Five

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Non so esattamente in che periodo della mia vita ho iniziato a fumare: ormai è passato tanto di quel tempo che mi pare di averlo sempre fatto. Ho un problema col fumo, un po' come Alice ce l'ha con l'alcool, solo che io so di averlo e lo ammetto: nel mio caso la parte più problematica del problema è che non mi frega un cazzo di averlo, il problema. Nel senso che ogni tanto magari penso che dovrei smettere, solo che poi penso Ma sì, chissenefrega e magari mi accendo anche una cicca, giusto per non farmi mancare niente.
Le prime sigarette so che le ho fumate di nascosto dietro la scuola assieme a uno dei miei pochi amici, ma non mi ricordo se fosse l'ultimo anno delle medie o uno dei primi del liceo. Avrò avuto quattordici o quindici anni e ricordo che non mi piaceva all'inizio. Dicono che all'inizio non piace mai a nessuno, ma a me faceva proprio schifo: credo di aver sboccato dopo il primo tiro, e se proprio non ho sboccato sul serio, come minimo ci sono andato molto vicino. Tipo conati, o cose così.
Poi non so perché ho continuato: sono sempre stato un tipo parecchio ansioso e forse è stato per quello. O magari ci ho solo fatto l'abitudine, o qualcosa del genere.
Guardo Matt in faccia, indeciso se accettare la sigaretta che mi sta offrendo oppure no. Siamo fuori da un bar, è passata mezzanotte da un po' e comincio a pensare che Alice ci abbia dato buca. Anzi, comincio a pensare che quella stronza non abbia mai avuto intenzione di venire: sarebbe da lei architettare qualche piano del cazzo per combinarmi un appuntamento con qualcuno.
Siccome sono un genio ho dimenticato le sigarette a casa, e lui mi sta porgendo un pacchetto di Marlboro, rosso in viso come un pomodoro. Non sono ancora abbastanza in confidenza da comportarmi come una persona normale con lui (per quello la strada è ancora lunga) ma comincio a capire perché Alice abbia chiesto proprio a lui di unirsi a noi in questa folle avventura: non solo suona come se fosse nato con una chitarra fra le braccia, ma è anche il tipo di persona che meno di tutte mi manda in crisi. È goffo, un po' timido e si fa gli affari suoi e per quanto possa sembrare strano, la cosa mi aiuta parecchio: la gente normale mi mette in soggezione, lui invece... be', non poi così tanto.
È mercoledì sera e non so esattamente perché Alice volesse andare a bar proprio stanotte se non per il fatto che domani abbiamo il provino per la Battaglia e che comunque il mercoledì è la nostra unica giornata libera.
Non c'é molta gente per strada: è mercoledì e la gente normale sta a casa il mercoledì. Il bar davanti al quale siamo parcheggiati da quasi un'ora è semivuoto e anche io mi sento abbastanza semivuoto. Non credo che dormirò stanotte.
All'improvviso ricomincio a pensare al provino e a tutte quelle stronzate e fanculo, mi serve quella cazzo di sigaretta.
Un provino, Cristo Re.
Per cantare davanti a chissà quanta gente.
Domani.
Siamo una band solo da una settimana, sant'Iddio. Non sono pronto per questo. Perché dovevo finire proprio con due stronzi che la musica ce l'hanno nel sangue? Non è giusto, porca puttana.
Sfilo una sigaretta dal pacchetto che Matt mi sta offrendo. Anche se sono Marlboro e io di solito fumo Chesterfield. In fondo mi basta che sia nicotina. Chissà a che cazzo serve, la r di Marlboro.
Vorrei tanto capire perché diavolo Matt porti un anello di vetro verde al pollice: credo che siano passati secoli dall'ultima volta che ho visto un anello di vetro. Ma ok, amen, non importa.
Mi infilo la sigaretta tra le labbra bofonchiando un ringraziamento e finita lì. Non devo pensare a queste stronzate, non mi fa bene.
Prendo un tiro, poi due. Mi calmo un pelo.
-Non sapevo che fumassi.- borbotto dopo un po'.
Non lo sto nemmeno guardando. Guardo la strada, pregando che Alice decida all'improvviso di farsi viva.
-Infatti non fumo.- risponde lui soprappensiero -Ma tengo sempre un pacchetto di sigarette in tasca in caso qualcuno chieda.-
Gli lancio un'occhiata di sfuggita e quasi mi viene da sorridere: se fosse vera sarebbe una cosa maledettamente carina. Chissà se dice sul serio.
-Mi sa che Alice non verrà.- constata.
Annuisco, mentre la quinta boccata di nicotina mi scende nei polmoni: Alice non verrà. Stronza.
Matt sembra imbarazzato. La sua faccia è diventata rossa quando mi ha offerto la sigaretta e non è più tornata del suo colore normale: se non si calma gli verrà un ictus. E davvero spero che non stia per fare quello che credo stia per fare. Per favore.
-Be'...- borbotta -Tanto vale che entriamo e ci beviamo qualcosa, no?-
E ok, avrei preferito tornarmene a casa e non stare qui a impanicarmi, ma almeno non ha detto che offre lui: vi ricordate quando ho detto che sono anni che nessuno ci prova con me e che se qualcuno ci provasse probabilmente mi spaventerei? Be', ero fottutamente serio. Stasera poi oltre alle mie ansie base sono terrorizzato anche per i provini di domani: se qualcuno ci provasse con me stasera ci resterei. Garantito al limone, cazzo... ma finché non tenta di offrirmi da bere posso restare convinto che non ci stia provando. Posso almeno tentare.
Non dico niente perché non mi viene in mente niente da dire, mi limito a buttare il mozzicone della sigaretta e a entrare nel bar. Lui mi segue, e pare che la sua faccia stia lentamente tornando del suo colore normale.
Ci sediamo al bancone, praticamente da soli. Dio, non c'é quasi nessuno: per la gente normale dev'essere uno schifo avere la serata libera il mercoledì. Per me è perfetto.
-'Notte fratelli.- ci saluta il barista, un tizio alto quasi quanto me che sembra uscito da Willy il principe di Bel Air. Se tutto va bene avrà al massimo diciassette anni -Cosa vi porto?-
Matt ordina una birra e, dopo aver notato il mio sguardo sperduto, ordina anche un Irish Coffee per me. Di solito ce la faccio almeno ad ordinare nei bar, ma stasera no... e poi questo tizio è troppo energico. La gente normale mi mette in soggezione.
-Va bene l'Irish Coffee?- mi chiede Matt.
Il tizio si è allontanato di qualche metro per pescare una Heinkenen dal frigo, quindi dubito che ci senta sopra Elvis sparato a palla. In quale cavolo di bar mettono Elvis? Non siamo nemmeno a Las Vegas.
Cas died on a Thursday. E Dio, no, non ci devo pensare. Comincio ad avere problemi con Elvis, giuro.
Annuisco, e ringrazio Dio del fatto che questo ragazzo mi abbia visto bere più Irish Coffee nell'ultima settimana di quanti ne abbia visto bere da chiunque altro in una vita. Non che ne beva così tanti, ma da queste parti non è che vadano per la maggiore. Soprattutto a quest'ora.
-Grazie.- borbotto.
-Di niente.- dice lui.
E poi restiamo in silenzio finché il barista giamaicano non ci torna davanti con un sorriso che va da un orecchio all'altro e le nostre ordinazioni.
-Buona serata, fratelli!- esclama. Poi esce da dietro il bancone, va a sedersi a un tavolo vuoto e si mette a smanettare sul telefono.
Chissà con chi si sta scrivendo. Magari ha un migliore amico che non dorme bene la notte e gli scrive tardi per farsi consolare. O magari ha una ragazza che vorrebbe passare una serata con lui in più ogni tanto. O magari un ragazzo, chi lo sa. O magari sta semplicemente giocando con il dinosauro di Google Chrome per passare il tempo tra un cliente e l'altro. Non è che mi interessi più di tanto comunque, è che essendo un barista anche io mi immedesimo quando vado in altri bar.
-Ti... ti piace Elvis?- Matt è di nuovo un po' rosso, ma non tanto quanto prima. Sembra che si stia un po' calmando.
-C'é di peggio.- bofonchio rigirando il cucchiaino nell'Irish Coffe e cercando di togliere almeno un po' di panna senza dare nell'occhio -Non è esattamente il mio genere.-
La verità è che Elvis mi ricorda quella fanfiction. Cas died on a Thursday. It was sunny, late afternoon. Beautiful California weather. Era Thursday, comunque. Giovedì. Sono andato a controllare.
-A me piace.- dice lui prima di bere il primo sorso di birra.
E vorrei davvero trovare un modo per continuare la conversazione. Uno qualsiasi per non farlo sentire come se non mi piacesse parlare con lui. Perché non è che non mi piaccia, anzi. In realtà mi sta anche abbastanza simpatico per essere uno che conosco da una settimana, ma non riesco a... non ci riesco. Punto.
-Ti metto a disagio?- chiede infatti dopo circa mezza birra.
Ma non lo chiede come se il mettermi a disagio lo facesse incazzare, lo chiede come se il mettermi a disagio mettesse a disagio lui. Come se lo facesse sentire in colpa.
-No.- rispondo di getto. Cazzata. -Cioè sì. Ma non è colpa tua. Tutti mi mettono a disagio.-
Lui annuisce piano e guarda fisso il bancone.
-Io ti metto a disagio?- gli chiedo.
Perché non so perché, ma ho l'impressione di spaventarlo: quando ci sono io arrossisce. Alice dice che secondo lei gli piaccio, ma non credo che sia per quello. Non capisco perché dovrei piacere a qualcuno in fondo: sono praticamente un nodo di fobie che cammina. Non piaccio nemmeno a me stesso.
-Non proprio. È che non... è troppo difficile da spiegare, ok? Long story short: non mi piace che la gente stia male con me vicino e cerco sempre di mettere tutti a proprio agio, ma con te non ci riesco. Ho sempre l'impressione di star dicendo o facendo la cosa sbagliata e mi dispiace.-
-Non è colpa tua. Davvero.-
Non so nemmeno se dovrei dirgli che in realtà mi sta più simpatico della maggior parte della gente che conosco. Forse suonerebbe troppo consolatorio... e sarebbe strano, perché non so esattamente chi sta consolando chi, qui. Forse ci stiamo consolando un po' a vicenda.
-C'é qualcosa di giusto che posso fare per piacerti un po' di più?-
Mi sta guardando adesso. E sembra sul punto di saltare in aria. Lo sa che questa era una domanda sbagliata, ma vuole sul serio capire. Vuole sul serio essere mio amico. E adesso non ho la più pallida idea di come rispondere.
-Non è che tu non mi piaccia.- provo a dire -È che ho bisogno di tempo.-
Ed è vero. Ho bisogno di tempo per abituarmi ai suoi capelli rosa, alle sue lentiggini e al suo anello di vetro verde. Ho bisogno di tempo per abituarmi al fatto che le sue dita siano sempre macchiate di colore e che quando ride fa il gesto istintivo di coprirsi la bocca. Ho bisogno di tempo, cazzo. E mi sento uno schifo, ma non è che posso farci qualcosa.
Guardo l'orologio sul telefono: fra una cosa e l'altra si è fatta l'una. Il che significa che tra quattro ore dobbiamo essere in stazione a prendere un fottuto treno per andare a Los Angeles a fare quel dannato provino. A questo punto, tanto vale fare una cazzata di quelle serie... ma non posso farla da così sobrio. Ora io ovviamente non chiederò mai altro alcool, ma per mia fortuna hanno inventato i supermercati aperti tutta la notte e ne ho visto uno qui vicino.
-Quanto sei stanco?- chiedo.
Morirò cazzo. E non potrò nemmeno dire di non essermela cercata.
-Non molto.- borbotta lui -E poi non so se riuscirei a dormire, anche se volessi.-
Mi mordo il labbro e bevo l'ultimo sorso di Irish Coffee per darmi coraggio.
-Ti va di fare una cazzata?-
-Non mi sembri un tipo da cazzate.-
Faccio spallucce: è vero che non lo sembro. Ho pure gli occhiali tenuti insieme con lo scotch.
-Ma ok. Cos'hai in mente?-
Piazzo dieci dollari sul bancone e gli faccio cenno di seguirmi. Mentre usciamo sento il barista che ci urla 'Notte fratelli!, prima di dirigermi a passo sicuro (seh... magari) verso il supermercato.
Non so esattamente come arriviamo al parco.
So che abbiamo scavalcato un paio di reti e che mi sono strappato entrambe le ginocchia dei jeans con il filo spinato.
So che la prima volta in cui sono sul serio coscente di aver violato una proprietà pubblica e del fatto che magari è pure un reato federale sono quasi le due e mezza e sono seduto su un fottuto prato, in cima a una collina, con una birra in mano e un ragazzo con i capelli rosa sdraiato di fianco.
So che siamo usciti dal supermercato con un cartone da sei di lattine di birra di sottomarca e che farle passare sopra le reti è stato un incubo.
So che questo è l'unico fottuto posto in tutta la fottuta città da cui si vedono le stelle e che probabilmente non è stata una grande idea portarci Matt, ma ho bevuto abbastanza da non essere costretto a pensarci. Averlo steso a nemmeno trenta centimetri da me continua a preoccuparmi, ma aver bevuto aiuta. Alice ci ucciderà domani... il che mi eviterà un bel po' di problemi tipo il dover fare un fottuto provino per una Battaglia delle band alla quale sto cercando di non pensare.
Immagino che sia strano che io sia qui adesso con un tipo che il più delle volte mi terrorizza, ma tendo a farle queste stronzate, perché sono l'essere meno coerente di questo cazzo di pianeta Terra, cacchio. Il punto è che credo di aver paura della gente perché mi fido troppo. Per quello e perché la gente giudica e io odio i giudizi. Soprattutto quando sono su di me.
-Erano secoli che non vedevo le stelle.- borbotta Matt -Non credevo ci fossero posti con abbastanza poca luce da vederle da queste parti.-
Mi sfugge una smorfia e mi sorge un dubbio e l'alcool mi da il coraggio di chiedere. Anche se per una ragione o l'altra bevo abbastanza, bere a dire il vero non mi piace più di tanto, ma di positivo ha che mi scioglie la lingua.
-Non sei cresciuto qui?-
-Na'. Mi sono trasferito qui dal Minnesota due o tre anni fa: prendo solo gli accenti in fretta. Tu invece?-
Mi mordicchio il labbro, mi tiro un po' giù gli occhiali lungo il naso con un dito e comincio a giocherellare distrattamente con la fine del sopracciglio sinistro, dove ho la cicatrice: non mi piace pensare a casa. Non mi piace proprio. Preferirei poter evitare anche di ricordarmela... nel senso che vorrei non avere proprio i ricordi materiali per farlo.
-Tutto a posto?- mi sento chiedere e mi rendo conto di essere stato zitto per una vita.
-Vengo da Los Angeles. La vera Los Angeles, anche se non proprio dalla parte bella.-
-Oh. Sei un ragazzo di città quindi.-
-Già.-
All'improvviso sto ripensando a casa. Alla voce rotta di mia madre che mi chiamava al telefono il giorno del mio diciottesimo compleanno. Ai miei amici che cercavano di trattenermi dal combinare qualche casino. Alla faccia di mia madre in ospedale. Alla gente che mi guardava impietosita nei corridoi della scuola sapendo cose che io non sapevo su quello che era successo.
Ripenso ai mesi passati a piangere come un coglione sotto la doccia, alle cicatrici che ancora ho sulle cosce e sulle gambe. La gente non si fa troppi problemi se vai in giro con i jeans lunghi d'estate. Sono meno antisgamo delle maniche.
E all'improvviso l'erba umida sotto il mio sedere mi fa ripensare a un altro prato, a un altro cielo e a un'altra persona.
Ripenso a... ripenso a...
Balzo in piedi di scatto.
-Scusami.- borbotto -Devo andare. Buona notte.-
E mi odio per quello che sto facendo perché so che Matt non capirà e penserà di aver sbagliato qualcosa, ma non posso restare qui.
Non posso pensarci in pubblico.

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