«Bene, grazie». "Perché lo chiedi?".

«Abbiamo parlato con il professor Piton nella nostra sala Comune qualche sera fa», continuò lui, il suo tono di voce più basso, pacato. Temeva che qualcuno li stesse ascoltando? Con tutto il fracasso che avevano intorno era impossibile.

«E... ?».

«E lui dice che Potter è solo andato in cerca di guai, con tutta questa faccenda dei troll, sperando di ottenere un po' di fama come al suo solito. "Ha colto la palla al balzo", così ha detto», continuò lui.

"Piton!", esclamò dentro di sé Hermione, infastidita. Si voltò di scatto verso di lui, facendolo sussultare. Non si aspettava una cosa del genere. «Non ascoltarlo, chiaro? C'è qualcosa che non va con quel professore. Io, Ron ed Harry ne siamo abbastanza convinti. Stanne alla larga il più possibile, o rischi di cacciarti nei guai».

«Allora è vero», disse lui, avvicinandosi. «State tramando qualcosa. Voi tre e quell'Hagrid».

Hermione roteò gli occhi al celo. «Te lo ha detto sempre lui?».

Draco annuì.

«Beh, non credergli. È un bugiardo».

«Lui è un professore scelto appositamente dal professor Silente, voi solo un mago che veste con degli stracci, uno con un'orrenda cicatrice sulla fronte, ed una... ».

«Non ti azzardare!», lo fermò in tempo lei. Poteva sopportare quella parola detta da lui quando erano in privato, ma farsi insultare in pubblico, davanti a tutte quelle persone, sarebbe stato tutto un altor paio di maniche. I Malfoy erano influenti, esattamente come Draco: un insulto di quel genere urlato così ai quattro venti poteva costargli molto.

«Fai quello che vuoi», gli disse infine, lasciandolo lì come un palo. Hermione era certa che al ragazzo non capitasse così spesso di essere interrotto, e tantomeno da una ragazza, senza ritegno. Ma non riusciva a godersi quella sensazione adesso.

Giunta tra il suo gruppo di amici, sorrise e scherzò con loro, ma dentro era ancora furiosa con Piton e quel Draco Malfoy.

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