3. Cornelius Morton.

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Abby

Russell mi trascina con la forza lungo i corridoi stretti e desolati del loro covo. Anche qui sotto non ci sono finestre o fessure, ma solo porte numerate e blindate, simili a quelle di una prigione medievale. I mattoncini che costituiscono le pareti sono impilati uno sopra all'altro, fino a costituire una sorta di tunnel sotterraneo che s'intriga nelle profondità di Henver. Ogni fonte luminosa è un prodotto artificiale, così come anche l'aria deumidificata e alla giusta temperatura. Questo nascondiglio è a metà strada tra la modernità delle attrezzature installate e l'anticaglia delle infrastrutture a disposizione: con la testa è proiettato in un futuro tecnologico, ma con i piedi rimane impantanato in un passato di segrete piene di infiltrazioni e mattoni ammuffiti.

Non ho mai sofferto di claustrofobia, in vita mia, ma dopo due settimane di viaggi infiniti lungo corridoi bui, inizio a non crederla più un'ipotesi tanto improbabile.

L'uomo al mio seguito continua a spintonarmi malamente in avanti, senza preoccuparsi di farmi del male, ogni volta che mi preme le dita contro la schiena. In realtà, credo che il suo obiettivo sia proprio quello di sentirmi gemere dal dolore. Credo che lo faccia andare su di giri. Ma non sarò io a dargli questa soddisfazione. Almeno non finché penserò lucidamente con la testa.

«E muovi quei piedi, ragazzina» mi sgrida, assestandomi una pacca in mezzo alle scapole «Cornelius ha altri impegni, oltre a vedere il tuo faccino spaurito.»

«Io non ho paura» gli ripeto a bassa voce, senza voltarmi. Non aumento nemmeno l'andatura della mia camminata, perché so che questo lo manderà fuori di testa.

Un'altra spinta da dietro. Adesso più forte. Inciampo su una sporgenza della pavimentazione ma ritrovo subito l'equilibrio. Sospiro e rimango in silenzio.

«Ma ne avrai.»

«In tal caso mi assicurerò di non essere l'unica» mormoro tra me e me, lo sguardo puntato per terra.

«Che cos'hai detto?» Russell mi strattona per i capelli e mi avvicina la testa al suo corpo «Ripetilo, se ne hai il coraggio.»

Lo fulmino con la coda dell'occhio e respiro piano tra i denti. Devo mostrarmi calma. Devo mostrarmi calma. «Ho detto che in tal caso mi assicurerò di non essere l'unica, Russell» ripeto con finta cordialità.

L'uomo rimane per un momento spiazzato, poi si riprende con una scrollata di testa e mi allontana di nuovo da sé. «Ci sarà molto da lavorare con te» mi afferra per un braccio e mi blocca di fronte a una porta in legno scuro. Sorride entusiasta e solleva le sopracciglia «Ma sarà divertente, vedrai. Ci divertiremo da morire

La porta si apre di fronte a noi senza che nessuno abbia bussato e subito veniamo immersi dalla luce calda in sottofondo tipica delle candele. La stanza è piccola e angusta: ogni parete è contornata da vecchie librerie e il pavimento è tappezzato da tappeti sudici e stinti. Al centro della stanza c'è un tavolo rotondo con sole due sedie, disposte esattamente l'una di fronte all'altra; in mezzo al ripiano è poggiato un enorme candelabro con tre braccia, su cui la cera calda cola lentamente.

«Finalmente» esordisce una voce accanto a me. È quella di Cornelius, mio padre. È fermo accanto all'uscio, con una mano ancora poggiata sul dorso della porta, come se fosse un comune servitore e non il padrone dell'intero posto «Pensavo non sareste arrivati più.»

«Mi dispiace, signore» si scusa subito Russell, chinando la testa verso terra. All'improvviso si è trasformato in una bestia docile e assoggettata «Abbiamo avuto un... contrattempo» mormora la frase con astio e mi fissa, alludendo al piccolo incidente nella mia camera.

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora