2 • Il Banchetto della Primavera

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Gli anni dell'infanzia presero a sfumare, nella sua memoria.

Più cercava di trattenerli, più questi sembravano sfuggirle, con la stessa leggerezza con cui i fiori di tarassaco si libravano nel vento; del suo compagno di giochi, dunque, non rimase che una velata nostalgia, un desiderio nascosto cui non avrebbe saputo dare voce.

Sua madre non le permetteva mai di allontanarsi da lei, insistendo perché cominciasse a occuparsi dei doveri di una giovane donna; Core imparò dunque l'arte del telaio e del ricamo, continuando a far sbocciare fiori là dove sua madre la conduceva.

Le ninfe avevano smesso di stuzzicarla perché corresse loro dietro, facendo a gara per acconciarle i capelli e intrecciare per lei bracciali di fiori, che Core portava alle caviglie, ai polsi. A contatto con la sua pelle questi restavano splendidi, persino separati dal terreno.

Pochi satiri provavano ad avvicinarla, i quali venivano prontamente scacciati dalla Madre Terra, che serbava lo stesso trattamento anche agli uomini mortali. A Core non importava, ma talvolta si domandava come sarebbe stato essere baciata da qualcuno; aveva visto un mortale, Orfeo, sollevare il viso di una ninfa e posare le labbra sulle sue con delicatezza, mentre lei lasciava per un attimo il nocciolo cui era legata.

Osservandoli, Core aveva provato una fitta di dolore, di mancanza. Sapeva che quel sentimento era legato al giovane che aveva conosciuto molto tempo prima, e poiché riusciva a rammentarne solo gli occhi, quieti e malinconici, se ne rattristava.
Era stato suo amico: avrebbe meritato di essere almeno ricordato.

Un giorno, Demetra Chtonia la raggiunse con un sorriso mesto e un velo fra le braccia, e Core seppe immediatamente cosa significava.

«Il Padre degli Dei desidera che tu ascenda all'Olimpo», disse, lasciando il velo incantevole alle cure della ninfa che stava aiutando Core nel ricamo.

Il cuore parve volerle sfuggire dal petto. Suo padre.

Demetra non le aveva mai consentito di vederlo, così come il Re degli Dei non aveva mai mostrato il desiderio di conoscerla; se l'avesse fatto, neppure la dea delle messi avrebbe potuto opporsi al suo volere. Tuttavia, nonostante l'avesse ignorata per tutta la durata della sua esistenza, Core seppe di essere pronta a perdonarlo, e in cuor suo sapeva già di amarlo.

«Non essere infelice, Madre», la supplicò, avvicinandosi e prendendole una mano. Uno specchio di bronzo lucidato mostrò quanto fossero simili: la stessa sfumatura bruna circondava in morbide volute i loro volti, il colore caldo della terra appena arata; ma laddove gli occhi di sua madre erano dorati come il grano che benediceva, quelli di Core erano la prova che discendeva anche dal Cielo.

«Non lo sono, bambina. Ma temo che lui ti spezzerà il cuore», rispose, stringendole le dita fra le sue.

Demetra e Zeus non avevano mai avuto un rapporto facile. Ogni volta che Hermes portava un messaggio di suo padre, sulla fronte di Demetra si formavano delle piccole rughe, mentre la sua bella bocca si assottigliava in una linea dura.

«Voglio soltanto conoscerlo», la rassicurò Core, sorridendo. «Ogni dea deve essere presentata all'Olimpo, almeno una volta.»

Erano poche le divinità che sceglievano di restare sulla terra, a contatto con i mortali. Sua madre per natura non sopportava di stare lontana dai suoi campi, ascendendo all'Olimpo solo quando il fratello la convocava.

Non le aveva mai concesso di accompagnarla, lasciandola fra le ninfe in attesa del suo ritorno. Core però agognava il Cielo, il cui richiamo scorreva potente nelle sue vene.

Riconobbe l'apprensione negli occhi di sua madre, legata a qualcos'altro, ma non se ne preoccupò; in quel momento voleva concentrarsi soltanto sull'imminente incontro con suo padre.

Aidoneus - Le soglie dell'EreboDove le storie prendono vita. Scoprilo ora