Scappare

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Ho  fissato la macchia di fango sulle mie scarpe, ho contemplato i lacci sbiaditi dal tempo e dai lavaggi.
Mi sono fermata sulla soglia dell'aula, a guardarmi i piedi, perché avevo paura di incrociare lo sguardo di tutti.
Forse gli altri a me non ci hanno mai pensato, ma quando sei a pezzi credi che tutti i pianeti orbitino attorno alle tue disgrazie, come se fossero il sole che dona vita.
Ho infilato i pollici tra le bretelle dello zaino e le spalle, e per il peso dei libri ho sentito la circolazione fermarsi.
Mi hanno spintonato da dietro per entrare in aula, visto che stavo ostruendo il passaggio.
Poi sei arrivato tu, mi hai spintonato come gli altri, ma non per passare, per buttarmi dentro quello che per me era diventato un inferno.
Ti sei andato a sedere al mio posto, l'unico banco per due dove siede una sola persona. Non ho mai avuto un compagno di banco, eppure in quel momento l'ho desiderato.
Non sono fuggita dall'altra parte dell'aula, a curvarmi su me stessa e con addosso la paura di voltarmi e vedere in faccia chi mi aveva fatto male.
Sono fuggita da quello che per me è sempre stato normalità. Non avere un compagno di banco lo era, normalità.
Ti ho seguito in silenzio. Ti sei seduto. Mi sono seduta accanto a me.

Hai dimenticato i messaggi di ieri? Puoi sederti di là.

Ho dimenticato come si fa a scappare.

Macchie di rameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora