1 • Narcisi neri

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Da che aveva memoria, lui le era sempre stato accanto.

Una figura ai margini, un'ombra fitta da scorgere con la coda dell'occhio mentre coglieva fiori sul limitare del bosco, una sensazione di mancanza e dolcezza fra le pieghe della sua coscienza.

Ogniqualvolta provava a guardare meglio, però, o cercava di dare una spiegazione alla sensazione di lieve struggimento che fioriva nel suo animo, lui svaniva.

Sapeva soltanto che c'era stato un tempo, durante la sua infanzia, in cui quell'ombra le era stata vicina; che aveva avuto mani gentili e un viso familiare.

Non era stata che una pupattola la prima volta che quell'ombra alta l'aveva sovrastata, oscurando per un momento lo splendore del Sole; o forse era già stata presso di lei, molto tempo prima, quando ancora non era che un fagotto di membra rosee fra le braccia protettive della dea sua madre.

Aveva pochi ricordi di lui, ma tutti appartenevano ai profumi della campagna, al cielo limpido e al calore sul suo viso.

****

Sedeva sull'erba, avvolta in un abitino chiaro confezionato dalle ninfe di sua madre, strappando gli steli delicati e gettandoli al vento, per il solo incanto di vederli sollevarsi per poco.

«Falli volare di più», ordinò, serissima. A quelle parole, i fili d'erba che aveva reciso si sollevarono di nuovo in volo, vorticando piano attorno alla sua testa e solleticandole i ricci bruni mentre lei rideva, deliziata.

Il suo compagno di giochi lasciò che le foglie ricadessero su di lei in una pioggia delicata, mentre lei sollevava le mani nel tentativo di acciuffarle.
«Ancora!»

Il volto dell'uomo si aprì in un lieve sorriso. La mano pallida si levò con il palmo rivolto verso l'alto, perché fossero i fiori della camomilla a danzarle intorno, profumati.

«Core!»
Fu una voce agitata a interrompere il gioco, e i fiori tornarono a cadere sul prato, anneriti e senza vita.

Core si voltò verso la dea sua madre, che le correva incontro coi begli occhi dorati colmi di un'antica apprensione. «Con chi stavi parlando?» le chiese, sfiorandole i ricci scuri.

Core sorrise, perché anche quello faceva parte del gioco. Il loro gioco.
«Con nessuno, Madre.»

Demetra Dispensatrice però continuò a guardarsi intorno, poco convinta, scrutando le ombre vive del bosco, sul limitare dei campi coltivati. Poi, si era chinata a sfiorarle il viso, accigliata. «Non devi parlare con gli sconosciuti. Hai capito, Core?»

Lei sapeva come rispondere.
«Sì, Madre.»

****

Poiché non si mostrava a nessuno tranne che a lei, Core aveva preso a chiamarlo Aidoneus. Sebbene lo avesse incontrato spesso durante il suo vagare fra le colline, dorate della benedizione di sua madre, non si era mai soffermata a domandarsi se dopotutto non possedesse anche un altro nome.
Era una bambina, ed era una dea; l'unica cosa che avesse importanza era la sua presenza quando lei la desiderava.

Lo aveva chiamato Aidoneus, dunque, invisibile, e il suo compagno di giochi sembrava aver accettato quel nome con il garbo e la tolleranza infinita che si ha con i bambini, specialmente quelli immortali.

Così, ogniqualvolta si stancava di correre con le ninfe o di giocare con le creature semidivine che facevano parte della corte itinerante di sua madre, Core si avvicinava alle ombre più scure degli alberi, certa che lui fosse sempre lì, in attesa di lei.

Aidoneus - Le soglie dell'EreboDove le storie prendono vita. Scoprilo ora