9. Chi Sei.

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Abby

Tutto, intorno a me, è ovattato. I rumori, i suoni – persino i miei stessi respiri – sono assorbiti in una gigantesca bolla di silenzio, al punto da farmi credere che nemmeno io esista per davvero, che sia soltanto frutto di un'immaginazione folle e distorta.

Sei solo il sogno di una te stessa che non esiste, Abby.

Percepisco il petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente e sento la gola secca; tutte sensazioni che mi fanno pensare che forse stia solo viaggiando con la testa, mentre con il corpo sia ancora intrappolata in questo tugurio umido e desolato. Ma quando mi sforzo ad aprire gli occhi, avvolta da una piacevole sensazione di nulla totalitario, devo in parte ricredermi: non sono più nella stessa stanza dove ho trascorso tutti i giorni da quando sono arrivata qui sotto, ma mi trovo di nuovo in un luogo interamente nero... Un nero claustrofobico, che lascia quasi senza respiro e si inghiotte ogni briciolo di speranza. Attorno a me non ci sono stanze, né finestre o oggetti. Solo e soltanto io, in piedi, avvolta nel mio vestito bianco e sgualcito, scalza e scavata in volto. Ci sono io, che osservo i miei piedi, poggiati su un pavimento lucido e buio, dove è impossibile scorgere persino la più piccola delle ombre. Ci sono io, che mi guardo attorno, le braccia calate lungo i fianchi e la stessa sensazione di non sapere dove accidenti mi trovi.

Stavolta, la stanza dei miei incubi è vuota, al punto da farmi iniziare a pensare che sia la manifestazione del mio inconscio: silenzioso e assente.

Faccio un giro su messa, stanca persino di respirare, poi scuoto la testa, e mi lascio scivolare a terra, vinta da uno strano senso di smarrimento e oppressione. D'un tratto, mi sento persa e anonima, proprio come la stanza in cui mi trovo. Non riesco più a capire cosa sia reale da cosa non lo sia e non riesco a ricordare le emozioni: non ricordo il dolore, la tristezza... Non ricordo i sentimenti.

«Perché sono qui? Non ci sta niente da vedere!», sussurro a bassa voce, i pugni schiacciati sul pavimento nero. «È un sogno, non è così? Non ci sta nulla di reale... Forse nemmeno io lo sono.»

Tutto, attorno a me, è silenzioso e si mangia il suono delle mie parole, sbriciolandole in polvere di niente. Rimango in attesa di una risposta, che però non si presta ad arrivare.

«Qual è il senso di tutto ciò?» Mi alzo di nuovo in piedi e chiudo gli occhi sospirando, confusa e stordita dal silenzio. «Perché immagino che ci sia, un senso.»

All'improvviso, come spuntata dal nulla, una mano si poggia sulla mia spalla e la stringe piano, mentre percepisco qualcuno avvicinarsi al mio corpo sempre di più. Sgrano gli occhi e m'irrigidisco al tocco, tanto estraneo quanto inaspettato. La presa sulla mia pelle mi costringe a voltarmi, senza fretta e con il volto puntato a terra, fin quando non mi trovo di fronte a quella che credo essere un'altra delle mie proiezioni mentali.

«Abby.» Jared mi fissa negli occhi, inghiottiti dal nero della stanza. Il suo viso è tirato, i lineamenti inaspriti dalla perdita e le sopracciglia corrugate.

Trattengo il respiro alla sua vista, ma il mio cuore non smette di battere regolarmente. Né un battito in più, né uno in meno. L'immagine di Jared – che fino a qualche tempo fa avrei considerato il mio tutto – adesso non mi scalfisce minimamente.

Non mi fai provare più niente.

Rimango immobile a fissarlo, senza muovermi di un millimetro, né battere ciglio. Lo osservo, gli occhi stretti e la bocca tesa a formare una linea piatta, inespressiva. Lo guardo fino a che non è lui a fare la prima mossa, perché ancora non ho capito se questi sogni così vividi sia io a crearli nella mia testa, oppure lui.

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora