10 maggio 1942 - Il primo bacio

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La vita procedeva tranquilla all'interno del campo di concentramento, o meglio, procedeva senza troppi intoppi per Helena e per Roinka, chiuse nelle loro stanze tutto il giorno, lontano dai pericoli, dalle botte, dalle pallottole e dalla fatica. Lontane, soprattutto, dal rischio di finire nelle camere a gas o nei formi crematori, la fine più temuta da tutti i prigionieri di Auschwitz. Helena aveva incrociato tanti volti in tutti quei mesi passati al campo, volti che spesso non rivedeva più; aveva imparato a riconoscere quelli che avrebbero potuto farcela in mezzo a quell'inferno, da quelli che presto sarebbero diventati cenere.
I convogli continuavano ad arrivare quasi tutti i giorni, carichi di persone, trattate come bestiame, che venivano divisi in file. Alcuni di loro erano destinati ai lavori forzati, alla fatica, al rischio di prendere botte sulle costole tutti i giorni, ma avevano comunque salva la pelle, altri, invece, erano destinati immediatamente alle camere a gas: anziani e bambini erano le categorie più inutili, praticamente inservibili alla logica malata del regime nazista, e quindi i primi a finire nella lista nera. Quella lista che spesso doveva compilare Franz.
Helena non vedeva il ragazzo da quando le aveva comunicato la notizia della morte dei due figli di Roinka; non aveva fatto più recapitare biglietti in sartoria, tramite il suo uomo di fiducia, non si era più presentato a trovarla, come era capitato alcune volte in precedenza. Lo vedeva aggirarsi per il campo, ma non aveva più sentito la sua voce, se non attraverso le sue grida verso qualche prigioniero che non si era comportato come lui avrebbe voluto.
Era questo che spaventava Helena: la doppia faccia che Franz era in grado di camuffare. Con lei si era sempre comportato da gentiluomo, come se la divisa che indossava non contasse nulla, ma fosse solo un normale abito da lavoro che era costretto ad infilarsi la mattina. Quando, invece, si calava nella parte ed usciva nell'ampio cortile del campo, era irriconoscibile: cattivo, a volte spietato, era lui che conduceva le vittime alle camere a gas. Helena lo temeva, ma allo stesso tempo non poteva negare di esserne attratta. All'inizio di tutta quella storia, non avrebbe mai pensato di arrivare a quel punto; quando ricevette il biglietto di Franz, in cui dichiarava il suo amore per lei, aveva giurato che mai si sarebbe venduta al suo carnefice. Invece Franz aveva rispettato le sue titubanze, non l'aveva forzata a fare nulla. Lei era stata fortunata, altre donne molto meno.
Il solo pensiero di come certi ufficiali delle SS del campo trattassero alcune prigioniere le faceva rivoltare lo stomaco, le usavano per il loro sollazzo, le scambiavano come merce, le trattavano come schiave. Franz non si era mai permesso di fare una cosa del genere ad Helena, e lei stava, piano piano, prendendo fiducia. Con il passare dei mesi si stava rendendo sempre più conto che Franz doveva fingere quello che in realtà non era. Il padre era un fervente nazista, il ragazzo era cresciuto a pane e Adolf Hitler e non avrebbe potuto scegliere una carriera diversa: quella all'interno del partito nazionalsocialista era scritta nel suo destino. Lui si era adeguato, ma si era reso conto che uccidere persone, avere tra le mani il loro destino, non era quello che sognava di fare. Ed Helena gli aveva aperto gli occhi, già il primo giorno che l'aveva vista. Per sentirsi meno in colpa nei confronti dell'umanità, aveva deciso che avrebbe aiutato alcuni esseri umani, povere creature rinchiuse all'interno del campo solo per la sfortuna di essere nate ebree. Aveva scelto la famiglia di Helena, di più, purtroppo, non poteva fare, avrebbe rischiato di esporsi troppo e di finire davanti alla corte marziale.
E la corte marziale nazista non perdonava i traditori.

***

L'ora di staccare era ormai giunta, fuori dalla porta il sole stava scendendo. Le giornate si erano allungate, e così anche l'orario di lavoro: ad Auschwitz si faticava finché il cielo non diventava scuro. Helena stava per riporre l'ultima divisa rammendata sul tavolo, quando sentì la porta della sartoria aprirsi. Si irrigidì, mani dietro la schiena, sguardo basso, salutò in maniera formale. Poi riconobbe la voce che gli stava parlando e l'animo si rasserenò un poco.
«È troppo tempo che non ci vediamo» disse Franz, rimanendo fermo, al di là del bancone da lavoro. Continuò: «Dopo il tentativo di salvataggio dei tuoi nipoti non potevo farmi vedere con te. Si sarebbero insospettiti. Ho dovuto far passare un po' di tempo.»
Helena annuì, senza sapere cosa dire. Ci pensò Franz a continuare in quel flusso di parole: «Mi sei mancata...»
La ragazza cercò di trattenere un sorriso, non poteva mostrarsi felice di quell'affermazione. Anche a lei, comunque, Franz era mancato.
«Adesso che il sole sta per scendere, ti va di venire a casa con me? Come abbiamo fatto tempo fa? Io e te, da soli. Lasciamoci alle spalle questo posto per un po'.»
«Non è facile lasciarselo alle spalle. Io sto relativamente bene, ma Roinka è distrutta, mio padre ha sempre la vita appesa ad un filo e mia madre si sta spegnendo piano piano. Non so più cosa sia la serenità...»
Franz abbassò il capo, sentendosi quasi colpevole per le affermazioni che aveva appena fatto Helena. Era tutto vero. Anche lui aveva lasciato la serenità fuori dalle mura di quel campo di concentramento. Non era facile fingere tutti i giorni, mandare qualcuno verso la morte era un peso che si accumulava giorno dopo giorno sulle sue spalle.
«Solo il tuo pensiero mi aiuta a sopportare quello che devo fare, il doppio gioco a cui sto giocando. Solo tu sei la mia ancora di salvezza qua dentro, e non permetterò a nessuno di torcerti un capello.»
Helena uscì da dietro al bancone e si avvicinò a Franz, sorridendogli riconoscente.
«Te ne sarò infinitamente grata. Se un giorno tutto questo finirà, stai certo che io non parlerò mai male di te. So di essere relativamente tranquilla perché tu mi guardi le spalle, ma potrebbe succedere da un giorno all'altro che qualcosa vada storto. I forni crematori, le camere a gas, sono qua dietro» disse, girando la testa verso est, ed indicando un baraccone di mattoni rossi al di là dei vetri. Era da lì che usciva il fumo acre, tutti i giorni, era dietro quel fabbricato che si nascondevano le fosse comuni. Al solo pensiero, Helena rabbrividì. Le era capitato, un paio di volte, di vedere gente magra, pelle e ossa, trasportare carrette piene di corpi ancora più magri, gli occhi sbarrati, la bocca aperta. Si era voltata dall'altra parte, cercando di non vomitare le uniche cose che aveva nello stomaco: succhi gastrici.
«Che succede?» Chiese Franz, vedendola pensierosa.
«Li ho visti...» disse, sempre voltando la testa verso est. «Ho visto prigionieri trasportare corpi nudi di altri prigionieri provenienti dalle camere a gas. Uno spettacolo nauseabondo. Le loro divise sono quelle che mi vengono portate qui tutti i giorni, alcune sono strappate, altre macchiate di sangue. È un inferno!»
«E io contribuisco a crearlo...» si rabbuiò Franz.
Helena lo abbracciò. «Tu obbedisci solo agli ordini dei superiori...»
«E mi sto odiando per questo.»
Un velo di tristezza coprì il viso di Franz, i suoi occhi azzurri si velarono leggermente di lacrime. Era la prima volta che Helena lo vedeva così. I due si guardarono negli occhi, senza dire una parola. Il ragazzo, poi, si avvicinò alle labbra di lei, che non si oppose. Si scambiarono un tenero e casto bacio, per poi abbracciarsi. Erano insieme in mezzo a quell'inferno e avrebbero provato ad uscirne vivi tutti e due.


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Buonasera,
ecco qui il nuovo capitolo. Che ve ne pare? Vi piace? Finalmente Helena ha superato le sue paure, e Franz è una persona diversa dalla divisa che indossa.
Grazie a tutti quelli che leggono la storia, vedo che siete in tanti, e non posso che abbracciarvi virtualmente. La storia è quasi arrivata alle 1000 visualizzazioni, ed è un traguardo che non pensavo di raggiungere.
Al prossimo capitolo e grazia ancora.
Moni

Anche all'Inferno Sbocciano le RoseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora