18. La Stanza del Bisogno.

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Abby 

Sono piuttosto sicura che sia notte e che stia dormendo, quando mi rigiro di fianco nel letto, per quella che sembra essere la millesima volta. Mantengo gli occhi chiusi, un po' perché mi sento veramente stanca, un po' perché non ho le forze per tirare su le palpebre. Respiro piano, con il petto che si muove pigramente sotto la stoffa consunta della vestaglia da notte, e provo dolore a ogni respiro che prendo. Non riesco a discriminare se è un dolore fisico o mentale, ma nonostante sia certa di stare dormendo, mi sento cadere a pezzi in tutti i sensi.

Sospiro a lungo, la fronte si aggrotta in un'espressione veloce e infastidita, e la pelle tira, proprio dove sono comparse le prime scottature sulle tempie dovute alle terapie di elettroshock. Resisto all'impulso di aprire gli occhi e alzarmi per bere qualcosa di fresco, accompagnandolo magari da una dose extra di antidolorifico, e torno a concentrarmi sul mio riposo. Sposto lentamente il braccio da sopra al petto a vicino al viso ed è qui che mi accorgo che c'è qualcosa di diverso dal solito: la superficie sotto di me è dura, come se mi trovassi su un pavimento, piuttosto del solito materasso sgangherato della mia cella personale.

Avvolta da un sottile esordio di dubbio inizio a tastare l'area intorno a me, mentre mi sgranchisco dalla posizione fetale che ho assunto durante il sonno, ma dopo qualche tentativo fatto alla cieca con il braccio devo realizzare con stupore che questo non è il mio letto.

Deglutisco, timorosa di svegliarmi e scoprire dove diavolo sia finita adesso e quali altre angherie debba subire. Alla fine mi costringo ad aprire lentamente gli occhi, prima che sia qualcun altro a farlo al posto mio, magari tirandomi un calcio o schiaffeggiandomi il viso.

Ma con mia grande sorpresa mi accorgo di essere sola, ovunque mi trovi: per un primo momento rimango sdraiata, ancora accovacciata su me stessa, e realizzo con chiarezza che sono in un ambiente vuoto e oscuro... Forse una camera in disuso. La seconda cosa che noto è la totale assenza di rumori o movimenti: persino l'aria, qui dentro, sembra essere del tutto statica.

Con le braccia ancora tremanti per la debolezza mi tiro su, rizzandomi sulla schiena, poi mi spingo quasi ansimando in piedi e muovo dei passi incerti, senza una destinazione precisa.

Sono già stata in questo posto. Di questo ne sono assolutamente certa.

Mi guardo intorno in cerca di qualsiasi dettaglio che mi aiuti a ricondurre alla memoria la natura della camera, ma attorno a me vedo solo vuoto totale e buio.

Avanzo scalza sul pavimento lucido e gelido e a ogni passo che faccio sembra che infili i piedi dentro a delle pozzanghere marmorizzate. Spalanco gli occhi quando vedo le striature trasparenti formarsi attorno alla sagoma dei talloni e delle dita e mi chino a terra per sfiorare la superficie... che incredibilmente è dura e asciutta.

«Non è possibile...» sussurro, mentre le parole vengono inghiottite nel nulla poco dopo averle pronunciate.

Sbatto le palpebre, sconvolta da quello a cui sto assistendo, e mi convinco che sia di nuovo tutto un sogno, perché nella realtà quello che sto vivendo non potrebbe mai accadere davvero. Così continuo ad avanzare, diretta verso una zona della stanza che sembra schiarirsi sempre di più, virando da un nero totale e un grigio evanescente.

Forse laggiù c'è una porta. O un'uscita, magari.

Aumento il passo, con i piedi che continuano ad affondare dentro pozzanghere immaginarie di acqua, adesso sempre più chiara e trasparente. Abbasso lo sguardo di nuovo, ma non vedo nulla di tangibile sotto la superficie... Solo figure velate a cui non sarei in grado di conferire una forma o un colore realmente esistenti.

«È un sogno, Abby. Solo un altro sogno», mormoro tra me, autoconvincendomi delle mie stesse traballanti parole.

A mano a mano che mi avvicino verso la sorgente della luce sento una strana sensazione di calore sprigionarsi dal petto ed espandersi lungo le braccia, fino alle dita. Anche gli occhi mi bruciano, accecati dalla luce bianca che si irradia da ancora più lontano rispetto a dove mi trovo. Mi volto di spalle, puntando gli occhi verso la direzione da cui sono venuta proprio adesso, e realizzo che il buio in cui brancolavo poco fa è scomparso, trasformandosi in una zona completamente avvolta da un chiarore trasparente.

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