12. Katarina Geltrude

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-Io spero per te che in questi giardini ci sia soltanto una fontana, possibile che non sia ancora arrivata?- borbottò Gabriël incrociando le braccia al petto.
Katarina non aveva il fiato per sbuffare, il cuore le batteva così forte che le mancava il respiro, così si limitò a mandare gli occhi al cielo.
-Dalle tempo Gab, non è così facile penetrare nel castello-.
-Ma neanche così difficile come sembra- ribatté lui ripensando alla facilità con cui Edmund li aveva fatti passare inosservati.
In quel momento però, un fruscio alle loro spalle li fece voltare di scatto potendo constatare che Gwendolyn era appena arrivata.
Anche lei indossava un mantello scuro in cui era avvolta dalla testa ai piedi, ma quando si buttò giù il cappuccio i suoi capelli ramati brillarono nella notte.
Quando Katarina incontrò i suoi occhi azzurri trattenne il respiro e Gabriël, come aveva sempre fatto da che Katarina ne aveva memoria,le strinse la mano intrecciando le dita alle sue.
-Sei in compagnia- sibilò Gwendolyn senza neanche salutare.
-Lui è Gabriël- rispose d'istinto Katarina sospettando però che a lei non importasse niente di chi fosse -di lui ti puoi fidare-.
-Io non mi fido di nessuno- replicò la rossa con voce tagliente.
-Buono a sapersi- intervenne Gabriël che era sempre riuscito a tirarla fuori dalle situazioni scomode -perché io non mi fido di te-.
La giovane rispose con un smorfia poco amichevole poi tornò a puntare i suoi profondi occhi accusatori su Katarina.
-Dobbiamo andare, adesso, non ho molto tempo e suppongo neanche voi-.
-Andare dove?- domandò Katarina che sperava di risolvere la questione tra le mura del castello.
-Non posso dirvelo, capirete poi per quale motivo, si tratta principalmente di sicurezza, la mia e la vostra, vi chiedo solo di fidarvi di me-.
Gabriël aggrottò le sopracciglia scettico mentre Katarina, inaspettatamente annuiva e si copriva nuovamente la testa con il largo cappuccio.
-Andiamo-.
Gewndolyn annuì voltandosi mentre Gabriël lanciò uno sguardo allibito all'amica che si apprestava a seguire la sconosciuta.
-Kat stai veramente andando con lei?-.
Katarina lo guardò con metà del volto nascosta dal largo cappuccio. La sua espressione non era neanche lontanamente sicura o speranzosa, ma i suoi occhi luccicavano di un'esasperazione che mai le aveva visto addosso.
Erachiaro: sperava che qualsiasi cosa che le sarebbe accaduta l'avrebbe portata il più lontano possibile dal castello, era una via di fuga,un'intrattenimento prima di cadere in una vita di reclusione.
-Devo andare Gab- mormorò.
L'amico annuì cancellandosi dal volto l'espressione diffidente che aveva avuto fino a quel momento.
-Vengo con te-.
Katarina gli sorrise grata ed insieme seguirono Gwendolyn nel buio della notte.
Nessuno dei due amici riusciva a vedere ad un palmo dai loro nasi mentre Gwendolyn sembrava camminare sicura e spedita, come se avesse conosciuto a memoria la strada.
I giardini intorno a loro erano bui e silenziosi così come lo era il castello, illuminato solo sporadicamente da qualche candela solitaria.
Katarina distolse in fretta lo sguardo da quel posto infernale che da quel giorno sarebbe diventata la sua dimora, lontana dai suoi cari e soprattutto dalla libertà. Si sentiva come una bestia in gabbia, un cane legato alla corda e l'unico barlume di speranza sembrava inspiegabilmente portarlo Gwendolyn.
Da quando quella giovane aveva fatto irruzione nella sua stanza Katarina aveva avuto uno strano presentimento. Non che avesse mai creduto nel destino o nelle stelle, ma negli occhi azzurri di lei aveva scorto una sorta di familiarità, come se Gwendolyn avesse conosciuto la vera Katarina.
Il che da un lato era impossibile perché neanche lei stessa si era mai conosciuta davvero, ma qualcosa, forse semplicemente il fatto che aveva voglia di vivere un'avventura, la spingeva a credere che qualcosa sarebbe potuto cambiare nella sua vita per merito di quella ragazza.
-Cela fate ad arrampicarvi quassù?- chiese in quel momento Gwendolynche, in piedi sopra le macerie di una parte delle mura, li guardava con severità.
Gabriël sorrise beffardo.
-Abbiamo vissuto per tutta la vita nella contea di Edentor, scalare quattro ciottoli impolverati è un gioco da ragazzi- esclamò raggiungendola in poche e agili mosse.
Una volta sopra poi, tese la mano a Katarina che la ignorò elegantemente e raggiunse gli altri due con la stessa velocità stringendosi al petto la larga gonna del suo abito.
Katarina Geltrud Van Der Mer non era mai stata un peso per nessuno.
Gwendolyn le lanciò un'occhiata a metà tra lo stupito, l'indifferente e il soddisfatto poi si voltò e con un balzo piombò giù dalla cinta muraria.
Quando furono finalmente liberi di correre per le vie della città accelerarono il passo perdendosi tra i vicoli bui e deserti, fatto singolare poiché ad Edentor anche a mezzanotte passata trovavi sempre qualche ubriacone per le strade o qualche donna al servizio dei passati, come le chiamava papà, li invece non c'era anima viva.
-Perdonatemi,ma esattamente in quale parte della città siamo diretti?- chiese Gabriël raggiungendo in poche falcate Gwendolyn che ci camminava davanti.
-Conoscete bene Città Alta?-.
-Non molto- rispose lui.
-Beh, allora è inutile che perda tempo prezioso a spiegarvelo-.
Gabriël si voltò verso Katarina facendo una smorfia di esasperazione, poi tornò a guardare la giovane.
-Risiedete qui con la vostra famiglia?- domandò ancora come a voler fare conversazione anche se non era il momento più appropriato per discorrere del più e del meno.
Gwendolyn infatti gli lanciò un'occhiata infastidita e borbottò -Se quello che mi è rimasto si può chiamare famiglia...-.
-Cosa volete dire?-.
-Che non dovete intromettervi- ribatté allungando il passo.
Gabriël si voltò ancora verso Katarina lanciandole un'occhiata interrogativa ma lei gli rispose con un'alzata di spalle e perciò terminarono la camminata in religioso silenzio. Camminata che durò assai poco,terminando qualche metro più avanti, davanti alla porta di una bassa casa in mattoni.
Sembrava una casa come tutte le altre: silenziosa, buia, discreta. Ma Katarina aveva come uno strano presentimento che si accentuò quando Gwendolyn, prima di entrare, colpì quattro volte il legno in un modo assai inusuale, come se fosse stato un codice scelto per farla riconoscere a chiunque ci fosse dentro.
Una candela tremolante infatti comparve prima alla finestra e poi alla porta. Gwendolyn si voltò verso di loro e con un cenno rapido del capo li invitò ad entrare.
Gabriël la precedette perciò Katarina non riuscì subito ad inquadrare la persona che stava davanti a loro, che in realtà non era una ma tre.
Una donna magra con una fulva treccia che le cadeva sulla spalla sinistra reggeva la candela e rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra li osservavano due giovani ragazzi.
-Scusate se ci abbiamo messo tanto ma non è così facile eludere le guardie del castello- si giustificò Gwendolyn andando ad affiancare quello che tra i due ragazzi sembrava il più giovane.
Adesso erano tutti e quattro davanti a lei e a Gabriël che li osservava a braccia conserte mentre Katarina si sentiva terribilmente a disagio.Era come se si aspettassero che lei facesse qualcosa ma Katarina non aveva la minima idea di cosa fare.
Anzi,non credeva di dover fare alcun che.
-Voisiete Katarina?- chiese la donna che, a giudicare dalla somiglianza,doveva essere la madre di Gwendolyn.
-Sì-rispose lei, rivedendo ancora, nello sguardo della donna, qualcosa diterribilmente familiare.
-Se volete sedervi...-.
-Vi ringrazio ma preferisco rimanere in piedi e gradirei anche saperecosa sta succedendo?-.
La donna si voltò a guardare i due giovani al suo fianco che consguardo austero decisero che forse era giunto il momento di parlare.
Entrambi avevano un portamento elegante, petto in fuori, mento alto, occhiinquisitori, era chiaro che non fossero dei semplici cittadini. Tutto gridava in loro nobiltà, buon sangue, educazione ricercata, tranne i loro abiti sgualciti e slavati. Non erano affatto vestiti che ci si sarebbe dai figli di qualche barone o conte.
Gli occhi verdi di quello che Katarina aveva decretato il maggiore incontrarono i suoi, della stessa tonalità e forma.
-Io sono Oliver Oveergard, figlio del fratello del re che regnò sulla Piana prima dell'arrivo dell'usurpatore- disse lui come se quella frase avesse dovuto far capire tutto a Katarina che, effettivamente,capì.
Gli Oveergard, l'aveva detto il vecchio Sam quella mattina all'osteria,erano l'antica dinastia reale quasi totalmente scomparsa: Oliver faceva parte di quel quasi.
Gabriël la guardò confuso.
-Volete dirmi che siete uno di quegli Oveergard che dovrebbero essere stati sterminati da anni ormai?- chiese il ragazzo.
-Come ci narrano le leggende e i vecchi lupi di mare- rispose Oliver lanciando uno sguardo complice a Katarina -quasi tutti sanno che alcuni della famiglia reale e della corte riuscirono a salvarsi quella notte-.
-Lo sterminio delle stelle cadenti- mormorò la donna con lo sguardo vacuo puntato nel vuoto.
Gwendolyn le si fece vicina e le strinse piano il braccio in segno di rassicurazione ma la donna non sembrava voler ancora tornare in superficie dal mare di ricordi in cui si era immersa.
-C'erano fiaccole e torce ovunque, il castello ne era pieno, tanti punti di luce si muovevano fatali per i corridoi, da lontano sembrava quasi che le stelle fossero cadute dal cielo sul palazzo reale ma intanto morivano tutti-.
Oliver abbassò la testa ossequioso.
-Ancora però non capisco perché noi siamo qui, vi possiamo assicurare chenon stiamo dalla parte degli Hofmann, io sono qui perché costretta non per mia scelta-.
-Lo sappiamo ed infatti non è per punirvi che vi abbiamo fatta chiamare,ma per informarvi di un fatto-.
Katarina lanciò uno sguardo impaurito a Gabriël. Adesso non era più così sicura di voler sapere ciò che avevano da dirle.
-Come possiamo sapere che non siete degli impostori?- chiese allora Gabriël che come al solito aveva letto il cuore di Katarina in un battito di ciglia.
-Dovete solo fidarvi- rispose l'altro giovane che ancora non aveva parlato.
-Mi sembra che ci siamo fidati abbastanza...-.
-Gabriël-lo interruppe lei -stanno dicendo la verità-.
-Come puoi saperlo Kat? Non li abbiamo mai visti in vita nostra e...-.
-Ma io ho già visto quello- rispose lei indicando il petto del giovane che aveva parlato per ultimo.
In alto a destra infatti campeggiava lucente lo spillone con il simbolo del lupo, identico a quello che lei e Gabriël avevano trovato sulla scogliera.
-E'come quello che abbiamo trovato noi- disse ripescandolo dalla tasca.
Lo tirò fuori con mano incerta e lo porse a Oliver.
-Non so se è vostro ma sicuramente saprete a chi restituirlo-.
Oliver sorrise appuntandoselo sulla casacca.
-Ha già ritrovato il suo proprietario, vi ringrazio-.
Katarina sorrise, ma le sue labbra si arcuarono appena, così tese dall'impazienza e dal timore.
-Vi prego ditemi tutto quello che devo sapere-.
Oliver lanciò un ultimo sguardo ai suoi compari e poi puntò gli occhi verdi in quelli di Katarina.
-La notte dello sterminio delle stelle cadenti alcuni di noi riuscirono a salvarsi come potete vedere, chi faceva parte della corte come Lady Petrov e sua figlia- disse indicando Gwendolyn e sua madre -e chi faceva parte della famiglia reale come me e mio fratello Maximilian-riprese indicando il giovane alla sua sinistra.
-Siamo molti di più, noi sopravvissuti- intervenne Maximilian -ma gli altri si trovano in un posto sicuro, lontano da Città Alta, noi siamo qui unicamente per voi-.
Katarina deglutì sentendo il peso di una grande responsabilità calarle sulle spalle.
-Quando i reali e i cortigiani fuggirono dal castello una donna, una bambinaia, prese un cavallo e fuggì dalla capitale portando con sé la bambina che aveva accudito per tre anni, era la figlia del re-continuò Oliver -la donna stava agendo in preda al terrore e forse anche ad un amore incondizionato, in ogni caso abbandonò la bambina davanti alla porta di una famiglia di una lontana contea con una lettera che riportava il nome della piccola e una calda preghiera a prendersene cura-.
-Volete dire che per tutti questi anni la figlia del re ha vissuto in una famiglia di poveracci ignara del retaggio del suo sangue?- intervenne Gabriël incredulo.
-Esattamente-rispose Oliver -ma nessuno di noi sopravvissuti riuscì a ritrovare quella donna, sembrava scomparsa nel nulla, ma proprio quando avevamo ormai abbandonato le speranze, come un raggio di sole dopo una tempesta, è ricomparsa, pronta a rispondere a tutte le nostre domande-.
-Vi ha detto dove si trovasse la principessa?- chiese Gabriël quasi più impaziente di Katarina.
-Ci ha detto come trovarla- rispose Gwendolyn -quella donna è sempre stata piuttosto criptica, ma alla bambina piacevano un sacco le sue storie strampalate, sembrava quasi che volesse più bene a lei che a sua madre-.
-Questo non è vero Gwendolyn- la riprese sua madre -non permetterti di dire cose simili della regina, lei era una delle donne migliori che io abbia mai avuto il piacere di incontrare! Era generosa, benevola,intelligente e accondiscendente, ma era anche molto coraggiosa ed era questo che la portava ad affiancare suo marito in qualsiasi cosa siparasse loro davanti. La bambina purtroppo venne cresciuta quasi esclusivamente da quella povera donna che non aveva altri che quella piccola-.
-Dovevano essere molto legate- commentò Katarina che si era fatta ancora più vicina a Gabriël.
Sentiva il suo corpo magro teso come un fuso, percepiva il calore dell'adrenalina evaporargli dalla pelle e la tensione dei muscoli farsi più forte ad ogni istante.
Era sempre stato così: ciò che provava Katarina si rifletteva anche sudi lui, e viceversa.
-La donna ci ha rivelato che il luogo dove aveva abbandonato la bambina corrisponde alla contea di Edentor, il luogo da dove venite voi, e che la casa davanti al quale l'aveva abbandonata era fuori dal centro, in cima ad una collina-.
Il sangue di Katarina si gelò e riscaldò nel giro di pochi secondi cominciando poi a pulsargli forte, quasi le vene stessero per esploderle.
-E'esattamente dove abito io...- mormorò.
-Cosa state insinuando? Non può essere Katarina quella che cercate, lei è la secondogenita di Cora e Geremia Van Der Mer, potrei giurare sulla mia stessa vita-.
-Io non metterei in gioco la vostra vita con così tanta leggerezza-intervenne Maximilian con tono grave.
-Ci ha raccontato anche che rimase nascosta ad aspettare che aprissero la porta e fu una bambina di pochi anni ad uscire per prima e a chiamare a gran voce i genitori che presero la piccola orfana tra le braccia e la portarono dentro, da allora non la vide più-.
-L'orfana non posso essere io, quella casa non può essere la mia e quelli non possono essere stati i miei genitori e mia sorella Annette- mormorò Katarina mentre la testa iniziava a vorticarle e i ricordi a sovrapporsi.
-Inizialmente avevamo pensato a lei, a vostra sorella Annette, ma dei chiari segnici hanno portati a puntare gli occhi su di voi-.
-E quali sarebbero questi chiari segni?- esclamò Gabriël prima ancora che Katarina potesse aprire bocca.
Effettivamente la giovane era così confusa che stava pian piano perdendo la concezione del tempo e dello spazio, cosa che non le era mai successa.
Katarina era sempre stata una dal sangue freddo, una che non perde la calma ma che la fa perdere, mai era rimasta a bocca asciutta senza alcuna parola da dire.
-La bimba ha sempre avuto una voglia di forma quasi perfettamente circolare, fin dalla nascita, sull'avambraccio, Annette non ce l'ha-.
Katarina puntò gli occhi sul proprio arto nascosto dalla mantella.
-Permettete?-domandò Oliver allungando le mani verso di lei.
Katarina sentì Gabriël irrigidirsi ancora di più, ma prima che dicesse alcun che annuì velocemente con la testa
Le mani calde e callose del giovane sollevarono la manica sottile dell'abito di Katarina e il dito indice scivolò sulla sua pelle fino a fermarsi sopra ad una macchia di colore più scuro esattamente prima della piega del gomito.
Katarina si ricordava perfettamente quella voglia rotonda, ma in quel momento aveva talmente tanta paura che per un attimo aveva sperato che sparisse per dimostrarla innocente. Ma purtroppo la prova che stavano cercando era proprio lì, dove era sempre stata in sedici anni di vita.
Katarina alzò lentamente gli occhi verdi puntandoli in quelli isocromatici di Oliver. Era un sguardo familiare il suo, sembravano occhi conosciuti a Katarina; avevano una forma ricorrente nella sua mente, come lo era il modo di muoversi e dilatarsi delle pupille e lo sbattere delle ciglia. Ma come lo era d'altronde anche il muoversi di tutto il suo volto, le espressioni facciali, quel brutto vizio di mordersi il labbro da dentro e la curva dolce degli zigomi. Tutto in lui e, nel fratello che ne era la fotocopia, le risvegliava un ricordo lontano e quotidiano al contempo. Le sembrava di rivedere in quei due giovani il suo stesso volto.
-Non è certo una stupida voglia che fa di lei la principessa perduta degli Oveergard- intervenne Gabriël interrompendo il suo flusso di pensieri.
-Ed infatti c'è dell'altro- aggiunse ancora Gwendolyn che sembrava quasi spazientita dall'incaponimento del ragazzo -abbiamo un dipinto,salvato per un soffio insieme a veramente poche altre cose dall'attacco alla reggia, purtroppo non è qui, ma credetemi che la somiglianza della bimba raffigurata con voi- disse indicando Katarina-è inequivocabile e strabiliante-.
Gabriël mandò gli occhi al cielo.
-Voglia assolutamente comune, dipinti che non possiamo vedere, questi non mi sembrano affatto chiari segni! Volete veramente farci credere alle vostre fandonie portando come scuse delle simili sciocchezze?! Io al vostro gioco non ci sto più, Kat andiamo!-.
Gabriël fece per prenderla per un braccio e trascinarla fuori ma Maximilian l'afferrò ancora prima di lui e con estrema delicatezza l'avvicinò a sé.
-Ci sarebbe un'ultima cosa- disse con voce calma e pacata, sembrava l'unico ad aver capito che Katarina era completamente terrorizzata.
La giovane lo guardò con occhi sgranati, si sentiva così sciocca e impotente ma in quel momento parlare era l'unica cosa che non riusciva a fare.
-C'è un oggetto che apparteneva al re, una spada tramandata per generazioni dagli Oveergard, ceduta di padre in figlio dai tempi dei tempi- spiegò -la donna ne era entrata in possesso in un momento di scompiglio quella notte e l'aveva nascosta lasciando scritto nella lettera che da allora, morti i genitori, la spada apparteneva all'erede diretto in linea di sangue, ovvero la piccola che i vostri genitori accolsero quella sera-.
Oliver,che intanto era scomparso, riapparve tenendo tra le mani un oggetto avvolto in uno straccio lurido.
-Questa è la spada che vi appartiene, Fëanore, forgiata dai migliori fabbri della capitale tra le fauci della Cordigliera della Morte,prendetela, è vostra-.
Ma Katarina tenne ancora ben nascoste le mani dietro al mantello.
Deglutì forte e osservò quella spada che le sembrava così fuori luogo tra le sue braccia.
-Avete detto che la donna lasciò scritto il nome della bambina nella lettera- disse ritrovando improvvisamente la voce ma non desiderando affatto udire la risposta -qual'era?-.
Oliver avvolse di nuovo l'arma nel panno e puntò gli occhi dritti nei suoi.
-Katarina Geltrud- rispose -adesso non vi resta altro che scegliere quale cognome portare-.

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