Ventinovesimo Capitolo

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CLINICA KOBAYASHI, STESSO GIORNO DELLA SCOMPARSA.

ORA DI PRANZO, CAMERA DI IZAYA.

“Non posso crederci che l’abbia fatto davvero…” mormorò ancora una volta Shizuo, scuotendo lentamente la testa e dando un’ultima occhiata al biglietto scritto dall’informatore, mentre, nel frattempo, si lasciava cadere a sedere, stanco, sulla sedia vicino al letto, il viso livido per la rabbia e lo sgomento.

Shinra sospirò, osservando avvilito la finestra spalancata dalla quale il giovane era fuggito, nel cuore un’opprimente sensazione d’impotenza.

Non sono riuscito a trovare altra soluzione.

Ho un piano, ma per le prossime 24 ore NON muovetevi di casa e NON CERCATEMI, o potremo rimetterci tutti la pelle.

Mairu e Kururi comprese.

Tenetele lontano dalle strade, Tokyo non è sicura al momento.

Mi farò sentire non appena la faccenda sarà risolta.

Mi raccomando, DATEMI ASCOLTO.

 

Le parole dell’amico continuavano a rimbombargli in testa senza tregua.

Quella mattina in clinica s’era scatenato l’inferno… Il primario era furioso, gli infermieri sconvolti.

Nessuno mai prima d’ora era riuscito a fuggire tanto facilmente.

“Ahhh… Dannazione!” sibilò il giovane medico, provato dalla situazione, passandosi una mano fra i capelli.

“Perché??? Perché non sono rimasto con lui ieri notte??? Maledizione!!! Lo sentivo che qualcosa non andava!!!” sbottò Shizuo, scattando in piedi all’improvviso ed accartocciando malamente il foglietto con una mano, intanto che, con gli occhi lucidi di stizza, si voltava, nervoso, verso il letto vuoto, nel quale, fino al giorno prima, aveva riposato il compagno.

“Izaya…” mormorò poi, mesto, osservando con tristezza il pigiama di quest’ultimo, adagiato, di traverso, sulle lenzuola scomposte, e ripensando allo strano comportamento adottato dal giovane la sera precedente.

Quell’abbraccio così disperato, quel bacio febbrile… Non erano dipesi solo dal bisogno d’essere rassicurato ancora, purtroppo… Ed egli provava un forte senso di colpa per non averne intuito la motivazione più profonda: essi costituivano una sorta d’addio, un triste saluto… L’avanguardia d’un congedo estremamente pericoloso.

Le parole dell’Orihara sul biglietto inoltre erano state chiare: non voleva nessuno tra i piedi.

Di nuovo, avrebbe cercato di risolvere i propri problemi da solo.

Di nuovo… Rischiando la vita.

“Merda!!!” sibilò il biondo, le mani sui fianchi, piantandosi di fronte alla finestra spalancata ed osservandone, corrucciato, il panorama al di fuori.

Sarebbe stata davvero una magnifica giornata se la sua pulce avesse evitato di compiere un’azione tanto azzardata: il cielo era limpido, gli alberi ed i cespugli ancora in fiore… Inoltre nell’aria si muoveva una leggera brezza, attutita tuttavia dal caldo sole tardo-primaverile.

Purtroppo l’unica sensazione che, invece, egli, riusciva ad avvertire, era solo un terribile gelo pungente all’altezza del petto, il quale, sadico, gli si propagava a stilettate in ogni parte del corpo, torturandolo senza pietà.

BREAKDOWN | by LavrielDove le storie prendono vita. Scoprilo ora