21. Kathleen Lorelaine

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Jared.

Proseguo verso la palazzina sul fondo della strada, decelerando di fronte a una famiglia umana che sta attraversando la carreggiata, e parcheggio la macchina al lato di un marciapiedi, a pochi metri dal portone d'ingresso del palazzo grigio.

Madison si sgancia la cintura e afferra la borsetta dal sedile, da cui tira fuori tre distintivi della polizia di Henver. Ce ne passa due a noi, poi si appunta il terzo sulla maglietta. «Metteteli.»

Mi giro tra le mani la targhetta dorata e assolutamente realistica e fisso Madison con le sopracciglia sollevate. «E queste?»

«Sarebbe sospetto che degli sconosciuti entrino in casa di una donna per interrogarla. A Danville abbiamo i nostri mezzi.»

«Sono sempre più stupito dalle armi che sfoderi, agente», mi congratulo, uscendo dalla macchina con un sorriso appena accennato.

Poco dopo siamo tutti e tre di fronte all'ingresso della palazzina, vestiti in abiti informali e con delle riproduzioni fedelissime dei distintivi della polizia locale appuntati sul petto. Madison cerca il cognome lungo la sfilza infinita di pulsantini grigi del citofono e non appena trova quello giusto, suona.

«Chi è?» Domanda la voce metallica e un po' frastornata di Kathleen dopo qualche secondo. «Se siete giornalisti, andatevene. Ho già detto tutto quello che dovevo dire.»

«Signora Lorelaine, è la polizia. Dovremmo farle qualche domanda per la sua sicurezza.»

«La polizia? Oh, d'accordo, salite pure. Ma voglio vedere i distintivi dallo spioncino della porta, prima di aprire. Non mi fido più di nessuno. No, proprio di nessuno.» Il portone si apre di scatto e la voce della donna smette di parlare.

Ci guardiamo per un breve attimo di assenso, prima di aprirla e prendere l'ascensore, diretti al piano dell'appartamento della signora Lorelaine. Rimaniamo in silenzio durante tutto il tempo della salita, ognuno perso nelle proprie congetture: Nolan si fissa i piedi in silenzio, lo sguardo stranamente cupo e le ciocche di capelli che gli coprono un'espressione a dir poco funerea; Madison, con le braccia strette a morire sul petto e il piede che non smette di picchiettare il pavimento dell'ascensore... E poi io, con le mani ficcate in tasca di peso, le spalle poggiate alla parete posteriore fatta di specchi e la testa piena zeppa di preoccupazioni.

Quando finalmente usciamo da quel piccolo metro quadro di oppressione, Madison si appresta a suonare il citofono dell'appartamento, portandosi in prima linea. Dopo nemmeno due secondi, proprio come se fosse appostata lì dietro, la signora Lorelaine si fa sentire, con la bocca schiacciata sulla porta e gli occhi piantati nello spioncino. «I distintivi. Non vi faccio entrare se non me li fate vedere.»

L'agente mostra la spilla appuntata sul petto e poi si scosta dallo spioncino, permettendo a Kathleen di vedere anche i nostri contorni sfocati. «Sono con altri due colleghi, signora. Se vuole le mostro anche i loro, di distintivi.»

Kathleen pare rifletterci per qualche secondo, ma poi fa scattare diverse serrature sulla porta e apre uno spiraglio così piccolo da farci passare quasi solo di profilo. «No. No, va bene. Entrare, forza... Fate veloci. Qualcuno potrebbe sentirci o vederci. Ci sono occhi ovunque

Madison entra per prima, chiedendo educatamente permesso. S'infila in silenzio nel salotto buio e aspetta con impazienza che entriamo anche noi.

Io fisso Nolan con eloquenza e lo spingo oltre lo zerbino, spronandolo a raggiungere le due donne all'ingresso della casa. Non appena entro, mi richiudo la porta dietro alle spalle, facendo piombare la stanza in una strana e inquietante penombra. Sì, perché la prima cosa che non posso fare a meno di notare rispetto all'ultima volta in cui sono stato dentro questa casa con Abby è che adesso è totalmente cupa e priva di spiragli di luce: le persiane di ogni stanza sono serrate, così come tutte le finestre. Anche le luci appese al soffitto sono spente, lasciando spazio solo a una piccola lampada da tavolino accesa accanto al divano. La televisione è staccata e i fili dell'antenna penzolano a terra, in disuso da chissà quanto tempo. In compenso, il pavimento è pieno di cartacce di cibi in scatola, involucri di biscotti preconfezionati, pezzi di carta straccia appallottolati e libri aperti buttati qua e là in ogni dove. La stessa casa di qualche tempo fa adesso sembra essersi trasformata in un tumulto di confusione e perdita.

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