Tre

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E siamo a cinque. Cinque dannatissime notti che fisso il soffitto bianco della mia camera da letto, con la voce ovattata di Serena che mi rimbomba ancora nella testa, e gli occhi color cioccolato della ladra di panchine che popolano quelle poche ore di sonno che mi sottraggono alla realtà.

Sbuffo mentre mi metto seduto sul letto e mi prendo la testa tra le mani, impreco a bassa voce mentre mi costringo ad alzarmi per raggiungere la cucina, sospiro prima di appoggiare le labbra sul bicchiere d'acqua fresca.

Cosa volete che vi dica? Non ci arrivo proprio. Non capisco perché cazzo mi trovi in questa condizione, con la perenne sensazione di soffocamento che mi dilania il petto fino a farlo bruciare, con quell'odiosa tachicardia che mi impedisce di essere me stesso al cento per cento, di lavorare decentemente, di non sembrare uno zombie appena uscito dalla fossa.

Se non la pianto con tutte queste paranoie rischio di impazzire, questo è certo. Però non posso fare a meno di lasciarmi affondare nelle acque torbide del senso di colpa, per aver lasciato andare l'unica donna che abbia mai amato nella vita e per essermi comportato in quel modo con quella ragazza, di cui forse non conoscerò mai il nome.

Sono patetico, lo so, esattamente come il genere di uomini che ho sempre biasimato. Inerme come una pedina in balia della sorte, incapace di sfoderare la mia maschera migliore per affrontare il mondo, là fuori. Non ho nemmeno la forza di andare a correre, sebbene l'orario sia a dir poco perfetto. E la cosa peggiore è che non mi è mai successo, nemmeno dopo le ultime tre, strazianti email. Nemmeno dopo la prima, adesso che ci penso. Nemmeno dopo che lei...

Stringo il bordo del piano in marmo nero della cucina e deglutisco, mentre decido che questa parte di me deve tornarsene da dove è venuta, con le buone o con le cattive.

Christopher Braxton non conosce sentimenti. Christopher Braxton non conosce il rimorso. Christopher Braxton non ha timore di nulla.

Ripeto il mio mantra a bassa voce, come una preghiera, e mi vesto in fretta, tirandomi il cappuccio della felpa sulla testa, prima di scendere al garage sotterraneo.



Dire che strozzerei Matt per avermi incastrato in un modo così subdolo è un eufemismo, ma non ho potuto rifiutargli un favore dopo tutto quello che ha fatto per me – per noi – in questi mesi.

Stringo un altro po' il nodo al cravattino nero e sorrido all'uomo che mi fissa dallo specchio a parete. Confessatelo donne: fareste carte false per trovarvi al posto della fortunata che stasera mi accompagnerà al galà di beneficenza al Griffith Observatory, e, per quanto queste non siano cose da me, devo ammettere che questo smoking mi calza a pennello.

Mi immergo in una leggera nuvola del mio profumo preferito e recupero le chiavi della Portofino prima di scendere nei sotterranei.

Se ve lo steste chiedendo, mi dispiace informarvi che non passerò a prendere la mia accompagnatrice, stasera. A dire la verità non lo faccio mai... Pensate che dovrei, non è così?

Beh, lasciate che vi spieghi una cosa. Se ogni donna con cui sono costretto a presenziare, a questi cazzo di eventi, pensasse che di lei mi importi qualcosa, allora avrei finito di vivere una vita tranquilla, di fare del buon sesso senza complicazioni quando e dove mi pare, di non dover rendere conto a nessuno delle mie azioni.

Ah, no! Mi dispiace, non voglio sentire le vostre opinioni, semplicemente perché non mi interessano, come non mi interessano le donne gelose e invadenti. Ergo: non tentate di farmi cambiare idea, perché non ci riuscirete.

Le gomme della mia auto stridono mentre mi fermo di fronte all'ingresso dell'osservatorio, scendo e lascio le chiavi al parcheggiatore, prima di avviarmi lungo il vialetto costeggiato da grandi aiuole verdi e raggiungere la scalinata d'accesso allo stabile.

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