3.capitolo

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Camminavo da ore. Non sapevo quanto fossi lontana da Lui, ma sentivo che avevo fatto abbastanza strada. Crollai su una panchina vicina, esausta. Le mie gambe erano un ringraziamento silenzioso per quel momento di riposo.

Non avevo idea di quanto tempo avessi trascorso a camminare. Volevo solo allontanarmi il più possibile da quella casa infernale.

Il parco dove mi ero fermata era molto vicino all'ospedale, il luogo in cui mi avevano messo i punti. Sentivo le palpebre pesanti e il bisogno di trovare un posto tranquillo dove riposare senza paura.

Mi guardai intorno. Poco distante, vicino alla panchina dove mi ero seduta, c'era un albero ben coperto. Era un buon nascondiglio. Mi avvicinai con fatica, mi sistemai comoda e chiusi gli occhi.

In poco tempo, il sonno mi avvolse.

Mi svegliai di soprassalto, accecata dalla luce mattutina. Sbattei un paio di volte le palpebre, cercando di riprendermi. I muscoli mi facevano male: evidentemente la posizione scomoda con cui avevo dormito mi aveva lasciata indolenzita.

Scesi dall'albero con agilità, saltando e piegando le ginocchia all'impatto prima di fare una capriola che mi rimise in piedi senza troppi problemi.

Mi sistemai lo zaino sulle spalle e mi riordinai i capelli. Sentivo di dover trovare un modo per contattare Aaron. Forse lui avrebbe potuto aiutarmi a scappare.

Misi gli auricolari e avviai una playlist a caso. Camminando a ritmo, persi la percezione del tempo fino a quando, circa venti minuti dopo, mi ritrovai davanti alla scuola.

Mi nascosi dietro un albero, cercando di rimanere invisibile. Aspettai. Lo vidi arrivare con la sua moto, con un'eleganza che lo contraddistingueva. Scese, tolse il casco e legò la sua moto a un'inferriata. Si guardò intorno con attenzione, probabilmente cercandomi.

Con la coda dell'occhio lo osservai mentre si avvicinava.

"Non ti trovavo," disse, con un tono tranquillo.

"Ciao," risposi con un sorriso teso.

"Stai bene?" chiese, preoccupato.

"Sì, certo che sto bene," dissi, cercando di mantenere il controllo.

"Perché non mi guardi?" chiese, con un tono indagatore.

Non so cosa stavo guardando con tanta attenzione, ma in quel momento trovavo molto interessanti le mie scarpe.

Con un gesto deciso, lui mise due dita sotto il mio mento e mi costrinse ad alzare lo sguardo. Tentò di scostarmi la ciocca di capelli che nascondeva la ferita.

"Ahi..." mi lamentai, spostandomi all'indietro e sbattendo la schiena contro il tronco dell'albero.

Riuscì a spostarmi i capelli, rivelando la ferita. Vidi come il suo viso passava da un'espressione normale, a quella di confusione, fino ad assumere un'espressione arrabbiata.

Abbassai lo sguardo a terra, sentendo un nodo in gola. Avevo paura.

Nonostante la sua rabbia, però, non mi urlò contro. Al contrario, mi mise una mano delicata sulla guancia, costringendomi ad alzare di nuovo lo sguardo verso di lui.

"È stato lui?" chiese, con voce sorprendentemente calma.

Annuii senza parole. Non potevo negare la realtà.

"Vieni," disse, prendendomi la mano e guidandomi verso una stradina secondaria poco conosciuta.

"Dovevo rimanere con te," disse fermandosi.

"Non è colpa tua," dissi cercando di calmarlo.

"Da quanto va avanti questa storia?" chiese con voce più ferma.

Non sapevo come rispondere. Una parte di me voleva mentire, ma non riuscivo a farlo.

"Otto anni," sussurrai, abbassando nuovamente la testa.

Mi abbracciò. Quell'abbraccio mi fece sentire al sicuro, protetta. Le lacrime scesero di nuovo, bagnando le guance. Stringendomi al suo collo, sentivo tutto il peso di ciò che avevo vissuto svanire, almeno per un momento.

Le gambe mi cedettero e crollai in ginocchio, incapace di stare in piedi. Lui mi sostenne, prendendomi in braccio.

Le ferite sull'addome mi provocarono un dolore lancinante, e sentii la mia vista oscurarsi, diventando lentamente nera.

Non avevo più forza.

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Scusate per il capitolo così corto...il prossimo sarà più lungo promesso💟💟💟💟spero di non aver fatto errori grammaticali,e al prossimo capitolo😘😘😘

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