Capitolo 3 - Una giornata grigia

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Che triste giornata di pioggia.
Cupa, proprio come lo sono i miei pensieri questa mattina.
Non che negli altri giorni siano tanto più positivi, però guardare scendere le gocce di pioggia sul vetro della mia finestra rende la giornata ancora più grigia.
Da piccola mi ritrovavo spesso ad osservare quelle goccioline che correvano sul vetro, mia sorella ne sceglieva una, io un'altra e partivano le gare clandestine delle gocce d'acqua.
Era tutto ancora così divertente in quel periodo.
Ora in quella goccia vedo solo un lento scorrere straziante, tra dubbi ed incertezze nel muoversi su quel vetro liscio contaminato da infinite altre gocce.
Mentre scende si appoggia ad una di quelle sulla sinistra e, dopo averla inglobata e distrutta, si scaglia contro un'altra sulla destra, rimbalzando incontrollatamente lungo la caduta verso il fondo, per poi schiantarvisi senza fare rumore.
Così sono io, una goccia che cade verso il baratro, che entra in collisione con altre gocce ed ognuna si porta via parte della mia linfa vitale, fino a diventare sempre più piccola, quasi insignificante ed invisibile.
Che bella visione eh?
Ed è in questi momenti, con quest'atmosfera di malinconia, che la mia mente viaggia alla ricerca di ricordi dopo essersi soffermata su un'immagine attaccata su una parete della mia stanza.


"Uno sguardo al tempo che scorre,
un ricordo che la mente rincorre.
La musica rimbomba nella testa,
ma non basta a fermare la tempesta."


Mi ricordo quando ero piccola che correvo spensierata sulla spiaggia, con i capelli al vento e un sorriso sul viso.
Mio padre che mi rincorreva e mi raggiungeva, prendendomi in braccio e portandomi in acqua con lui.
Mi schizzava, io lo lasciavo fare mentre ridevo.
Poi arrivava anche mamma e mia sorella e tutte e tre insieme saltavamo verso papà per cercare di spingerlo in acqua, ma lui era forte, niente lo piegava, fino a quando non cedeva e ci faceva vincere, ma solo per farci contente.

Lo sguardo va diritto su un'altra di quelle immagini che ho attaccate alla parete:


"Ora io sono qui, con una lacrima che scende,
per ogni ricordo che in mente si accende."


Così i pensieri vanno ancora più a fondo, nel vortice dei ricordi.
Era un pomeriggio simile a questo.
Avrò avuto 4 anni.
Fuori pioveva molto forte, con lampi e tuoni.
Ad un certo punto sento un rumore fortissimo, mi spavento e corro in camera di papà che stava riposando perché doveva fare il turno di notte quella sera.
«Papà, papà, ho paura!» singhiozzavo mentre mi raggomitolavo sotto le coperte accanto a lui.
«Ehi Ciccina di cosa hai paura? È solo un temporale»
«C'è stato un tuono fortissimo!»
«Quando senti il tuono forte forte vuol dire che il peggio è passato»
«Perché?»
«Il tuono lo fanno le nuvole quelle grandi e nere, che sono arrabbiate con la nuvola che ha lanciato il fulmine. Così iniziano a soffiare, il vento si alza e allontanano la nuvola che lanci i fulmini»
«Quindi è il segnale che sta per finire il temporale?»
«Si, non manca molto»
«Posso rimanere un altro po' qui abbracciata a te?»
«Tutto il tempo che vuoi principessa!»
«Con te mi sento al sicuro ovunque»
«Dalle mie braccia può capitare che tu sia lontana, ma dal mio cuore non lo sarai mai. Il cuore è il posto più sicuro. Dal mio cuore nessuno potrà mai toglierti»


Inizio ad assaporare quel gusto un po' salato delle lacrime.
Sto piangendo, come ormai faccio da molto tempo, anche se nessuno mi vede farlo.
Non so se riuscite ad immaginare cosa significa sentirsi soli.
Quando ti è pesante svegliarti la mattina, perché sai che sarà un'altra giornata di sopravvivenza.
Sopravvivenza in un mare di gente che ti passa accanto, ma nemmeno ti vede.
Sentirsi soli anche se circondati da persone.
Sentirsi soli nel bel mezzo di una festa perché guardandoti intorno ti senti ad un tratto fuori luogo e non c'è nessuno che in quel momento stia pensando la tua stessa cosa.
Sentirsi soli nella tua famiglia, perché non riescono a capirti, a capire il tuo stato d'animo, i tuoi problemi e il vuoto incolmabile che ha lasciato papà.
Era il mio supereroe.
Sentirsi soli all'università, circondati da ragazzi che ti guardano solo perché hai delle belle gambe, un seno prominente ed un culo sodo.
Sentirsi inutili, insignificanti.
Se ci sono o non ci sono cosa cambia?


«Sofia vieni a cena che è pronto!» urla mamma dalla cucina.
Corro in bagno ad asciugarmi le lacrime, sistemare un po' il trucco che si è sciolto, indosso un felpone e scendo in cucina.
«Mamma io esco, ceno fuori stasera con Michelle»
«Sofia non è possibile! Non puoi uscire tutte le sere e dirmelo all'ultimo secondo prima di uscire. No, stasera non esci, qui è tutto pronto»
«Mi spiace, ma non posso annullare l'uscita. Non faccio tardi»
Non ascolto gli urli che provengono dalla cucina, chiudo dietro di me la porta di casa sbattendola.
Sono fuori.
Piove.
Prendo l'ombrello dal portaombrelli lì vicino allo zerbino e mi incammino sotto la pioggia.
Come qualcuno avrà immaginato non ho nessuna cena con Michelle.
Mi dirigo verso il parco giochi qui vicino, dove andavo spesso da bambina.
C'è una piccola casetta a due piani fatta in legno.
Quando ci venivo con papà era il castello ed io la principessa.
Entro dentro, anche se mi sento un po' come "Alice nel paese delle meraviglie", ormai troppo grande per quelle porticine.
Mi siedo su quello che in realtà è un tavolino, ma le dimensioni ormai si addicono ad una sedia.
Tiro fuori dalla tasca della felpa il pacchetto di sigarette e ne accendo una.
Il fumo esce denso dalle mie labbra e forma una piccola nuvoletta sopra di me prima di uscire dalla finestrella.
Fumo sperando di bruciare i miei pensieri, di bruciare quelle lacrime.
Liberarmi dal dolore, dal fuoco della rabbia che mi brucia dall'interno, sperando di spararlo fuori come fumo e cenere.
Intanto il fumo va giù, una lieve folata calda che scende lungo il collo fino ad invadere i polmoni.

"Il fumo uccide"
Uccide, ma non basta ad uccidere i pensieri.
Uccide, ma non basta ad uccidere i ricordi.
Uccide, ma non basta ad uccidere il tempo che mi tiene ancora qui.
La voglia di urlare al mondo, strapparsi le vesti, tirarsi i capelli.
L'urlo della disperazione che si impossessa di me.
Intanto il fumo sale, ma la pioggia riesce ad abbattere anche questo. La nuvoletta densa si disperde subito e tutto svanisce.
Mi esce un grido dal profondo che squarcia per un attimo il rumore della pioggia.
Silenzio.
Nemmeno l'abbaiare di un cane mi risponde.
Sono completamente sola.
Solo il ticchettio della pioggia incessante che batte sul legno della casetta si sente.

Do uno sguardo al cellulare per vedere l'ora.
Le 23:00, è tardi, devo rientrare.
Rientrata a casa è tutto spento, mamma deve essere già a dormire.
Salgo al piano di sopra e mi chiudo in bagno.
Questo è il momento più delicato, come del resto lo è ogni mattina.
Riuscire a guardarsi allo specchio.
Non sono più io ormai.
Non ho nemmeno cenato stasera, ormai mangio abbastanza poco.
Un riflesso spento.
Due occhi gonfi.
Le guance scavate.
Mi lavo il più velocemente possibile e vado in camera.
Mi infilo sotto le coperte, mi giro per spegnere la luce del comodino e vedo un foglietto scritto con la scrittura di mamma.
"Non va bene questa situazione. Dobbiamo parlarne. Buonanotte"


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Immagini di riferimento

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