Capitolo 7 - Incomprensioni

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<<Che tipo di problema?>> gli chiesi. <<Non ti sembra che io ne abbia già fin troppi?>>. Incominciai ad impazzire e ad avere il nodo in gola. <<Cominciamo dal fatto del soffrire di attacchi d'asma, poi venir a sapere che mi trovo in Finlandia, che invece di andare beatamente a scuola sto persino lavorando. Ora di che problema si tratta?>>. Mi misi una mano in fronte e mi ci poggiai. <<Non dirmi che non riuscirò più a vivere la mia VERA vita e che devo rimanere qui per sempre. Voglio tornare a casa>>. Lo guardai e scoppiai a piangere.
<<No Felicia. In un modo o nell'altro a casa ci ritornerai, ed io farò di tutto per far si che ciò accada. Te lo prometto>>. I suoi occhi brillarono. <<Il fatto è che non essendo più nel tuo corpo si è venuta a creare una strana situazione.>>
<<Cioè?>>
<<Per Marika e i tuoi genitori ora sei sparita. Le notizie girano in fretta. Secondo loro...>>.
Abbassai lo sguardo e mi misi a pensare. Cercai di ricordare una delle ultime cose che avevo pensato prima di finire in questa nuova vita. Marika mi aveva invitata ad andare a casa sua per qualche tempo nel frattempo che le acque si fossero calmate. Perché mio padre ce l'aveva sempre con me; aveva sempre un motivo per darmi contro. E voleva sempre avere ragione, voleva la vittoria, non c'era verso di fargli cambiare idea. La risposta era ovvia.
<<Sono fuggita. I miei pensano che sia fuggita>> dissi tra me e me.
<<Purtroppo. Poteva andar peggio, poteva darsi che tu non esistessi proprio, ed aver vissuto una vita inesistente>> disse Dusk.
<<Addirittura? Poteva capitare una cosa del genere?>>
<<Non è ancora successo ad alcun individuo, fortunatamente. Si trattava di un'ipotesi. I miei calcoli mi hanno fatto arrivare a questa idea. Scusami se ti ho fatta spaventare.>>
Mi alzai dal letto prendendo la flebo che avevo accanto ed incominciai ad andare avanti e indietro per la stanza per alleviare lo stress.
<<Dusk>> dissi <<sai per caso se ho un cellulare e se si dove ce l'abbia?>>
<<A cosa ti serve?>>
<<Lascia perdere, chiedo agli infermieri, così non spendo soldi.>>
<<Chi devi chiamare, i tuoi genitori? Loro sanno già...>>
<<Voglio chiamare quelli veri invece.>>
<<Ma Felicia, tu non...>>.
Dusk non riuscì a finire la frase che io stavo già andando in corridoio per cercare un telefono. Devono sapere che sto bene, almeno quello. Con calma spiegherò ogni cosa, che non sono scappata, che non lo farei mai senza il loro consenso, se effettivamente un giorno volessi restare per un po' da Marika.
Il corridoio era lungo, pareva infinito. C'erano molte stanze e molti pazienti che erano ricoverati come me. Sperai per loro che da un giorno all'altro potessero rimettersi ed avere la possibilità di esser dimessi, come me. Era strano da pensare in quanto erano tutte persone che non conoscevo, potevano persino esser state persone che magari hanno avuto una brutta vita, che hanno fatto del male a qualcuno ad esempio. Pensare però che avrei voluto che tutti stessero bene voleva dire che Kaija era più altruista di me. Non che io non lo fossi ovviamente, ma sapevo essere egoista talvolta.
Arrivai al bancone dove c'era una donna indaffarata col computer. Mi avvicinai e le chiesi gentilmente di prestarmi il telefono, che la mia chiamata era urgente, e che sarei voluta restare da sola per un po': se mi avesse ascoltata, probabilmente avrebbe pensato che fossi una pazza. O forse già lo pensava per il mio comportamento? Composi il numero compreso di prefisso del mio Stato ed aspettai che o mia mamma o mio papà risposero, anche se avrei preferito parlare con mia mamma. Stava squillando.
<<Famiglia McGibbs, sono Ernest.>>
<<Pronto papà sono Felicia, senti so di aver sbagliato molte cose, ma non pensare che io sia fuggita perché non lo farei mai>>. Sentii che non lo dissi troppo convinta. Presi giusto qualche secondo di pausa e ripetei. <<Non lo farei mai. Sto bene. Quando tornerò...>>. Mi fermai perché cercai di capire le voci di sottofondo che capii a scatti.
<<Che dice?... Polizia... Ma... Rapita?>>
<<No papà nessuno mi ha rapita! So che sembrerò una pazza, ma...>>
<<Non capisco. Chiamo la polizia>>. Non feci in tempo a cercare di spiegargli che ero diventata un'altra persona, che stavo bene. Ovviamente non mi avrebbe creduta, avrebbe continuato a dire che stavo trovando ogni tipo di scusa possibile, ed avrebbe continuato ad urlarmi merda, che non ero più la ragazzina di una volta. Ma da una parte l'avrei anche capito: chi mai mi avrebbe creduta? Chi mai potrebbe dirmi che la mia storia è vera, che quello che mi sta succedendo è reale anziché essere un sogno? Molto probabilmente appena fosse finita la faccenda mi avrebbe sicuramente mandata dallo psichiatra. Non esistono più i manicomi ormai, ma avrebbe comunque trovato un modo per aiutarmi, per far in modo che nessuno avrebbe potuto dire "la figlia di McGibbs è una pazza". Non l'avrebbe mai permesso. Non perché mi volesse bene, ma più per il fatto che non avrebbe mai voluto che si potesse spezzare l'onore della nostra famiglia.
<<Kaija, che ci fai fuori dal letto?>> sogghignò una voce dietro di me. Di tutta fretta mi misi a chiudere la chiamata come nulla fosse e mi girai verso l'interlocutrice. Era snella, con i capelli lunghi rossi e ricci, gli occhi verde chiaro. Aveva degli orecchini molto particolari che mi attiravano: erano piuttosto lunghi, pendenti, che luccicavano. Sembrava che fossero una specie di bacchetta, ma avevano una forma un po' strana, come fossero un ramo preso da qualche albero in una foresta. La foresta del mio sogno.
<<Lea>> dissi senza pensarci due volte.

<<Sei sicuro caro?>> disse Rosa al marito.
<<Assolutamente. Felicia è stata rapita da qualche straniero>>. Rosa si mise una mano davanti alla bocca, sconvolta. Non sopportava quella situazione. Non voleva pensare al peggio.
<<Può riconoscere il tipo di lingua con cui la persona ha parlato?>> chiese l'ispettore Carter.
<<Non ne ho idea. Era la voce di una ragazza presumo. Anche se non me ne intendo molto l'accento sembrava avere qualcosa di asiatico, ma non ne sono affatto sicuro.>>
<<Crede che sia cinese, thailandese? Oppure giapponese, coreano?>> continuò Carter.
<<Bah, per me sono tutti uguali!>> rise Ernest.
L'ispettore tirò fuori il suo smartphone, e si mise a fare delle ricerche sulle varie lingue per avere la certezza di ciò che diceva Ernest. Attivò un video su Youtube e gli fece ascoltare le lingue che lui aveva citato precedentemente. Ernest sembrò sempre più meno convinto di ciò che disse all'ispettore, il suo sguardo si accigliava sentendo le varie persone che parlavano nel video.
<<Allora, che ne pensa signor McGibbs? È riuscito a riconoscere l'accento?>>
<<Per niente>> rispose con voce arresa. <<Non so più cosa pensare. Giuro che quando riusciremo a trovarla...>>
<<Ernest>> lo ammonì Rosa.
<<Va bene allora>> disse l'ispettore Carter. <<Continueremo a fare delle ricerche sull'idioma di questo individuo, nel frattempo che il rapitore potrebbe richiamare.>>

Vorrei una sola vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora