2. Un'altra persona

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Aprì gli occhi e deglutì lentamente. Continuavo a muovere i piedi cercando il posto caldo sotto le coperte, rifiutandomi assolutamente di alzarmi e iniziare la giornata.
Sbuffando afferrai il cuscino sbattendomelo in faccia e girandomi dalla parte opposta del letto. Sorrisi leggermente appena trovai la parte calda e la posizione perfetta.
Sgranai gli occhi quando vicino alla mia testa, la sveglia del telefono iniziò a suonare causando un rumore assurdo, borbottando e sbuffando mi alzai a sedere sul bordo del letto.
Posai le mani sul viso strofinandolo e mettendo la vista a fuoco, afferrai gli occhiali che stavano sul comodino.
Sgranai gli occhi non appena li posai sul naso «molto meglio» sussurrai facendomi forza e alzandomi.
Velocemente infilai i piedi nelle pantofole morbide e aprì la porta scendendo giù per le scale. La notai girata di spalle con addosso un vestito lungo rosso fiamma. Sorrisi sollevata, era davvero deprimente vederla ogni giorno con il suo solito abito nero lungo che la spegneva ogni giorno sempre di più.
La abbracciai da dietro e le lasciai un bacio sulla guancia facendola ridere «ti sei svegliata» mormorò sbattendo l'uovo sul bordo della padella per poi lasciarlo cadere nello stampino a forma di cuore.
Inspirai e indirizzandomi verso il frigo, afferrai l'anta aprendola ed estraendo il succo d'arancia fresco. Non mi disturbai nemmeno di versarlo in un bicchiere, anzi, afferrai la brocca con entrambe le mani e lasciai che il succo mi colasse lungo i lati della bocca. Feci schioccare la lingua e sorrisi girandomi verso di lei sorridendo «buonissimo».
Lei rise posando il piatto sul tavolo con accanto un bicchiere anche esso pieno di succo d'arancia.
«Non l'hai ancora svegliata?» domandai pulendomi la bocca con l'avambraccio e guardandola.
Lei si pulì le mani sul grembiulino e scosse il capo «no» mormorò «ho pensato di lasciarla dormire un po' di più dato che è sabato»
Inspirai e guardandomi attorno, deglutì «ora vado a svegliarla io» dissi sorridendole per poi salire le scale.
Posai la mano sulla maniglia e lentamente la aprì, sorrisi non appena la vidi girata di spalle che dormiva. Mi guardai attorno e analizzai quelle pareti rosa chiaro, il suo letto a baldacchino dello stesso colore, il suo angolo giochi dove sedevano tutte le sue barbie e le loro casette.
A passi lenti mi avvicinai al letto stendendomi accanto a lei e scuotendola di poco «principessa» sussurrai togliendole i capelli dal viso e fissandola.
Chiusi gli occhi e ripresi fiato scuotendo il capo.
Non c'era mattina che non succedesse questa cosa, il cuore mi accelerava e il respiro sembrava mancasse sempre di più. La guardavo e lo vedevo, era uguale a lui, con gli stessi tratti visivi: gli occhi color nocciola chiari, i capelli biondo cenere e le labbra a cuoricino.
Cinque maledetti anni da quando ci parlammo per l'ultima volta, non lo vidi più da nessuna parte, forse anche per il fatto che decisi di lasciare alle spalle il mio passato e iniziare tutto da capo, in un altra città, lontano da tutti coloro che conoscevo. Ho pensato fosse la scelta giusta sia per me, che per Eveline. Non volevo che nessuno sapesse di lei, lei era il mio piccolo segreto e il mio angolo di paradiso.
L'aria di Manhattan ci faceva più che bene, ovviamente a mia nonna, anche a me a volte, mancava tantissimo l'Italia e non vedevamo l'ora di ritornarci il più presto possibile.
Volevo tanto dimenticarlo e lasciarlo nel passato, avere il coraggio di andare avanti e ricominciare ad amare, ma come potevo, quando la mattina, vedevo Eveline e sembrava che tutto stesse iniziando da capo.
Sobbalzai non appena la notai seduta accanto a me, con il sorriso stampato in faccia e i capelli scompigliati, mi guardò e gli occhi le si illuminarono «Buongiorno mammina» mormorò con la voce ancora assonnata.
Inspirai e le spostai i capelli dal viso ricambiando il sorriso «buongiorno principessa» dissi.
La presi in braccio e ci alzammo entrambe, scesi le scale e quando arrivammo in cucina, la lasciai per terra da dove lei si sedette sulla sua solita sedia davanti alla colazione che la nonna le fece.
Guardai l'orologio e alzai le sopracciglia sbuffando «vado a prepararmi che se no arrivo in ritardo» mormorai guardandola per poi avvicinarmi a lei posandole un bacio sulla fronte «mi raccomando, mangia tutto che dopo, appena arrivo dal lavoro, usciamo»
Lei sorrise battendo le mani dalla grande felicità per poi imboccare metà uovo «guardami, lo sto mangiando» disse lei masticando velocemente.
Risi per poi girare i tacchi e salire di nuovo quelle dannate scale e raggiungere la mia camera. Aprì l'armadio e velocemente tirai fuori la gonna a tubino, la camicia bianca e il blazer nero e in piedi i miei soliti stiletto.
Mi spogliai e rimasi in intimo davanti allo specchio, iniziai a sfiorarmi le spalle, il petto, la pancia, i fianchi. Avevo bisogno di sentirmi amata, di essere toccata da lui, e sentirlo di nuovo dentro di me.
Da quando quel casino successe, non ebbi più nessuna esperienza sessuale, mi rifiutai minimamente di essere toccata da qualcun altro che non fosse lui.
Scossi il capo e velocemente mi vesti guardandomi allo specchio.

Tolsi gli occhiali neri Gucci oversize non appena entrai nell'edificio, sorrisi a destra e a sinistra, ai clienti che stavano aspettando e, per finire, alla mia segretaria Aisha, che stava concentrata sullo schermo davanti a lei «buongiorno signorina» sorrisi appoggiandomi al bancone e guardandola.
Alzò di scatto il viso e appena si rese conto di chi fossi, mi sorrise a trentadue denti «buongiorno signorina Smith» mormorò «le dico adesso l'orario o glielo mando tramite email?» domandò aggrottando le sopracciglia nere.
La squadrai dalla testa ai piedi nascosti sotto la scrivania, i capelli neri lunghi le cadevano lungo le spalle piccole, gli occhi azzurri come il cielo le illuminavano il viso olivastro, sorrisi «mandamelo tramite email» dissi guardandomi attorno per poi picchiettare con le unghie sul bancone «potresti anche farmi un caffè gentilmente?» sussurrai facendo il labbrino, appena ricevetti un sorriso come conferma, mi piegai sopra il bancone dandole un bacio sulla guancia «grazie, ti adoro» furono le mie parole prima che schiacciassi il pulsante aspettando l'ascensore e mi dirigessi nel mio ufficio.
Appena aprì la porta, buttai la borsa sul divano in pelle bianco e mi buttai di peso sulla sedia sbuffando. Tirai su lo schermo del pc e iniziai con il dito a muovere il mouse e andare sulla casella email, laddove in pochi secondi, mi si riempì tutto.
Evitai di sbuffare ancora una volta e scossi il capo, concentrandomi sulla centinaia di email alle quali dovevo rispondere.
Ebbene sì, avevo la mia azienda che produceva prodotti di make-up, la mia passione sin dall'inizio.
Ho pensato di investire i soldi di mio nonno in qualcosa che mi appassionasse e mi portasse ancora più soldi, evitando di vivere la vita che prima vivevo.
Non volevo più farlo, non volevo creare vergogna ne a mia nonna, ne alla mia figlia.
Tutto ciò che feci in passato, mi rendeva ciò che ero oggi: una donna stilata, una bella mamma e con il suo proprio lavoro, senza l'aiuto di nessuno.

Sono Asia Smith, ho 30 anni e questa è la mia storia.


Perdonatemi per eventuali errori 💕🙏🏻

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