Nine

153 12 9
                                    

9.
Numb

Non ho mai creduto granché in niente, malgrado l'essere cresciuto in una famiglia ipercattolica e tutto il resto.
Nemmeno da bambino, e i bambini credono più o meno a tutto, se ti impegni abbastanza per cercare di farglielo credere.
Tra le varie cose a cui non ho mai creduto c'é il destino, ma non ho nemmeno mai pensato che la gente abbia controllo sulla propria vita: buona parte di me è sempre stata convinta che, anche se non è tutto già scritto in partenza, in realtà non importa cosa facciamo perché alla fine è la fortuna che decide, e che tutto quello che possiamo fare noi è correre in cerchio come topi in un labirinto e pregare che la sorte sia dalla nostra parte. Nel mio caso, non credo che sia colpa del destino se tutto mi va male: credo di essere soltanto sfigato.
Nonostante la mia concezione di come funzioni l'equilibrio dell'universo, però, non sono mai riuscito a non darmi la colpa per tutto il fottuto schifo che mi è successo negli ultimi sei anni... non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe andata se a diciannove anni non me ne fossi andato da Los Angeles.
Magari adesso sarei morto, e starei meglio di come non stia in realtà.
O magari le cose si sarebbero sistemate... probabilmente no, ma magari sì. Magari sarei riuscito a uscire dal mare di merda in cui stavo annegando e a questo punto ormai starei meglio lo stesso.
Magari Juramin mi avrebbe aiutato: ogni tanto mi diceva che i momenti brutti succedevano, che era la vita e che non ci si poteva far niente, ma che c'era sempre un'altra luce e che le cose con il tempo sarebbero andate bene, e che se non l'avessero fatto le avrebbe fatte andare bene lui... ma non credo di avergli mai davvero creduto. Mia madre ripeteva di continuo che è stupido aspettare di essere salvati, perché nessuno può salvarti: soltanto Dio può farlo. Io non ho mai avuto molta fede, ma concordo abbastanza con la prima parte della frase: è stupido credere che qualcuno verrà a salvarmi, perché nessuno può salvarmi... e Juramin non ha i superpoteri e per quanto ne so non è Dio, per quello non gli ho mai creduto. Però ci ho sperato.
Immagino che questo sia il mio difetto fatale: non credo in niente, ma spero in tutto e forse è per questo che me ne sono andato.
Avevo smesso anche di sperarci.
Ho smesso di sperare anche nel fatto che riuscirò a farmi coraggio e a uscire da questo bagno prima di domani mattina.
Alice e Matt stanno pestando sulla porta del cubicolo da quasi mezz'ora e probabilmente ormai un mucchio di persone si sarà fermato a vedere cosa stia succedendo, o quanto meno a chiedersi cosa ci faccia una ragazza nel bagno dei maschi, ma per una volta non me ne frega niente di quello che pensa la gente. Essere in mezzo a centinaia (forse migliaia) di persone mentre sul palco c'é il mio ex migliore amico per il quale avevo una cotta è un milione settecentoquattromila e trecentoquarantasette volte peggio che stare chiuso nel bagno di un ostello mentre due cretini prendono a pugni la porta.
In realtà so benissimo che dovrò andarci lo stesso: è solo questione di tempo prima che Alice si stufi, entri nel cubicolo di fianco e si arrampichi sul separé di plastica per passare dalla mia parte. Adesso sta facendo finta di non averci pensato perché vuole darmi fiducia e vedere se riesce a convincermi ad uscire per conto mio, ma deve averci pensato perché è praticamente un genio... e perché potrebbe non essere la prima volta che faccio una cosa del genere.
-Avanti, Myles, esci di lì. Non fare il bambino.-
Nemmeno mi prendo la briga di risponderle. Per non so quale grazia divina sono riuscito a trovare un cubicolo in cui il water ha il coperchio, quindi sono seduto su quello invece che sul pavimento... il che è una gran cosa, perché credo che lo schifo che c'é su quelle piastrelle sia una minaccia biochimica o qualcosa del genere.
Mi sento in colpa perché probabilmente ha paura che possa fare qualche cazzata... ma non ho intenzione di risponderle e dirle che arriverò vivo almeno fino a fine estate.
Se le rispondo penserà che sono disposto a farmi tirare fuori di qui a parole e non voglio che lo pensi. Se proprio mi tireranno fuori da questo fottutissimo cubicolo, lo faranno con la forza.
-Myles, Brenda mi ha mandato un messaggio e a quanto pare i Broken Lies suonano per ultimi stasera: ho tutto il tempo per tirarti fuori di lì e farti il trucco e parrucco con o senza il tuo consenso quindi ti conviene uscire e basta.-
Oh, fantastico, è partita con le minacce. Mi ha fatto capire che ha capito che può venire a prendermi quando vuole.
E quei maledetti dei miei ex compagni di band hanno avuto la brillante idea di arrivare per ultimi sul palco e di dare ai miei attuali compagni di band tutto il tempo del mondo.
Conoscendolo, quel bastardo di Juramin lo avrà fatto apposta.
L'organizzazione della Battaglia è una cosa assurda. In pratica siamo in sessantaquattro band. La prima fase è a tema Classici e dura otto giorni, otto gruppi a serata e per ogni sera ne passa uno solo, poi ci sono i quarti, quattro sere due contro due, poi le semifinali e e alla fine la finalissima.
Chi vince regna.
In tutto dovrebbe durare tre settimane, contando le pause tra una fase e l'altra.
La cosa interessante è che non sappiamo chi sta sotto fino al pomeriggio e non sappiamo dove si suona fino a mezz'ora prima di cominciare. Poi, una volta che tutte le band interessate sono arrivate sul posto, suonano nell'ordine in cui sono arrivate. Gli organizzatori comunicano tutto per messaggio. Assomiglia al The Streets come concetto.
Ogni sera si suona su un palco diverso, appoggiandosi ai festival e alle cazzate varie di cui Los Angeles è piena durante l'estate e durante la giornata abbiamo a disposizione alcuni auditorium scolastici sparsi in giro per la città per le prove. In realtà è abbastanza una figata, ma sapete com'é. Ansia.
-Dai Myles...- ora ci si mette anche Matt. Oro. -Dal palco non ti vedranno mai. Che ti costa venire?-
Appunto. Dal palco non mi vedranno mai, quindi perché dovrei andare?
Sono passati tre giorni da quando Juramin mi è venuto addosso nella mensa e visto che da allora ho fatto di tutto per evitarlo non so se abbia detto agli altri che mi ha visto, però ormai sia Alice che Matt sanno tutto quello che c'é da sapere su di lui e sui Broken Lies (compreso il fatto che il nome l'ho inventato io la prima volta che ho fumato erba. Prima ci chiamavamo Magical League of Weirdos. E... be', Broken Lies non ha senso, ma è sempre meglio di come ci chiamavamo prima).
Alice ha tirato fuori questa cosa del condividere ad alta voce ogni ricordo casuale che mi passa per la testa per sfogare il dolore represso, e sono abbastanza sicuro che come cosa non abbia il minimo fondamento scientifico, ma non importa. Non importa perché credo sia già abbastanza incazzata per il fatto che è mia amica da quasi cinque anni e non le ho mai parlato di Juramin, e dato che dormiamo nella stessa stanza non voglio rischiare che si incazzi di più e faccia cose tipo mettermi i vermi nel letto.
Ieri, subito dopo che siamo andati a dormire, ho detto che c'é stato un periodo in cui Promise, l'unica ragazza del nostro gruppo, era l'unica che non si truccava, perciò rendiamoci conto di cosa sono disposto a fare pur di non far incazzare Alice.
Però questo non posso farlo: raccontare vita, morte e miracoli della mia ex band e del mio ex migliore amico è una cosa, andare a vederli suonare dopo averli mollati senza dire niente a nessuno e non essermi fatto vivo per sei anni è un'altra.
Vorrei tanto avere una sigaretta adesso.
-Alaster Myles Corey Campbell. Ti do cinque secondi per uscire di tua spontanea volontà, dopo di che vengo a prenderti.-
Tiro su le gambe e appoggio i piedi sul bordo della tavoletta per darle più spazio quando salterà dentro: gli atterraggi non sono il suo forte, e non vorrei mai che inciampasse sulle mie gambe e battesse la testa da qualche parte. Nel giro di cinque secondi sento casino nel cubicolo alla mia destra e la testa di Alice spunta da sopra il bordo del separé.
-Apri. Quella. Porta.- scandisce.
Nemmeno la guardo. Tengo lo sguardo fisso e faccio finta che non esista, perché sul serio: se vuole che esca dovrà tirarmi fuori di peso. Non ci voglio andare a quel dannato concerto.
-Apri, Myles.- dice Matt dall'altra parte della porta.
Lentamente passano cinque secondi.
Alice sospira -Ok, My. Come vuoi.-
Si issa sul bordo del separé e si cala dalla mia parte. Io tengo lo sguardo basso, perché non è che vada granché fiero di come mi sto comportando.
Fa scattare la serratura e appena si apre la porta Matt si infila dentro, con il risultato che adesso stiamo anche stretti. E ora mi tireranno fuori di qui e sarà un cazzo di disastro. Mi sale il panico al solo pensarci.
Alice si inginocchia di fronte a me e mi sposta un ciuffo di capelli dagli occhi.
-Hey. Qual é il problema?- chiede dolcemente.
Matt rimane fermo sullo sfondo e giuro che sto facendo una fatica assurda a non fissare né l'uno né l'altra. In un certo senso vorrei non avere gli occhiali: almeno ci vedrei sfocato. Mi risolvo chiudendo gli occhi.
-Lo so che hai paura ed è normale che tu abbia paura... in un certo senso...- mi sussurra. Comincia ad accarezzarmi piano le guance e se non avessi gli occhi chiusi credo che starei frignando come un bambino -Ma non puoi continuare a scappare dai tuoi problemi. Ti fa male e basta.-
-Sono sei anni che scappo dai miei problemi.- borbotto.
Continuo a non aprire gli occhi.
Alice ridacchia -Già, be', senza offesa, ma non è che ti sia andata granché bene negli ultimi sei anni.-
Sento dei passi avvicinarsi e sento lo spostamento d'aria mentre anche Matt mi si inginocchia davanti. Non so proprio come sopportino di posare le ginocchia su quello schifo. E non so neanche com'é che riesco a pensarci visto non ho idea di come mi stia trattenendo dall'iperventilare.
-Apri gli occhi, Myles.- bofonchia lui.
-Non voglio.-
-Va tutto bene, Myles. Staremo con te tutto il tempo, ok? Ti tengo anche la mano se vuoi.- promette Alice -Adesso apri gli occhi, uhm?-
In un certo senso la odio questa cosa. Che continuino a ripetere il mio nome, anche se so benissimo che stanno parlando con me. Lo so che è tipo un modo per convincere il mio cervello a restare presente e a non lasciarsi soffocare dal panico, ma come ho detto troppe volte ormai a me non piace il mio nome.
Respiro profondamente e pian pianino apro gli occhi. Anche se ho gli occhiali ci vedo un po' sfocato e la prima cosa che faccio è togliermeli e strofinarmi via le lacrime.
La prima cosa che vedo è il sorriso dolce di Alice -Bravissimo.- dice -Ora usciamo da qui, ok?-
Entrambi mi porgono una mano e io resto fermo a guardare le loro mani tese per un attimo. Quella di Alice è alla mia destra, con le dita affusolate da pianista e lo smalto nero mangiucchiato sulle unghie. C'é una stellina disegnata a penna sull'attaccatura del pollice (ha la mania di disegnarsi stelle addosso. Ogni tanto se le disegna anche sulle ginocchia dei jeans) e un paio di volute del tatuaggio che ha sul polso spuntano da sotto la manica della maglia nera che ha addosso. Quella di Matt invece è sulla sinistra, macchiata di colore e di lentiggini, l'anello di vetro verde che scintilla sul suo pollice. Ogni tanto mi passa per la testa di chiedermi come mai abbia le mani perennemente macchiate... anche perché ho notato che le macchie non spariscono. Appaiono e restano.
Prendo un respiro profondo. Non voglio uscire da questo bagno. Altro respiro. Forse Alice ha ragione. Non posso continuare a scappare. Eppure non voglio uscire da questo bagno. Ma posso farcela. Devo. Farcela. Respiro di nuovo, cercando di impedire al mio petto di comprimersi come una cazzo di pressa automatica e ai miei polmoni di fare la fine di Terminator.
Prendo le loro mani e mi tiro su. Lascio che mi trascinino fuori dal bagno e in qualche modo mi sento sconfitto, anche se Alice direbbe che sto prendendo a calci in culo le mie fobie. La verità è che non sto prendendo a calci in culo un bel niente: mi sto arrendendo a lasciarmi spingere in avanti e basta.
Appena arriviamo in camera, Alice comincia a frugare nella mia parte di armadio per cercare qualcosa di decente da farmi mettere mentre allo stesso tempo prova a convincermi a togliermi gli occhiali.
-Lo dico per la loro stessa sicurezza!- esclama a un certo punto -Stanno insieme a preghiere e nastro isolante, Myles, tu non vuoi veramente che finiscano in mezzo a un concerto!-
-Sono praticamente cieco senza occhiali.- protesto pigramente.
Sono seduto sul mio letto, e sto facendo di tutto per non guardarla mentre manda a puttane le due ore e mezzo che ci ho messo per sistemare l'armadio, giusto perché per una volta che mi ero impegnato a tenere in ordine...
Ho fottutamente bisogno di una fottuta sigaretta.
-Lo so, tesoro, è per questo che hanno inventato le lenti a contatto.-
-Odio le lenti a contatto.-
-Non è un problema mio.- cinguetta lei.
La odio quando fa così.
-Oi, ferma: quella sembra carina.-
Matt si materializza all'improvviso nell'angolo della stanza in cui è andato a piazzarsi appena siamo arrivati e le toglie dalle mani una camicia a scacchi neri e blu che lei stava già ributtando nell'armadio.
-Non fa troppo boscaiolo, secondo te?-
-Na'...-
-Ok, vada per la camicia da boscaiolo.- decide Alice -Ora pantaloni.-
-Non posso tenere questi?- provo a intromettermi.
Si girano verso di me e mi fissano, come se mi stessero mettendo sotto esame. Per un mezzo secondo il mio cervello mi fa notare che Matt ha i capelli rosa e che le punte di quelli di Alice, che prima erano blu, adesso sono un po' stinte e sono sull'azzurro e che è un peccato che non abbiamo nessuno con i capelli viola da metterci in mezzo, perché verrebbe fuori la bi flag. Un altro mezzo secondo lo passo a chiedermi come ho fatto a pensare a una cosa del genere.
Il secondo dopo sto guardando anche io i miei pantaloni, cercando di capire cos'abbiamo che non va. Sono jeans. Grigi. Con uno strappo sul ginocchio destro. Sono jeans normali.
-No.- decreta Alice alla fine.
-Decisamente no.- concorda Matt.
E io davvero non capisco, ma va bene lo stesso. Cioè, non va bene un cazzo, ma sopravviverò.
O forse no. Probabilmente no.
Ma il punto non è mica questo cazzo. Almeno credo. Non penso granché bene quando sono in panico. E in questo momento mi viene da vomitare. Almeno, ancora non mi sembra di star annegando.
Non ancora.
Matt e Alice continuano a frugare tra le mie cose e alla fine se ne escono con un paio di jeans neri quasi skinny  con la vita abbastanza bassa che non mi ricordavo nemmeno di avere, figurarsi se mi ricordavo di averli messi in valigia.
-Questi.- dichiara Alice -E. Ti presto una delle mie cinture con le borchie.-
Sento distintamente i miei occhi allargarsi.
-Non. Se. Ne parla.- sbotto -Quelle cazzo di borchie sono fluo, Alice. Si vedono a tre miglia di distanza e attirano l'attenzione. E poi le tue cinture non mi andrebbero mai bene.-
-Cazzate.- ribatte lei sorridendo prima di andare a frugare in uno dei cassetti del suo comodino -Sei magro come un chiodo e hai i fianchi di un bambino di otto anni, ti andrà bene.- aggiunge.
Quando si alza ha in mano una specie di obbrobrio ricoperto da quattro file di borchie rosa fluo e argentate che lo attraversano per lungo... e giuro che non ho mai voluto morire così tanto come in questo momento: mi stanno portando a un cazzo di concerto vestito da faro, Cristo Santo. Giusto perché così se vado in panico e mi metto a piangere come un ragazzino mi vedrà metà dei fottuti Stati Uniti.
La vita fa schifo, cazzo.
Tenendo la testa bassa mi cambio. Alice e Matt escono mentre lo faccio, perché col cazzo che mi lascio anche vedere nudo dopo tutta la merda che mi sta succedendo oggi. Ho delle cicatrici sulle gambe, e non solo quelle, perciò anche no, distinti saluti, grazie, addio, ciao. 'Sti cazzi che mi faccio vedere da loro senza pantaloni.
Quando sono di nuovo vestito li lascio entrare e faccio di tutto per non guardarli mentre loro mi guardano.
-Stai una favola.- dichiara Alice -Se non fosse che sei un ragazzo, ti chiederei di uscire.-
E tipo mai nella vita potrei uscire con Alice, se anche non fosse che è lesbica. È la mia migliore amica, Cristo. Sarebbe praticamente incesto. Detto da uno che ha praticamente passato l'adolescenza con una cotta per il suo migliore amico è ridicolmente ipocrita, ma sorvoliamo.
Rimangono a guardarmi per quasi un altro minuto, lanciandosi un'occhiata ogni tanto.
Dio, questa situazione è così ridicola...
-Ora però via gli occhiali.- ordina Matt, e si avvicina per levarmi gli occhiali dal naso.
E all'improvviso tutto diventa sfocato a un livello terrificante.
-Dovremmo metterti un po' di eyeliner.- propone qualcuno. Non sono sicuro su chi dei due perché sono troppo impegnato a maledire la mancanza di messa a fuoco dell'universo per ascoltare sul serio.
Ma a quanto pare hanno deciso di riportare alla luce il mio lato emo, ed è più o meno da quando avevo diciassette o diciotto anni che tento di tenerlo a marcire nel profondo di me, quindi... Yay.
All'epoca mi sono persino tinto i capelli di nero una volta, ma me ne sono pentito appena mi sono guardato allo specchio. E Juramin si è rifiutato di parlarmi per tipo tre giorni, perché Dio, non posso credere che tu sia così idiota.
Mi lascio strattonare verso il letto e lascio che mi mettano a sedere. Alice mi aiuta a mettere le lenti a contatto, perché sono praticamente cieco e comunque senza specchio non sarei mai in grado. Poi resto fermo immobile a fissare l'espressione concentrata di Matt mentre mi mette l'eyeliner e qualcosa nella mia testa si ferma a pensare che è adorabile con gli occhi ridotti a due fessure e il labbro inferiore stretto tra i denti. E davvero, sarei capace di mettermelo da solo l'eyeliner se solo mi lasciassero tornare in bagno dove ci sono gli specchi, ma probabilmente hanno paura che mi chiuda di nuovo in qualche cubicolo e magari che stavolta mi porterei dietro una lametta... e non posso promettere che non lo farei.
Matt é ambidestro. Non me n'ero mai accorto, ma cambia mano da un occhio all'altro, perciò immagino che lo sia.
Alice ci fa una foto a tradimento appena Matt si sposta per ammirare il suo lavoro e poi  ce la fa vedere. Si vede il profilo di Matt, i capelli rosa scompigliati e una mano macchiata di colore sul mento mentre mi osserva con occhio critico. Io sto fissando l'obbiettivo perché quando è partito il flash di istinto mi sono girato a guardarlo. La luce strana della stanza mi fa sembrare i capelli di un rosso più profondo e le linee nere attorno ai miei occhi rendono la mia pelle ancora più cadaverica e fanno assomigliare il grigio delle mie iridi al colore delle nuvole prima di una tempesta. Non so se mi mancava vedermi così.
Prima ancora che abbia il tempo di rendermene conto siamo su un autobus, diretti verso il Watts. Alice e Matt sono a fianco a me, vestiti per l'occasione, e oltre a noi c'é una ragazzina magrissima sui tredici anni con addosso un paio di shorts chiari e una maglia rosa confetto con scritto sopra JUST RELAX che le lascia scoperto l'ombelico che ci sta guardando schifata da almeno un quarto d'ora. E cazzo, vorrei tanto riuscire a rilassarmi, tesoro, ma sono sull'orlo di un attacco di panico da ore ormai e il fatto che tu mi fissi e che la tua stupida maglia mi stia urlando contro non mi stanno aiutando.
L'unica cosa che riesco a fare è fare di tutto per guardarla il meno possibile e cercare di respirare profondamente.
Sono più o meno le undici e non so dove stia andando una ragazzina come lei a quest'ora. Non mi interessa a dire il vero. Alice e Matt non badano a lei, e vorrei esserne capace anche io. Vorrei essere capace di starmene tranquillo quanto loro ma non ci riuscirei neanche se non stessimo andando a sentire i Broken Lies. Fino a questa mattina nemmeno sapevo se esistessero ancora, i Broken Lies. Figuriamoci se mi aspettavo di sentirli suonare.
Arriviamo al festival che sono quasi le undici e mezza e c'é un fottuto fottio di gente e cazzo andrò in crisi. Morirò qui. Alice mi prende per mano e mi trascina verso una specie di cancellata con sopra uno striscione che recita qualcosa di illeggibile.
Nemmeno lo sapevo che ci fossero festival estivi nel Watts, ma ok. Al momento è l'ultimo dei miei problemi.
Il palco sembra lontano chilometri con questo mare di gente e sopra ci sono cinque ragazze che stanno cantando I don't like your girlfriend di Avril Lavigne e la stanno cantando anche alla grande, per quanto io non sia un fan di Avril Lavigne. Hanno addosso delle camicette nere e delle gonne scozzesi e sembrano così dannatamente piccole e lontane e la gente davanti a noi urla e balla e si scatena e sono talmente brave che stanno facendo casino persino alcuni ragazzi vestiti di pelle e ferro circa dieci metri a fondo nella folla davanti a noi.
-Queste ragazze spaccano!- urla qualcuno. E cazzo.
Sette o otto anni fa avrei adorato questo posto. Avrei adorato questo momento. La gente, le luci fioche, l'odore di fumo e di birra sgasata e le risate, i rumori, il fatto che ci siano persone che stanno letteralmente cuocendo dei cazzo di marshmallows su fuochi accesi dentro bidoni di latta abbandonati... persino la canzone di Avril Lavigne mi sarebbe piaciuta, anche se a me Avril Lavigne é sempre stata sulle palle.
Quando eravamo adolescenti, d'estate Juramin e io finivamo in posti come questo praticamente ogni sera: all'epoca i miei problemi di ansia erano molto meno grossi e se cominciavo a terrorizzarmi mi bastava ricordarmi che nessuno badava a me.
Vorrei tornare ad avere diciassette anni. Vorrei essere di nuovo io, e chissenefrega se quell'io era un coglione che si tingeva i capelli di nero per sembrare edgy.
Ci teniamo un po' in disparte. Ci sediamo sul cofano di un pickup arrugginito che probabilmente è abbandonato qui da anni, a poco più di tre o quattro metri da dove finisce la folla e comincia lo spazio delle bancarelle e delle altre cazzate.
Alice va a prendere le birre e mi lascia da solo con Matt. Ha addosso una maglietta grigia dei The Strokes. Non so perché, ma giurerei che ha solo vestiti grigi... e non è che il grigio gli stia male né niente, ma è strano. Persino io non ho vestiti solo neri o blu.
Sta guardando verso il palco e ci metto due minuti interi a rendermi conto che lo sto fissando... e me ne rendo conto solo perché si gira verso di me.
-Stai bene?- chiede.
Mi limito a scuotere la testa, perché non credo di essere in grado di parlare senza scoppiare in lacrime. In un certo senso sono un po' meno in panico adesso. Sono abbastanza sicuro che ricomincerò a iperventilare non appena i miei ex amici saliranno sul palco, ma per ora, da quel punto di vista, le mie condizioni sono lievemente migliorate. In compenso adesso mi sta salendo la nostalgia. Ho il cervello sommerso di ricordi di canzoni che non sento da una vita, e di serate passate a prendere per il culo coverband che facevano pena, e di sigarette e di Juramin ubriaco e di come ogni volta uscissi ripromettendomi che avrei fatto qualcosa per davvero. Che gli avrei parlato, o che ne so: all'epoca, per non so quale motivo, credevo di avere una speranza con lui. Credo che sarebbe stato carino con me se gli avessi detto che avevo una cotta per lui, ma so che non ero il suo tipo e lo capisco.
Ricordo che però ogni volta tornavo a casa confuso, stanco morto e stupidamente felice, anche se sapevo che dopo cinque ore di sonno sarei tornato a maledirmi perché per l'ennesima volta non avevo concluso un cazzo.
Alice torna con le birre prima che Matt possa chiedermi qualcos'altro e mi mette in mano una birra rossa e passo più o meno mezzo secondo a stupirmi che in un posto del genere abbiano anche qualcosa di diverso da bionda slavata comprata al discount. Il più delle volte nemmeno hanno le spine: ti svuotano direttamente una lattina in un bicchiere.
La sorseggio distrattamente mentre sul palco passano altri due gruppi. I primi si chiamamo Dead After Tomorrow e a dispetto del nome molto emo si esibiscono in una cover abbastanza da anche no di I want it that way dei Backstreet Boys (un po' mi vergogno, quando mi rendo conto che nemmeno mi ricordavo che esistessero i Backstreet Boys) e i secondi, tali Fucked Up portano una versione country di You Shock Me All Night Long degli AC/DC e quasi rido quando Matt dice che, be', fucked up é il modo giusto per descrivere questo schifo. Quasi.
Poi il presentatore annuncia l'ultimo gruppo della serata e il mio cuore perde un battito. Ho ancora mezza birra in mano, cazzo. Sono troppo sobrio per affrontare questa cosa, ma non ho il coraggio di bere ancora adesso: mi sento già annegare di mio, ci manca solo che cominci a forzarmi liquidi in gola.
Le dita di Alice si intrecciano alle mie quando il tipo scende dal palco per far posto ai Broken Lies. E diavolo, fanculo tutto, non ce la posso fare.
Noto che nessuno di loro è cambiato più di tanto, mentre salgono sul palco. Promise è ancora piccola e ha ancora i capelli tagliati a spazzola come li portava quando aveva diciotto anni. Sembra ancora che sparisca dietro la batteria, e se non sapessi che tipo di stronza può essere, direi che è quasi adorabile.
Alfie ha ancora problemi a capire da che parte deve tenere il basso, perché non ha mai imparato a distinguere la destra dalla sinistra. Alfie non è il suo vero nome. Il suo vero nome è Ezra November Blackwell, il che é ancora più assurdo se consideri che ha la pelle color cioccolata e che assomiglia vagamente a Will Smith. O almeno, così dice lui. Non ho mai capito perché lo chiamino Alfie, ma anche i suoi genitori lo chiamavano così. E a giudicare dalla faccia che ha fatto suo padre quell'unica volta che l'argomento nome è saltato fuori in sua presenza, si sentivano in colpa per averlo chiamato Ezra November.
Ogni tanto mi chiedo se anche i miei si siano sentiti in colpa quando si sono resi conto di avermi effettivamente chiamato Alaster Myles Corey.
Yorick è forse quello che è cambiato di più: è più alto e ha i capelli di un colore diverso, ma l'aria da ragioniere imbrillantinato con un palo infilato su per il culo non gliel'hanno ancora tolta. Davanti alla sua tastiera c'é un microfono, quindi oso pensare che ora sia lui il cantante, ed è una buona scelta. Quella con più talento canoro probabilmente era Promise, ma immagino che cantare da dietro una batteria non sia il massimo.
E poi per ultimo c'è Juramin, che si è legato i capelli in una specie di chignon spettinato molto simile a quelli che andavano di moda quando eravamo al liceo, tra il 2015 e il 2018. All'epoca gli piaceva prendere per il culo i ragazzi che si legavano i capelli così. Adesso invece li porta con una certa fierezza, mentre sale sul palco imbracciando la sua chitarra come se fosse un'arma.
Non riesco a vederli bene da qui perché siamo abbastanza lontani, ma sembrano... felici. Sembra che se la siano cavata bene negli ultimi sei anni e per un attimo riesco quasi a essere felice per loro, fin quando non si mettono in assetto e Yorick non da l'attacco con la tastiera. La folla reagisce subito e certa gente comincia a esultare, mentre io guardo fisso nel vuoto. Sono piuttosto sicuro che il mio cuore si sia fermato.
Perché la canzone che stanno suonando è una delle mie preferite da quando avevo tipo dieci anni e potrei giurare che lo fanno apposta.
Numb. Dei Linkin Park.
Questi bastardi figli di puttana dei mei ex amici stanno suonando Numb, e io sto piangendo come un idiota perché sono passati sei anni, ma forse ancora si ricordano.

One More LightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora