1. Io ti credo

571 40 19
                                    

Una nuova stagione era alle porte.
Aveva smesso di nevicare e piovere a dirotto.
Il sole splendeva di una luce nuova, sebbene ancora un po' fioca.
Annette aveva ripreso le sue visite a casa Trembley.
Edmund ormai se n'era andato da due mesi.
La contea era in fermento, causa la festa di primavera.
Le donne potevano finalmente indossare abiti di tessuto più leggero e gli uomini le loro larghe camice.
A Gabriël erano ricominciate a spuntare piccole lentiggini sul naso e sugli zigomi.
Arthur diventava sempre più bello.
Il mare incombeva ancora sulla piccola contea.
E Katarina aveva voglia di fuggire.
Non era da lei abbandonare, ma tutto ciò che voleva fare in quel momento era scappare via.
Sentiva il mare chiamarla e l'adrenalina dell'avventura scorrerle nelle vene facendole fremere la pelle. Sentiva di non aver ancora trovato il suo posto, come se tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento fosse stata una sorta di preparazione a qualcosa di più importante, come se fosse troppo triste credere che veramente quella fosse la sua vita, l'unica che avrebbe potuto mai vivere.
-Kat, cosa stai facendo?- le domandò sua sorella Annette dandole un colpetto sulla spalla.
Katarina si voltò e scese dal davanzale della grande finestra su cui si era appollaiata.
-Niente...stavo pensando- borbottò lei cercando di lisciarsi le pieghe del vestito in un movimento involontario delle sue mani che agivano sempre così in presenza della sorella. Come se rendere più presentabile il suo abito avesse potuto anche solo avvicinarla alla perfezione che caratterizzava Annette...
-Beh, quando hai finito di pensare scendi giù, mamma ci sta aspettando per la colazione- continuò Annette con la sua solita smorfia disgustata -appena sei pronta scendi-.
E con questo uscì dalla stanza volteggiando come una splendida ballerina.
Appena fu certa che non fosse più a portata d'orecchi Katarina si lasciò scappare un sospiro.
Si era svegliata da poco e già avrebbe voluto tornarsene sotto le coperte.
Si rassettò quindi il lungo vestito azzurro un'ultima volta scoraggiata e si voltò verso lo specchio appeso alla parete spoglia di fianco all'armadio.
Non era come Annette, quello era certo, nonostante continuasse imperterrita a passare le mani sul tessuto dell'abito.
I lunghi capelli castani erano l'unica cosa che le accomunava, ma per il resto la sorella maggiore la superava, e di gran lunga.
Con i suoi lineamenti più delicati, le labbra carnose e rosee, le ciglia lunghe e scure, le guance sempre arrossate e la pelle candida Annette si era guadagnata l'appellativo di "più bella ragazza della contea", senza dimenticare tutti i complimenti che ogni giorno riceveva da chiunque.
Katarina non aveva niente a che fare con lei, non sembravano nemmeno sorelle, eppure purtroppo era costretta a condividere la sua esistenza e il suo sangue con quella creatura che con tanto divertimento usava farla sentire a di meno, come se Katarina non lo pensasse già.
Si sistemò quindi la lunga treccia castana dietro le spalle e, tirato un altro grande sospiro, uscì dalla stanza diretta al piano di sotto. Scendendo le scale nella semioscurità, dovuta all'assenza di finestre, udì le voci di Noora e Mathilda che bisticciavano animatamente e quella di Klara che le pregava di farla finita. Sorrise ricordandosi i tempi in cui anche lei, prima che nascesse Klara, aveva condiviso la stanza con le gemelle, e alle liti che, anche in sua presenza, si erano accese.
Terminata la discesa si affrettò lungo il breve corridoio dove incontrò suo padre che stava rientrando dopo essere stato all'orto come ogni mattina.
-Mia cara- la salutò, stampandole un bacio sulla fronte.
-Buongiorno- rispose lei, svoltando a sinistra e scontrandosi con la luce che filtrava dalla finestra della stanza.
La stanza che avevano malamente adibito a cucina e a sala da pranzo odorava di farina e miele.
Era un po' disordinata e le pentole non erano mai al loro posto, ma era una delle stanze che Katarina preferiva. In inverno era calda per via del camino perennemente acceso per cucinare e per riscaldarsi almeno un po' prima di combattere contro il gelo delle camere da letto e in estate era piacevole sedere al tavolo a chiacchierare, illuminati dalla grande finestra che offriva anche una splendida vista.
-Hai fatto tardi stamattina- disse sua madre rivolta al marito.
I lunghi capelli scuri erano appuntati disordinatamente in una crocchia e il grembiule era macchiato di marmellata.
-Mi farò perdonare con questo- sorrise lui porgendole uno splendido tulipano rosso.
La moglie sorrise arrossendo e prese delicatamente il fiore con le dita infarinate mentre Katarina osservava incuriosita quanto rattristata quella bolla d'amore nella quale erano chiusi i suoi genitori. Si chiese se quello strano mondo fatto di baci e carezze e di piccole attenzioni non fosse una finzione o un sogno irraggiungibile che lei poteva solo osservare da lontano. Si chiese se lei avrebbe mai potuto provarlo e si chiese anche se fosse stata adatta ad una cosa del genere o se semplicemente l'amore fosse, come l'aveva sempre definito lei, una trappola: bellissimo quanto pericoloso.
In quel momento fecero irruzione nella stanza le gemelle che si guardarono tra sé cacciando fuori la lingua disgustate, alludendo ai genitori che si erano concessi un fugace bacio.
-Oh, andiamo non ditemi che due bimbe coraggiose come voi hanno paura di un semplice bacio!- le ammonì il padre con gentilezza scompigliando loro i capelli castani.
-Infatti non abbiamo paura- ribatté Noora.
-Siamo solo estremamente disgustate- concluse Mathilda.
La madre sorrise versando in alcune ciotole sbeccate del latte fresco.
-A dodici anni anche io ero estremamente disgustata dall'amore, ma ne riparleremo quando sarete più grandi e adesso sedetevi-.
Noora e Mathilda presero posto a quel tavolo troppo piccolo per poter ospitare una famiglia numerosa come la loro e non appena anche Katarina si fu seduta fece il suo ingresso Annette.
Indossava un vestito rattoppato, come tutti gli indumenti delle altre sorelle, ma anche con indosso quell'abito scolorito era bellissima. Alcune ciocche castane erano appuntate dietro la testa con un fermaglio che aveva costruito lei stessa e gli occhi azzurri osservavano felici i famigliari.
-Sono stata da Arthur ieri sera- disse sedendosi nel suo solito posto: alla destra di Katarina e alla sinistra di suo padre -i Trembley ci hanno invitati a cena stasera-.
-Ah, che splendida notizia!- esclamò sua madre sedendosi finalmente anche lei al capo opposto della tavola -dovremmo portare qualcosa, sono sempre così gentili con noi- aggiunse poi rivolta al marito.
-Mi chiedo perché i Trembley siano sempre così gentili con noi- sogghignò Noora addentando una fetta di pane imburrata.
La gemella le lanciò un'occhiata complice e aggiunse -Forse Anne può illuminarci-.
-Suvvia, non fate le sciocche- tentò di liquidarle la sorella con quel suo solito fare ingenuo e pudico quando si parlava di Arthur.
-Ma è la verità!- insistette Noora -tu e Arthur siete promessi sposi da anni ormai!-.
La madre sgranò gli occhi a metà tra lo sconcertata e il divertita.
-E a voi chi le ha dette queste cose, signorine?- le apostrofò spalmando su una fetta di pane un po' di gelatinosa marmellata.
-Nessuno- rispose al suo posto Mathilda -anche un cieco si accorgerebbe delle occhiate che si mandano Anne e Arthur-.
La maggiore a quelle parole arrossì e Katarina rischiò quasi di scoppiare a ridere davanti a tutti, tanta era la sua soddisfazione in quel momento.
-Io e Arthur non ci mandiamo affatto delle occhiate- negò dopo aver bevuto con estrema grazia un sorso di latte -non ci abbassiamo certo a simili giochetti da bambini-.
-Anne e Arthur sono grandi amici, tutto qui- aggiunse il padre tentando di appianare la discussione.
-Già, amici speciali che si tengono per mano quando si incontrano totalmente per caso al pozzo- intervenne Katarina che aveva aspettato settimane prima di utilizzare quella perla che aveva scoperto di nascosto.
Annette, se possibile, diventò ancora più rossa, poi però si calmò e, lisciando con le mani affusolate il lembo della tovaglia come faceva quando stava per sferrare un attacco, sorrise.
-Almeno io ho qualcuno a cui stringere la mano. Tu che dici? Non è meglio che stare soli come te?-.
Il padre a quel punto le zittì malamente, odiava le liti che spesso scoppiavano in una casa piena zeppa di donne, poi bevve un sorso del latte che la moglie gli aveva precedentemente versato nella ciotola.
-Vado a pescare nei pressi di Cala Luna subito dopo colazione, potrei portare un paio di tonni in regalo-.
-Posso accompagnarti?- chiese subito Katarina non appena ebbe sentito le parole del padre.
Ogni giorno si annoiava a morte, chiusa in casa o costretta a sbrigare qualsiasi commissione sua madre le impartisse. Aveva voglia di esplorare, di uscire a scoprire il mondo, di divertirsi e di sentirsi viva.
Era stanca di sopravvivere e basta.
-Non se ne parla Kat- le rispose la madre -sai bene che ci sono molte cose da fare qui a casa e poi il mare è pericoloso-.
-Ma sarò con papà!- protestò la ragazza dimenticandosi della fetta di pane e miele che si era accuratamente preparata.
-Katarina, se tua madre ha bisogno d'aiuto resterai a casa- la ammonì il padre riponendo la scodella vuota sul ripiano della cucina -e poi, il mare non scappa tranquilla, ci sarà un'altra occasione-.
Il mare non scapperà, ma io prima o poi sì, pensò Katarina sbuffando e addentando la fetta di pane.
Era stanca che tutto le fosse negato; d'accordo, era una ragazza, e quindi? Non aveva forse gli stessi diritti di un ragazzo? Non era forse molto più intelligente e più capace di tanti suoi coetanei?
-Ah, quasi dimenticavo- aggiunse poi Annette che aveva consumato il suo frugale pasto senza neanche sporcarsi l'angolo della bocca -Gabriël ha detto che ti aspetta in paese per una commissione che vi aveva assegnato Lady Olga, non mi ha detto di cosa si trattasse ma sembrava urgente-.
Katarina non ricordava affatto che Lady Olga, la donna che gentilmente offriva lezioni a tutti i ragazzi della contea, avesse commissionato a lei e a Gabriël qualcosa di urgente da fare, ma qualsiasi scusa era buona per uscire da quella maledetta casa perciò si voltò verso sua madre con sguardo supplichevole.
-E va bene, mi aiuteranno Noora e Mathilda- rispose la madre cercando di sovrastare le lamentele delle due gemelle che tutto speravano tranne che ritrovarsi costrette a lavorare -ma gradirei che tu tornassi il prima possibile-.
-Certo mamma- rispose Katarina con un sorriso che le andava da un angolo all'altro del viso.
Non aveva idea di quello che avrebbe dovuto fare con Gabriël ma era troppo felice per preoccuparsene. E poi era da un po' di giorni che non passava del tempo con il suo amico: lei era stata impegnata in casa e lui era stato costretto ad andare a caccia con suo padre e suo fratello.
Aveva una terribile voglia di rivederlo e finalmente si sarebbe potuta svagare un po'.
-Bene- soggiunse poi suo padre ricomparendo in cucina dopo essersene andato in camera a prepararsi -credo di essere pronto, passate una buona giornata-.
Scoccò un bacio sulla fronte ad ognuna delle figlie e abbracciò la moglie la quale poi esortò Noora e Mathilda ad andare a rifare i loro letti. Le due si alzarono imbronciate ma sparirono ubbidienti, anche se Katarina sapeva che non avrebbero mai fatto ciò che era stato loro ordinato.
O meglio, magari non l'avrebbero fatto subito.
-Ah mamma- aggiunse ancora Annette riponendo anche la sua ciotola sul piano della cucina -la signora Trembley mi ha chiesto di aiutarla nei  preparativi per stasera, ti creo confusione se vado da lei?-.
Annette riusciva spesso a farsi concedere una scappatella in giro per il paese.
Per lei era facile, un battito delle sue lunghe ciglia da cerbiatto e il suo miagolio smielato le assicuravano sempre qualsiasi cosa chiedesse. Katarina invece le cose doveva sudarsele, e spesso la sua fatica non veniva neanche ricompensata.
-Certo tesoro non ci sono problemi, magari Katarina potrebbe tornare un po' prima per sostituirti-.
Certo, chiediamo a Katarina, tanto lei non ha niente di meglio da fare...
-Non so se riuscirò a tornare prima- mentì allora, la commissione di Lady Olga le era già tornata utile -è un lavoro che richiede tempo e io non voglio deludere Lady Olga-.
Quella era la baggianata più grande che avesse mai detto!
Delle commissioni di Lady Olga non le era mai importato un fico secco. Spesso aveva marinato le sue "lezioni" e trascurato le commissioni che la donna le aveva assegnato, guadagnandosi l'appellativo di allieva più svogliata; lei e Gabriël, oltretutto, venivano sempre ammoniti perché disturbavano le lezioni. L'ammirazione che la donna aveva di lei era già scomparsa da tempo.
-D'accordo vorrà dire che per oggi farò a meno di entrambe- rispose la madre sparecchiando la tavola -e adesso andate o farete tardi!-.
Katarina salutò in fretta e furia e corse fuori di casa senza neanche riporre la sua scodella.
Era così felice di poter finalmente mettere piede fuori di casa. Non voleva sembrare melodrammatica, ma si era quasi dimenticata cosa volesse dire correre lungo la strada acciottolata che portava in paese.
Corse affannosamente, impaziente di arrivare, senza fermarsi mai. Non si chiese neanche cosa pensassero di lei i passanti che la vedevano sfrecciare a perdifiato lungo la strada. Si sentiva così libera... Era quella la sensazione che desiderava sentir pulsare nelle sue vene. Voleva essere libera di fare ciò che voleva piuttosto che essere tenuta a guinzaglio come un cane rognoso.
-Kat!-.
Una voce improvvisamente la chiamò e la ragazza si fermò guardandosi intorno.
La figura esile e allampanata di Gabriël comparve davanti a lei con un bastone in mano accompagnato da Oscar, il suo cane, che gli scodinzolava al fianco.
-Ciao bello!- esclamò Katarina inginocchiandosi e grattando la bestia dietro le orecchie, dove a lui piaceva tanto.
Gabriël li raggiunse e Katarina poté constatare che in un certo senso era uscito dal suo stato di lutto. Da dopo che Edmund se n'era andato via Gabriël aveva smesso di dormire, mangiava poco, rispondeva male a tutti e prediligeva la solitudine.
Adesso il volto ossuto aveva ripreso un po' di colore e le occhiaie erano scomparse ma Katarina non era sicura che anche il suo cuore fosse guarito.
-Cos'è questa storia di Lady Olga?- chiese poi rivolta all'amico quando ebbe finito di accarezzare il cane.
Il ragazzo sorrise, come Katarina non gli vedeva fare da molto tempo, passandosi una mano tra i ricci castani.
-E' stato un colpo di genio che mi è venuto sul momento- rispose -sapevo che tua madre non ti avrebbe mai lasciata uscire senza una motivazione valida-.
-La caccia affina il cervello- sogghignò l'amica alzandosi poi in piedi.
-E i lavori da donna inacidiscono l'umore- la schernì Gabriël dandole una leggera spallata.
La ragazza rise di gusto alzando gli occhi al cielo.
Ah, da quanto non rideva veramente? Giorni? Settimane? Mesi?
D'accordo forse stava di nuovo facendo la melodrammatica...
-Mio padre comunque ha di nuovo dato di matto- continuò il ragazzo avviandosi lungo la strada -continua a dire che non è normale che io non ami la caccia-.
-Beh, neanche io amo la caccia- ribatté Katarina con un'alzata di spalle, camminando al fianco dell'amico.
-Ma per te è diverso sei una ragazza, non è tuo compito procurare il cibo per la famiglia...-.
-Ah giusto, mi ero dimenticata che noi femmine qui serviamo solo a fare figli...- commentò sarcastica l'amica calciando un sasso.
Gabriël intanto si stava torturando le pellicine delle mani.
Lo faceva spesso quando era nervoso, era un vizio che aveva sempre avuto. Katarina aveva provato in tutti i modi a farlo smettere, una volta gli aveva persino cosparso le mani di olio di fegato di merluzzo ma non era servito a niente. Gli occhi color nocciola intanto non trovavano pace, si posavano instancabili sulle montagne, poi sui tetti delle case e infine su di lei. Katarina aveva il presentimento di sapere a cosa fosse dovuta l'agitazione del ragazzo.
-Il fatto è che per mio padre io ho troppe cose che non vanno-.
Katarina guardò di sottecchi Gabriël cercando di decifrare la sua espressione.
Sembrava affranto, un po' arrabbiato vista la curva delle sopracciglia e forse anche malinconico.
-Gab tu non hai niente che non vada, quante volte devo ripetertelo ancora?-.
Il ragazzo scosse la testa mentre i riccioli castani dondolavano come onde.
-Credimi, ho più cose fuori posto che capelli in testa, ma non preoccuparti ormai mi sono abituato ad essere quello diverso-.
-Siamo in due allora- ribatté Katarina sorridendogli.
Gabriël allora le sorrise a sua volta arrossendo lievemente.
Lo faceva spesso, di arrossire.
Non era una cosa che si vedeva comunemente nei ragazzi e negli uomini in generale.
Ed era proprio questo che rendeva Gabriël diverso.
Era evidente che fosse spaventato da quella sua natura stravagante ma Katarina lo aveva scorto tra mille proprio perché non era come tutti gli altri.
Sembrava sempre al di fuori di tutto e si legava alle persone in modo così indissolubile che spesso ci aveva rimesso lui stesso, come era successo con Edmund.
-Sai- continuò poi il ragazzo lanciando il bastone che si era rigirato tra le mani fino a quel momento -si dice che il principe stia cercando una moglie-.
Oscar intanto partì alla rincorsa del pezzo di legno che il padrone gli aveva lanciato.
-Non oso immaginare lo stato di ebrezza in cui si troveranno le Lady di corte allora...- commentò acida Katarina.
-Speriamo solo che le Lady di corte siano di suo gradimento...- borbottò però Gabriël riprendendosi il bastone che un Oscar ansante teneva tra i denti.
-Cosa intendi dire?-.
Gabriël lanciò ancora il pezzo di legno.
-Intendo dire che il principe è sempre stato molto viziato e che suo padre può fare tutto quello che vuole-.
-Non penso che il principe si abbasserebbe mai a sposare ragazze come noi, o meglio- si corresse -forse, grazie alla sua spudorata fortuna e alla sua disarmante bellezza, Annette riuscirebbe a diventare persino regina-.
Katarina calciò un altro sasso con evidente nervosismo.
-Anche tu sei bella- rispose Gabriël senza voltarsi a guardarla.
Katarina arrossì leggermente.
Non era da Gabriël farle un complimento. Lui guardava sempre tutti dall'alto e non esprimeva mai commenti su nessuno, teneva sempre tutto dentro di sé.
Ma fu comunque piacevole.
-E comunque non penso che la vita da regina ti soddisferebbe a pieno-.
-Ne convengo- convenne Katarina -ti immagini? Io regina?-.
-Non sopravviveresti neanche poche ore con addosso quegli enormi abiti e quelle collane di perle!- esclamò Gabriël.
Entrambi risero di gusto con davanti la bestiola che scodinzolava, fino all'arrivo in paese. Lì dovettero darsi un contegno e cercare di evitare il più possibile i luoghi frequentati da gente che poteva conoscerli.
Avanzarono così nei vicoli più deserti continuando a chiacchierare e a canticchiare canzoni fino a che Gabriël non si fermò davanti a una familiare porta in legno verde, accuratamente intagliata ma ormai vecchia. Anche da fuori Katarina riuscì a sentire l'odore di birra e l'eco dei canti dei vecchi lupi di mare che spesso venivano intonati dentro all'osteria del vecchio Hern.
Gabriël spinse la porta semiaperta ed entrò.
Il locale illuminato dalla luce di poche finestre era lo stesso di sempre: al bancone c'era il vecchio Hern che distribuiva birre e liquori accompagnati da saluti, bestemmie e risa, ai pochi tavoli malmessi erano seduti i soliti uomini dalle camice lerce e le scarpe bucate con in mano bicchieri sbeccati e pipe fumanti e in continuo movimento tra i già citati tavoli e bancone viaggiava, silenziosa come un fantasma, Felìce la figlia di Hern e di sua moglie, morta anni addietro per una malattia.
La ragazza era magra e pallida, con due trecce bionde che le ricadevano sulle esili spalle e due occhietti azzurri che erano perennemente abbassati, troppo timidi per osar guardare qualcuno. Katarina la compativa e la invidiava al tempo stesso.
Felìce era sempre sola, Katarina non l'aveva mai vista fuori dall'osteria ed era costretta a passare la vita con il suo vecchio padre che a tutto si dedicava fuor che a tirarla su nel modo corretto. La bimba, fin da piccola, aveva assistito a risse, beccato anche qualche bussa e servito uomini che non facevano altro che osservarla sperando di immaginarsi cosa si nascondesse sotto il suo abito rattoppato. Però era l'unica ragazza in tutta la contea che lavorava. Certo, non veniva pagata perché l'osteria era di suo padre, ma era comunque la prima e l'unica ragazza in tutta la storia della contea che avesse occupato un posto di lavoro.
Katarina era fiera di lei.
Nessuno, in ogni caso, si voltò a guardarli e nessuno sembrò particolarmente sconvolto nel vedere due ragazzi di diciotto anni, uno dei due tra l'altro femmina, sedersi disinvolti a un tavolo appartato. Ormai sia Hern che i suoi usuali clienti erano abituati a loro e nessuno faceva domande.
Katarina prese posto al loro tavolo affondando nella sedia sgangherata ma comunque comodissima. Gabriël invece si allontanò un attimo per ordinare qualcosa.
Hern non permetteva certo che si rifugiassero lì senza prima aver consumato almeno un pasto.
Katarina intanto annusò l'aria familiare. Adorava l'atmosfera della vecchia osteria.
Non era molto grande, c'erano al massimo una quindicina di tavoli e il bancone, ma il fuoco che d'inverno scoppiettava nel camino e l'aria di mare portata dai marinai nella stagione calda, come in quel momento, la facevano sentire a casa.
Nel frattempo Gabriël aveva preso posto davanti a lei, portando in bilico sulle mani affusolate due bicchieri di liquore.
Era forte come bevanda e sua madre non avrebbe voluto che la bevesse ma Gabriël detestava bere da solo e poi la sensazione di trasgressione era troppo elettrizzante.
-Ecco a lei milady- disse il ragazzo avvicinandole il grosso bicchiere.
-Grazie- rispose Katarina prendendolo tra le mani e ingurgitando subito un generoso sorso della bevanda, a detta sua, più buona dell'osteria.
Il liquore entrò subito in circolo facendole formicolare la lingua e colorandole le guance di rosso. Scosse la testa velocemente e cacciò un urletto eccitato. Gabriël sorrise mandando a sua volta giù un sorso della bevanda.
-Novità?- chiese poi la ragazza.
-Nulla di particolare- rispose Gabriël con un'alzata di spalle -Hern continua a dire che il numero di tonni giù al porto sta diminuendo, il vecchio Sam è appena tornato da una delle sue esplorazioni intorno alla baia e dice di aver visto un contingente di cavalieri degli Oveergard...-.
-Come è possibile?!- lo interruppe Katarina incredula.
-Già, assurdo, no? Ormai nessuno crede più alle sue storie-.
-Già, assurdo...- ripeté tra sé bevendo un altro sorso di liquore
-Non crederai a quel vecchio strampalato, vero?- esclamò Gabriël che come al solito era riuscito a leggere i suoi pensieri.
-Io penso...penso che Sam sappia il fatto suo...-.
-Certo, sa il fatto di un vecchio che dovrebbe smetterla di bere prima di prendere la barca!- ribatté ridendo l'amico -Oveergard...- continuò poi percorrendo con un dito il bordo del bicchiere -che assurdità...-.
-Non è un'assurdità, ragazzo- intervenne a quel punto il diretto interessato che probabilmente aveva udito la conversazione.
Il vecchio canuto e dalle movenze zoppicanti infatti, stava prendendo posto tra i due ragazzi senza neanche chiedere il permesso.
La giacca scolorita e corrosa dalla salsedine odorava di mare e la sua candida barba di birra.
-Oh, andiamo...- sospirò Gabriël.
-E dai Gab- lo interruppe Katarina -lascialo parlare-.
Il ragazzo annuì scoraggiato con un'alzata di spalle e bevve un altro sorso di liquore mentre il vecchio si preparava a parlare.
-Ti potrà sembrare assurdo, lo so- cominciò -anche io avevo perso ormai le speranze e non avevo più rivisto nessuno degli Oveergard o dei loro seguaci, mai prima d'oggi-.
Katarina si tirò le gambe al petto abbracciandole e ascoltando curiosa il racconto del vecchio mentre Gabriël fingeva di non essere minimamente interessato anche se la ragazza sapeva che anche lui era curioso.
-Ero in barca, al largo. Di solito non mi spingo troppo oltre, ormai sono vecchio e non ho più le braccia forti che avevo un tempo, ma avevo sentito dire che c'era un punto in cui il pesce abbondava particolarmente e volevo trovarlo-.
Katarina era elettrizzata.
Sapeva che nessuno avrebbe creduto al racconto del vecchio, le persone lì erano sempre troppo realiste e non lasciavano mai spazio alla fantasia, ma lei era pronta a scommettere che nei dintorni della baia si nascondessero i reduci della antica guerra combattuta ormai sedici anni prima.
-Perciò mi allontanai dalla costa mantenendomi sempre la scogliera sulla destra- riprese -il mare era calmo e il cielo limpido e non avevo intenzione di rincasare prima di qualche ora ma d'un tratto sentii un vociare di uomini e uno scalpiccio di zoccoli di cavalli provenire dalla scogliera così mi avvicinai-.
Gabriël a quel punto alzò la testa incuriosito e anche altri uomini si posizionarono intorno al tavolo per ascoltare il vecchio Sam.
-Alzai la testa temendo che fossero giunti di nuovo i cavalieri dell'usurpatore a far razzie ma ciò che vidi, forse, mi spaventò di più-.
-Ma va' là!- esclamò un uomo dal pizzo fulvo, che teneva in mano un boccale di birra, sebbene fosse soltanto mattina -mi sa che hai battuto la testa e anche parecchio forte!-.
-No, ve lo giuro!- esclamò il vecchio alzando le braccia per zittire il borbottio che si era diffuso -li visti con i miei occhi: indossavano le divise blu e argento come un tempo e ognuno di loro portava lo spillone degli Oveergard sul braccio sinistro-.
-Sì e magari con loro c'era anche il re che in realtà non è morto!- lo schernì un altro vecchio reggendosi il pancione che dondolava per le risa.
-Vi dico che è così!-.
Katarina avrebbe voluto sostenere Sam ma nessuno l'avrebbe ascoltata, l'appoggio di una ragazzina come lei gli avrebbe dato ancor meno credibilità. Lanciò quindi uno sguardo a Gabriël che non sembrava più così scettico come lo era stato all'inizio.
L'amico colse negli occhi verdi di Katarina tutto ciò che lei voleva dirgli e perciò sbatté una mano sul tavolo con forza.
-Silenzio adesso!- gridò.
Gran parte della folla si zittì e così un'altra figura poté farsi sentire. Un uomo di mezza età, con folti ricci biondi come il grano si fece avanti.
-Non pensate che possano davvero essere tornati gli Oveergard?-.
-Sai bene che l'usurpatore uccise tutta la famiglia a sua tempo- ribatté il vecchio panciuto -e i loro tanto rinomati fedeli si sono piegati all'usurpatore senza fiatare-.
Katarina conosceva la storia grazie alla frequentazione di quell'osteria.
Gli anziani ne parlavano spesso ricordando i vecchi tempi prima dell'usurpatore. Raccontavano della dinastia degli Oveergard che aveva regnato per anni su Città Alta e su tutte le tredici contee. Il re era un sovrano comprensivo e la sua famiglia era davvero molto numerosa e si prospettava che per gli anni a venire ci sarebbero stati abbastanza eredi per continuare la dinastia ma quando l'usurpatore attuò il colpo di stato vennero uccisi tutti.
-Non tutta la famiglia fu uccisa- precisò l'uomo -alcuni riuscirono a scappare e non si sono accodati all'usurpatore e ai suoi sudditi e magari...magari si stanno riorganizzando per riprendersi il trono-.
-Il trono è sempre stato loro!- replicò il vecchio Sam -non importa se l'usurpatore ci ha piazzato sopra il suo sudicio fondo schiena, su quel trono c'è inciso il nome degli Oveergard!-.
-Fandonie!- esclamò l'uomo con il pizzetto fulvo che aveva parlato all'inizio -nessuno si riprenderà niente, sono morti tutti e quello che hai visto è frutto della tua immaginazione, vecchio!-.
-Adesso basta!- esclamò Hern facendosi spazio tra la folla.
L'uomo era minuto ma sapeva farsi rispettare e, sopratutto, non tollerava risse di alcun tipo nella sua osteria.
-Sam ha visto quel che ha visto e a te non deve interessare Jonas!- continuò -e adesso filate, o farò pagare il doppio a ognuno di voi!-.
A quelle parole i presenti nella sala ritornarono ai loro tavoli e alcuni abbandonarono addirittura l'osteria.
Katarina invece lasciò andare il bicchiere che aveva stretto durante tutto il dibattito.
-Penso che dovresti tornare anche tu al tuo tavolo- borbottò Gabriël rivolgendosi al vecchio Sam che non se n'era ancora andato.
-Io ti credo- aggiunse però Katarina prima che il vecchio si alzasse.
Sam la guardò con la gratitudine impressa negli occhi stanchi. Le pose quindi una mano grinzosa sulla spalla e con un sorriso rispose -Lo spero-.
Quando uscirono dall'osteria era quasi ora di pranzo e Katarina doveva tornare a casa perciò Gabriël richiamò Oscar, che aveva atteso per tutto il tempo fuori dalla porta.
-Certo che il vecchio Sam è proprio strambo!- commentò poi il ragazzo cominciando a camminare.
-Io non penso che abbia mentito- rispose Kat con franchezza.
Gabriël diede un'alzata di spalle.
Era sempre stato un sognatore, proprio come lei, per questo si erano subito trovati bene, forse però, il crescere lo stava rendendo sempre più realista.
Non era poi tanto strano ciò che il vecchio aveva visto. O meglio, era strano ma non impossibile.
Katarina aveva sempre pensato, al contrario di tutto il resto della contea, che il vecchio Sam fosse un uomo molto saggio e poi aveva un disperato bisogno di novità a cui aggrapparsi.
-Magari potremmo andare a dare un'occhiata giù alla baia- propose Gabriël.
-Io adesso devo tornare a casa e poi mia madre non mi lascerebbe mai venire- rispose mesta Katarina.
Era la sua famiglia che la ostacolava.
Se fosse stata sola avrebbe potuto fare qualunque cosa. Magari sarebbe potuta partire in barca, viaggiare per mare era sempre stato il suo sogno nel cassetto. Adorava l'odore della salsedine e la sensazione di libertà che quell'immensa distesa cristallina le infondeva.
-Hai ragione- convenne Gabriël -però, quando un giorno ti toglieranno le catene a cui ti hanno legata partiremo- aggiunse poi sorridendo.
-Non hai idea di quanto desideri farlo- rispose Katarina ridendo a sua volta e prendendolo a braccetto.
Sentiva una parte del corpo snello e ossuto di Gabriël a contatto con il suo ed era una sensazione che aveva provato tante volte, quasi tutti i giorni. Ormai le loro braccia e loro gambe si intersecavano perfettamente dopo tutte le notti passate di nascosto nella camera dell'uno o dell'altra a chiacchierare e dopo tutti gli abbracci e le lotte occasionali. Era quasi come se si fossero adattati l'uno all'altra.
-Stasera saremo a cena da voi- aggiunse poi Katarina.
-Lo so, è stata una mia idea- rispose Gabriël facendole l'occhiolino.
-D'accordo, la caccia deve avertelo affinato davvero bene il cervello!- rise allora l'amica.
-Sono sempre stato astuto- replicò lui -è solo che non te ne sei mai accorta-.
Katarina rise di gusto poi si voltò verso la cima della collina dove stanziava casa sua. Le mise una terribile malinconia addosso quella vista e non riusciva proprio a sopportare l'idea di dover tornare a casa per rimanervici chiusa per il resto del pomeriggio. Così, si voltò a guardare l'amico con gli occhi verdi illuminati da una pazza gioia.
-L'invito per la baia è ancora valido?- gli chiese pregando dentro di sé che acconsentisse.
Gabriël sorrise felice quanto lo era lei.
-Chi arriva per ultimo è un pesce lesso!- esclamò voltandosi e mettendosi a correre.
Katarina rise e gli urlò di aspettarla mentre si lanciavano insieme lungo la discesa.
















Salve a tutti e bentornati\benvenuti.

Non odiatemi vi prego, so che metto sempre in ballo troppe cose e ho un'idea nuova al secondo ma sono fatta così e tanto prima o poi finirò per affogare nella mia stessa frenetica fantasia.
Sono qui questa volta per presentarvi un contenuto totalmente diverso da Elements e quindi anche totalmente nuovo da scoprire. Ci sto mettendo davvero tanto impegno e per la prima volta ho le idee chiare su quasi tutta la storia, sono davvero fiera di me stessa e del mio lavoro. Non vedo l'ora che possiate conoscere a fondo tutto il mondo di Katarina e che possiate piangere, ridere e soffrire (sopratutto rip) con lei.
Vi avviso inoltre che il titolo è precario e che probabilmente lo cambierò nel corso della storia ma spero che non sia un problema.
Adesso non mi resta altro che chiedervi cosa ne pensate di questo primo capitolo perciò commentate come se non ci fosse un domandi.
Ah, abbuffatevi di sogni (tanto non fanno ingrassare).
Olivia

The Lost LadyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora