Avevo addosso l'odore delle cose che si perdono. Melenso, con qualche sentore acre. Come alcuni sciroppi che ti allappano la bocca e ti costringono a fare smorfie strane, ma una seconda cucchiata la prenderesti subito.
Io lo sapevo, di aver preso quell'odore, e ti piaceva. Ogni tanto ti voltavi e mi guardavi. Guardavi lui, il compagno di banco che finalmente avevo. E l'odore diventava sempre più penetrante, lo sapevo. Ti conoscevo. Te lo leggevo negli occhi che, in silenzio, giuravano che mi avresti ripreso con te. Per fare cosa, poi? Per tradirmi di nuovo?
Quell'odore piaceva anche a me, mi illudeva che saremmo tornati come prima, che avrei avuto una seconda possibilità di farti innamorare. Non ci ero riuscita la prima volta, ma ero convinta che un altro tentativo sarebbe bastato.
Per un attimo ho pensato di sfruttare lui. Lui che mi aveva accolto assieme al mio bagaglio di dolore, stava per diventare la nuova pedina del nostro gioco malato. Stavo per farlo, ero sul punto di usarlo, come un fazzoletto o un bicchiere di plastica. Ma poi mi ha sollevato piano il gomito... Lo avevo poggiato sulla pagina del quaderno facendoci un orecchio.
Tu non hai mai nemmeno guardato dove poggiassi i piedi, un dirupo o una strada erano la stessa cosa. Lui ha visto dove era poggiato il mio gomito, sapeva che ci tenevo ad avere i quaderni perfetti, senza strappi pieghe o cancellature.
Ho pensato che non ti avrei permesso di prenderti di nuovo la mia felicità, che un dettaglio ha il mondo dentro di sè.
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Macchie di rame
RomanceNon ti volevo, non ti ho mai voluta accanto a me. Foto di Don Mupasi