2. Revelation

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·≈· HERMIONE'S POV·≈·


«Parkinson!», esclamai, cercando di attirare l'attenzione della ragazza.

La Serpeverde era appoggiata ad una colonna del cortile interno, stretta nel mantello scuro, gli occhi che scrutavano l'orizzonte, pensierosi. La sigaretta che stringeva tra le dita era quasi interamente consumata e lo smalto color malva era smangiato in più punti.

«Parkinson?», la chiamai nuovamente, in attesa di avere una reazione di qualsiasi tipo da parte sua.

La ragazza lasciò cadere a terra la sigaretta, pestandola con la punta della scarpa; mi dovetti mordere con forza il labbro inferiore per non riprenderla.

«Non dovresti...», iniziai, non riuscendo a trattenere la Caposcuola che era in me.

«Cosa vuoi, Granger?»

Il suo tono di voce era vuoto, privo di inflessioni. Non c'era rabbia, dolore, disprezzo o tristezza. Solo apatia.

«Volevo...», cominciai, ma ancora una volta venni interrotta dalla Parkinson.

«Volevi aggiungermi all'elenco di casi umani che ti senti in dovere di salvare?», chiese la Serpeverde, dedicandomi una smorfia di disprezzo, prima di tornare all'indifferenza precedente: «Tornatene nella favola a lieto fine da cui sei venuta e lasciami vivere in pace».

Aprii bocca, poi la richiusi; ero certa che una risposta arguta non sarebbe servita a migliorarle l'umore.

Mi trattenni dal raccogliere da terra la sigaretta, decidendo che l'avrei fatto appena lei se ne fosse andata e sollevai lo sguardo, scrutando a mia volta la pioggia sottile e i nuvoloni scuri che ingrigivano il cielo.

«Non ti arrendi mai, Granger?»

«No».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, lasciandoci cullare dal cadenzato ticchettio della pioggia.

La Parkinson aveva un aspetto orribile. Profonde occhiaie a circondarle gli occhi arrossati per il pianto e il poco sonno, il volto più scarno e affilato a causa del suo digiuno, i capelli sfibrati e poco curati.

«Lo so che...», iniziai, ma venni interrotta dalla sua voce: «No, Granger, non lo sai».

Cadde di nuovo il silenzio, poi la Parkinson prese un profondo respiro e si voltò verso di me: «Non hai idea di come ci si senta», iniziò, i lineamenti distorti da una sofferenza che faticavo a comprendere: «Non ho bisogno della tua compassione».

Prima che me ne potessi rendere conto la Serpeverde si era già voltata e stava percorrendo con passo spedito il corridoio. Feci un passo in avanti, intenzionata a seguirla, poi mi bloccai.

Strinsi forte le mani a pugno e mi costrinsi a non inseguirla.

La Parkinson aveva ragione. Non sapevo come si sentiva. Potevo immaginarlo, provando a mettermi nei suoi panni, ma non avrei mai potuto comprenderla totalmente.

Feci evanescere la sigaretta a terra, poi tornai a scrutare la pioggia alla mia sinistra.

Sospirai, osservando il mio respiro condensarsi in una nuvola, per poi disperdersi nella nebbia.

«Hai fame?», chiese una voce alle mie spalle, facendomi sorridere tristemente.

«Andiamo insieme a pranzo?», ribattei, incontrando gli occhi verdi di Harry.

Mai innamorarsi del nemico #3 (Dramione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora