12. La Ronda e l'Indovina.

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Jared 

La città è ancora addormentata, quando ci troviamo ad attraversarne le vie, a piedi, come due persone sconosciute dirette verso il proprio lavoro, costrette a condividere lo stesso marciapiedi. Perché questi siamo io e Madison Kane adesso: degli estranei obbligati a intaccare l'uno la sfera personale dell'altra.

Non condividiamo niente, io e lei; veniamo da città diverse, svolgiamo lavori differenti e frequentiamo ambienti del tutto variegati. Madison è un'investigatrice Celeste, precisa e tutta d'un pezzo. Avrà passato metà della sua vita sui libri e a interrogare persone, con la biro in mano e un taccuino nella borsetta... Lo stesso tempo che io ho trascorso con un pugnale tra le dita, sporco di sangue sulla pelle e sulla coscienza, a porre fine all'ennesima vita considerata pericolosa.

Lei è così pulita, con le unghie ben curate, i capelli neri sempre pettinati con attenzione e non una ciglia fuori posto. E mentre camminiamo su questo marciapiedi, quasi fianco a fianco ma con la testa distante un miglio, riesco a percepire il suo animo innocente.

Madison non ha mai compiuto atti malvagi verso nessuno. Sono gli occhi a parlarle. Magari ha condannato uomini e donne per i crimini più efferati, magari li ha indirizzati verso la strada della morte con le sue piste d'investigazione, ma sono pronto a scommettere che non abbia mai ucciso nessuno. Forse che non lo abbia nemmeno mai ferito. E questo la rende del tutto inadeguata e fuori posto per questa città.

Henver è una metropoli di anime sporche, vittime di violenza e carnefici sotto mentite spoglie.

Henver è la nostra città, immensa, cattiva, sporca, e non è fatta per la gente altolocata di Danville, né lo sarà mai.

È per questo che voglio che l'agente Kane se ne vada al più presto da qui: lei non serve, è di troppo. Nessuno la vuole, tantomeno io, anche se sono costretto a doverla portare a spasso con me, alla stregua di un cagnolino che non è mai uscito dalla propria casa per tutta la sua breve vita.

«Immagino che tu sappia dove stiamo andando», mi domanda dopo un po', interrompendo la camminata silenziosa.

«So sempre dove sto andando.»

«Come fai a essere così tanto sicuro di te?» Mi guarda storto, per poi distogliere subito gli occhi e indirizzarli di nuovo a terra. «La gente potrebbe pensare che tu sia solo un arrogante e pieno di sé.»

Sorrido, mentre superiamo un uomo che sta sollevando la saracinesca del proprio supermarket. «Innanzitutto, questa è la mia città. L'ho girata in ogni angolo, durante le Ronde. Non posso sbagliarmi», replico piano, senza particolare enfasi nella voce. «E, punto secondo, chi lo pensa, ha ragione.»

«Sei sempre stato così, o questo è un altro aspetto del tuo carattere che è cambiato, dopo che ti hanno spezzato il cuore?»

Rallento per un attimo il passo, toccato dalla sua domanda, ma poi scuoto la testa e ficco le mani in tasca, calandomi di nuovo nel mio più totale menefreghismo. «Il mio cuore è perfettamente integro, agente. Ho solo smesso di ascoltare quello che mi dice.»

Madison rimane in silenzio e trova il coraggio di guardarmi per la prima volta per più di qualche secondo, lo sguardo serio e le sopracciglia corrugate. «Quando mi hanno affidato questo caso, i miei superiori mi avevano avvertito della tua complessità psicologica. È uno dei motivi per cui ho accettato senza remore.»

«Animo da crocerossina? Sappi che ci vuole molto più di qualcuno che provi a curarmi le ferite per rimettermi in sesto», replico, spiccio. «O meglio, questo non ti aiuterà a ottenere le risposte che cerchi dal caso.»

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