16. Mi pento

87 9 39
                                    

Le campane suonavano scuotendo dalle fondamenta l'intera città. C'era un'aria talmente pesante che non si riusciva a respirare, un'atmosfera talmente cupa che neanche i bambini riuscivano a sorridere. La piazza del mercato si stava pian piano riempiendo di gente ma nonostante questo regnava un inquietante silenzio. Dal castello invece giungeva una lunga processione di cortigiani preceduti e seguiti dalla cavalleria di corte. Sopra un'imponente carrozza aperta sedevano il re e il principe seri e impettiti e al loro seguito un'altra carrozza sfarzosa trasportava la baronessa e Annette, talmente pallida in volto che i suoi occhi spiccavano come due gemme azzurre. Il generale Wagner, a cavallo, guidava il suo plotone di soldati agghindati nelle loro scintillanti armature e anche Edmund sembrava essersi per un attimo tolto l'espressione impaurita per sostituirla con una addolorata. La servitù camminava a testa bassa in fondo alla comitiva e a pochi metri dietro di loro avanzavano le due vittime.
Katarina camminava a testa alta in mezzo a due possenti guardie. Non era legata o trattenuta poiché anche il solo pensiero di scappare si faceva subito ridicolo, non sarebbe potuta andare lontano. Al suo seguito Felìce, gli abiti sporchi e il labbro inferiore tumefatto, aveva i polsi legati e gli occhi stanchi quasi le si chiudevano. Katarina camminando cercò con lo sguardo Gabriël magari accompagnato da Gwendolyn, o Max o Oliver, ma non li vide e non poté biasimarli. In compenso incontrò gli sguardi mesti di molti cittadini e trovò nel loro dolore la forza di affrontare a testa alta quella punizione. Avrebbe dimostrato loro che ciò che aveva fatto o presumevano avesse fatto non era sbagliato e che forse c'era ancora un barlume di speranza da qualche parte. Si voltò a guardare Felìce che avanzava a capo chino. Sembrava in fin di vita, Katarina non voleva neanche immaginare cosa le avessero potuto fare e non era ancora finita per lei; doveva assolutamente trovare il modo di liberarla.
Intanto la processione reale era giunta alla piazza del mercato, già gremita di gente, c'era chi addirittura si era seduto sul bordo della fontana e chi osservava dalle finestre della propria casa. Le carrozze contenenti il principe, il re, Annette e la baronessa si fermarono una accanto all'altra davanti ad una struttura che era stata eretta appositamente per l'occasione. Era un impalcatura in legno sulla quale attendeva a braccia conserte un uomo dalle grandi dimensioni e una volta barba bruna. La testa invece era calva e indosso aveva abiti scuri; anche la cintura che portava stretta in vita era nera e da essa pendeva una lunga frusta. Katarina deglutì mentre i soldati scortavano lei e Felìce sulla piattaforma e gli occhi di tutta la capitale erano puntati su di loro.
Un araldo vestito d'oro e rosso li raggiunse e posizionatosi di fronte alla folla, ben dritto e impettito, iniziò a parlare.
-Lady Katarina Van Der Mer e Felìce Welda Kruger da Edentor saranno quest'oggi punite con  fustigazione sulla pubblica piazza per tentato complotto ai danni della famigliare reale e dell'intera corte. La pena consiste in dieci frustate al termine di ognuna delle quali dovranno esibire ad alta voce il loro pentimento. Il re e il principe sono lieti che voi tutti siate qua oggi per assistere e per comprendere cosa aspetti chi decide di agire nel male-.
Katarina a quelle parole rischiò di vomitare dal disgusto. Ogni sillaba pronunciata contro lei e Felìce le faceva prudere le mani di rabbia. Avrebbe voluto correre da quel dannato araldo, strappargli la pergamena di mano e distruggerla in mille pezzi; poi avrebbe guardato negli occhi il re, avrebbe sfidato il suo sguardo bicolore e avrebbe urlato con tutto il fiato che aveva in corpo. E il problema era che più passava lo sguardo sulla folla che si perdeva fino in fondo alla piazza più il desiderio di ribellione cresceva.
-Felìce Welda Kruger da Edentor- dichiarò l'araldo voltandosi verso le giovani -fatti avanti-.
Felìce senza degnare Katarina o chicchessia di uno sguardo fece tre passi avanti e liberatele le mani dalle corde rimase in piedi, a capo chino, rivolta verso tutta la città.
-Allo scocco di ogni frustata pronuncerete mi pento- parlò l'araldo con tono squillante, come se non si stesse rivolgendo soltanto a Felìce ma a tutti i presenti.
La ragazza non si degnò neanche di rispondere, si limitò a scuotere la testa in segno di assenso senza staccare gli occhi da terra. Allora l'uomo vestito di nero si fece avanti e con un movimento sinuoso estrasse dal cinturone la frusta. Era un oggetto allungato e fine, con un manico più spesso dove l'uomo la stava tenendo. Egli si posizionò dietro di lei e con una mossa rapida e precisa assesto un colpo sulla schiena di Felìce. Katarina la vedeva di spalle quindi non sapeva se l'espressione dell'amica fosse sofferente, ma sicuramente una cosa di cui fu certa è che percepì il dolore sulla sua schiena come se avessero colpito lei.
-Mi pento- mormorò tra i denti dopo aver ripreso fiato.
Intanto la folla sembrava tener il fiato sospeso. Un'altro schioccò tagliò l'aria con la forza di una lama e nuovamente Felìce pronunciò le false parole. Katarina strinse i pugni più infuriata che mai cercando il re e il principe con lo sguardo. Sedevano entrambi nella stessa posizione e osservavano la scena il primo con sguardo fiero e quasi di disprezzo, il secondo con occhi duri ed espressione assente. Katarina avrebbe tanto voluto punire loro con il doppio delle frustate che spettavano a lei. Intanto altre due frustate avevano incurvato la schiena di Felìce che piano piano si stava ripiegando su se stessa. Alla quinta cadde in ginocchio e non ebbe neanche la forza di pronunciare la frase. Doveva averne passate di tutte prima di arrivare lì.
Katarina a quel punto, senza riflettere, si gettò in avanti a braccio spiegate.
-Fermatevi! Basta! Lasciatela stare, non vedete che non riesci più a sopportarlo?!-.
-Non si viene fustigati perchè è divertente, milady- ribattè l'uomo abbassando la frusta -e ora spostatevi-.
-Non è nelle condizioni di  poter sopportare una cosa del genere, vi prego fermatevi! Fatele riprendere le forze- pregò Katarina che non sapeva che scuse trovare per esentare Felìce da tutto quello.
Ci fu un attimo di silenzio da parte dell'uomo e un brusio generale che percorse la folla. Nel mentre Katarina si era inginocchiata di fianco a Felìce e le aveva messo un braccio intorno alle spalle asciugandole la fronte sudata e sporca con l'altra mano. La gelida voce del principe allora zittì il cicaleccio.
-Se Lady Katarina si sente così responsabile per questa giovane allora facciamo che subisca lei la restate pena di Felìce Kruger-.
Katarina alzò la testa di scatto e affondò lo sguardo negli occhi impassibili del principe che la osservava quasi sfidandola silenziosamente. La ragazza attraversò la carrozza con gli occhi e lasciò scivolare lo sguardo su quella di fianco dove sedeva sua sorella, o meglio, dove sedeva Annette. Cercò in lei un appiglio,un barlume d'amore o di sostegno, ma la giovane voltò la testa di lato interrompendo qualsiasi tipo di contatto visivo. Katarina allora annuì.
-D'accordo, prendete me e risparmiate Felìce- gridò.
Il re sorrise compiaciuto e pose una mano sulla spalla del figlio per invitarlo a tornare a sedere.
Katarina sollevò Felìce tenendole la testa e la cedette alla coppia di soldati che si trovavano ancora lì sopra. Felìce, prima che Katarina scivolasse via, le afferrò una mano e la guardò con gli occhi lucidi.
-Kat non...-.
-Stai tranquilla, va tutto bene- la precedette accarezzandole velocemente il viso -ho promesso a Gab che ti avrei protetta e lo farò ad ogni costo-.
Felìce le lanciò un'ultima occhiata addolorata chiedendosi come quella ragazza riuscisse a sorriderle anche prima di dover essere frustata.
-Lady Katarina Van Der Mer- disse allora a gran voce l'araldo -venite avanti-.
Katarina si posizionò dove prima aveva preso posto Felìce e impettita osservò la folla. Se ciò avrebbe dimostrato la malvagità del re e di suo figlio era fiera di farlo.
-Allo scocco di ogni frustata pronuncerete mi pento-.
Katarina tornò a fissare il principe e guardandolo egli occhi di ghiaccio gli fece intendere che avrebbe detto tutto ciò che avessero voluto, ma mai si sarebbe pentita veramente.
Lo scoccò della prima frustata allora si abbattè sulla sua schiena. Katarina strinse i denti ma non si mosse nonostante una lingua di fuoco le stesse attraversando la pelle.
-Mi pento- recitò ad alta voce senza chiudere gli occhi neanche per un momento.
Allora la colse la seconda frustata che le provocò il doppio del dolore. Era come se un'infinità di aghi infuocati le stessero perforando la pelle. Strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche.
-Mi pento-.
Ormai quelle parole stavano perdendo significato.
Ed ecco la terza frustata che le strappò un mugolio dalla labbra che lei cercò subito di soffocare.
-Mi pento- ripetè mentre cercava con lo sguardo il generale.
Lo scorse nel momento esatto in cui la quarta frustata le percosse la schiena. Chiuse gli occhi stringendoli forte per un attimo, ma quando li riaprì lui era sempre lì, in sella al suo cavallo bianco bardato di tutto punto, di fianco alle carrozze reali. La quinta frustata la piegò leggermente mentre le parole ormai le uscivano dalla bocca senza che lei dovesse pensarci. Incatenò gli occhi verdi e lucidi a quelli di lui. Un'altra frustata. Ma gli occhi del generale erano sempre lì, fermi, cercando di darle conforto. Una frustata ancora e Katarina scorse le mani del generale stritolare le briglie. La formula magica intanto rotolava fuori dalle sue labbra vuota e insignificante. Un altro schiocco e la giovane sentì le gambe venirle meno. Cadde in ginocchio ma rimase dritta e con la testa alta. Il generale ebbe un guizzo alla mascella mentre la nona frustata si abbatteva su di lei. E mentre Katarina sentiva il rimo rivolo di sangue scenderle lungo la schiena comprese che le parole che era costretta a dire avevano assunto un nuovo significato.
-Mi pento- cantilenò ancora, di non avervi baciato quella notte nei giardini, pensò poi dentro di sè guardando il generale.
-Mi pento- di avervi abbandonato con tanta leggerezza.
L'undicesima frustata le fece accapponare la pelle e per un attimo Katarina poggiò le mani per terra per tentare di non crollare a terra.
-Mi pento- di aver pensato che non poteste capirmi, pensò ritirandosi su.
E la dodicesima le scosse le ossa lacerandole lo strato superiore dell'abito. La sottoveste candida era ormai pregna di sangue. Si conficcò le unghie nelle cosce e trattenne il fiato pensando che presto sarebbe tutto finito. Un altro colpo.
-Mi pento- di non avervi permesso di aiutarmi.
Il generale intanto non aveva mai smesso di guardarla e anche allora, mentre la penultima frustata si abbatteva su di lei, Katarina giurò di averlo visto sobbalzare leggermente, come se il dolore stesse attraversando anche il suo corpo.
-Mi pento- di non aver provato a capirvi meglio.
E poi l'ultima frustata le strappò dal profondo della gola un ringhiò esausto e addolorato.
-Mi pento- di non aver ammesso fino ad ora che forse un po' vorrei baciarvi anche in questo momento.
Poi Katarina crollò a terra, priva di sensi.

The Lost LadyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora